L'AMARA VICENDA DEL C.A.M.E.N.
E DEL CAMPO DARBY

(ovvero: Il costo della menzogna nucleare nel settore militare)

 

(discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 23 gennaio '69)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giuseppe Niccolai. Ne ha facoltà.

NICCOLAI GIUSEPPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, il mio compito non è del tutto facile; sono un uomo della destra, legato ed allevato nel rispetto più geloso delle tradizioni, ma sono, e mi sforzo di essere, un uomo responsabile tuffato nel tempo in cui vivo, e mi trovo a dover affrontare, nel quadro del bilancio della difesa, alcuni episodi che, germogliati a due passi dalla mia città, e davanti ai quali sarebbe tradimento verso il paese, e verso se stessi, chiudere gli occhi, rappresentano, per gli elementi che li caratterizzano, un banco di prova molto importante per vagliare, saggiare, documentare e quindi correggere e mutare la politica militare del nostro paese, in un momento in cui tutto è in movimento e tutto muta. Dall'epoca della polvere da sparo, signor ministro, siamo passati all'era nucleare, e l'accelerazione storica è straordinaria. Ecco, io mi domando: il mondo militare, se pure esiste e pesa in Italia (direi di no), con quale spirito, con quale mentalità affronta questo salto di qualità, questo salto storico? È possibile un esame di coscienza, il più aperto, il più spregiudicato possibile sui militari, sulle loro cose in un momento in cui l'Italia politica, celebrando il cinquantenario della vittoria, mostra chiaramente di ricalcare i clichés abituali, strumentalizzando le rievocazioni al solo fine di esaltare le posizioni storiche, politiche e morali di coloro che oggi governano il paese? E così, di retorica in retorica, di cerimonia in cerimonia, nel mutare dei benemeriti della nazione, i quali una retorica sanno sempre trovare per loro e per la loro causa, l'esame di coscienza sulle nostre cose, sulle nostre vicende, su come siamo fatti, su come ci comportiamo, sulla classe dirigente, sui militari, sulle nostre vittorie, sui nostri disastri viene sempre rimandato, eluso o dirottato sulle false glorie, o contestato, rifiutato in base alle posizioni bastarde dei senza patria. Retorica e dissacrazione, ecco i due poli sui quali viene sbattuta la navicella militare del nostro paese. Vorrei uscire, signor ministro, da queste secche, per tentare la via del mare aperto, cioè della discussione più aperta, che non si ponga il fine oggi tanto in voga in Italia, di dissacrare, di smitizzare il già tanto dissacrato tempio delle glorie nazionali, ma nemmeno quello di tacere o di coprire per carità di patria quello che in campo militare sta accadendo e che a parere mio dimostra melanconicamente come in questo settore nulla si sia imparato dall'esperienza e nulla si faccia per adeguare la vita alle cose militari, al ritmo del tempo, alla stessa dignità della nazione.

 

Il CAMEN come nacque.

Le parlerò, signor ministro, del CAMEN, Centro di applicazioni militari dell'energia nucleare. La sigla è fascinosa, caratterizza lo stadio più avanzato dell'attività umana: l'energia nucleare. Non poteva non interessare i militari. Anzi, condizionando l'energia nucleare ogni strategia, rivoluzionando tutti i rapporti di forza così come avvenne in seguito all'invenzione della polvere da sparo, l'energia nucleare doveva prepotentemente entrare tra i compiti principali di chi è preposto alla difesa del paese. Se ci si disinteressa di questo problema, se si firma il trattato «anti-H», tanto vale chiudere il dicastero della difesa e mandare tutti a casa.

Come nacque il CAMEN? Così come nascono in Italia queste cose. Con spirito pionieristico: tre stanze dell'Accademia navale, otto professori, nove ufficiali delle tre armi, alcuni giovani laureati. Era l'anno 1948-1949. Compiti:

1) progettare e realizzare un reattore dimostrativo completamente italiano sull'esempio della prima pila atomica francese, la «Zoe»;

2) creare un gruppo di esperti, progettisti e operatori;

3) impiego sperimentale e didattico, esperienze necessarie per la progettazione di ulteriori impianti per usi vari (militari e civili) fino al reattore per la propulsione navale;

4) formazione di specialisti militari per l'impiego dei reattori e per il controllo della radioattività, specialisti che, finiti i corsi, dovevano rientrare ai rispettivi corpi con funzioni di consulenti nucleari delle grandi unità operative;

5) inserimento nel mondo scientifico nazionale e internazionale per aggiornamento sugli indirizzi e le possibilità applicative e militari degli sviluppi scientifici e tecnici;

6) armi nucleari. Nei primi programmi del CAMEN, onorevole ministro, si parla esplicitamente della costruzione della bomba atomica italiana.

Era l'anno 1949, anno eroico. Anche se all'entusiasmo della marina per l'iniziativa corrispondeva una tacita benevolenza dell'aviazione e l'avversione dell'esercito, avversione che ha ritardato di cinque anni la creazione del centro nucleare di San Piero a Grado, si lavorò con accanimento e con passione. Poi tutto è andato spegnendosi, perdendosi, annullandosi per il sovrapporsi sull'iniziativa degli antichi, radicati, irriducibili mali tipici della nostra mentalità politica e militare, mali che né la vittoria del '18 né la sconfitta del '45, a tanta distanza di tempo, siamo stati in grado di sanare, richiamandoci al dovere di un esame di coscienza volto ad individuare quei mali e a rimuoverne le cause.

 

Che cosa è accaduto al CAMEN?

Che cosa è accaduto al CAMEN? È accaduto che, da una prima fase di inserimento di giovani ufficiali laureatì delle tre armi partecipanti ai corsi formativi, si è a mano a mano passati all'inserimento nel centro di ufficiali di grado elevato, del tutto sprovvisti di preparazione professionale in condizione, per ragione di età, di non poterla più acquisire e che, nonostante ciò, sono stati progressivamente assegnati a funzioni e responsabilità tecniche e scientifiche direttive.

La verità, signor ministro (l'amara verità!) è che il CAMEN è oggi diretto da ufficiali che, brillantissimi nell'impiego tattico dei battaglioni, delle compagnie o dei reggimenti, competentissimi dei vari manuali riguardanti le armi tradizionali, nulla o poco sanno dell'energia nucleare.

Siamo arrivati all'assurdo, signor ministro, che si è affidato l'incarico di dirigere il settore scientifico del centro non in base alle specifiche competenze dimostrate in materia nucleare, ma in relazione al grado ricoperto! Accade così che gli attuali dirigenti del centro, giunti al CAMEN per frequentare corsi di specializzazione, hanno detronizzato dalla cattedra i loro maestri, anziché mettersi essi stessi sui banchi per acquisire quella formazione professionale nel campo dell'energia nucleare della quale erano e sono totalmente privi.

Da tale stato di cose sono derivati episodi tra il comico e il tragico, come accade sovente in Italia, sotto tutti i climi e con tutti i regimi...

Mi spiego con un esempio. Un certo giorno arriva al centro del materiale contaminato da eliminare, da sotterrare. Nel laboratorio di radio-protezione è subentrato ad un libero docente di fisica sanitaria e nucleare un maggiore di fanteria. L'ufficiale vede questo materiale contaminato giacente in un magazzino e contrassegnato con la scritta «Pericolo», ma non ci pensa due volte: eliminare tale materiale è evidentemente compito suo e dei suoi uomini. Ebbene, armati di martello, con la più sbalorditiva, fanciullesca, incredibile imperizia (simili operazioni non si fanno in massa, ma uno per volta!) il maggiore di fanteria e tutti i suoi uomini effettuano l'operazione, a petto nudo, senza guanti né tuta. Il risultato è che tutti rimangono contaminati, primo fra tutti il maggiore capo del laboratorio radioprotezioni. Se il capo della protezione-radio è questo, lei può immaginare, signor ministro, il resto.

GUI, Ministro della difesa. Quando è successo questo?

NICCOLAI GIUSEPPE. Le potrò precisare il periodo... storico di questo avvenimento. Purtroppo, però, il peggio non è ancora venuto, signor ministro. Nel libro di Silvestri: "Il costo della menzogna nucleare in Italia", è scritto (solo poche righe sono dedicate al CAMEN) che le dimensioni del CAMEN sono troppo piccole perché esso svolga qualche attività nel campo dell'armamento nucleare. Si occuperà -scrive Silvestri- di argomenti marginali, ma non certo privi di importanza, altrimenti non si capirebbe cosa si fa al CAMEN che già non si faccia al CNEN. Sarebbe dunque doveroso (è sempre Silvestri che parla), senza svelare alcun segreto di carattere militare, che l'Italia fosse al corrente, a grandi linee, delle attività che ivi si svolgono. In fondo, la guerra nucleare, sebbene sia una evenienza più che improbabile, remota, non può essere trascurata come ipotesi di lavoro, almeno dal punto di vista della difesa passiva. Affinché ognuno misuri la pericolosità del mondo in cui viviamo, l'Italia ha bisogno di conoscere quali sarebbero le conseguenze di uno scoppio nucleare sulle sue principali città. Non ci si può ridurre alla visione cinematografica o televisiva di qualche fungo atomico esploso in regioni deserte o irriconoscibilì, altrimenti si erige l'ignoranza, cioè l'incoscienza, a migliore sistema di difesa passiva.

Ma che scriverebbe oggi, signor ministro, Silvestri, nell'apprendere che un settore del CAMEN, costituito allo scopo di studiare le conseguenze e le difese di un attacco atomico nemico, si fa tutto contaminare in un banale episodio di distruzione di materiale radioattivo? E l'episodio non finisce qui: i contaminati (il capo del laboratorio radio-protezione in testa) vengono messi sotto le docce, insaponati e insaponati ancora. Sì dice in Toscana: li hanno messi bene a mollo. I vestiti distrutti; a casa tutti in tuta, compreso il direttore del laboratorio radioprotezioni. I risultati delle analisi svolte sui contaminati da una infermeria che, siccome è comandata da un colonnello, è stata chiamata infermeria specializzata, mettono tutti in allarme perché risulta che nelle orine dei colpiti c'è radioattività. Stato di allarme. Si esaminano i materiali e le apparecchiature e si trova che non sono radioattivi. L'infermeria specializzata aveva usato, in questi esami, delle provette già contaminate.

 

«La biblioteca»

Veniamo all'episodio della biblioteca. Signor ministro, come fa a funzionare un centro di ricerca nucleare senza una biblioteca e senza un costante, quotidiano aggiornamento della biblioteca, che faccia sì che si possa tenere il passo con lo stato mondiale della ricerca? L'ufficio documentazione, dopo la direzione scientifica, in un centro nucleare è l'organo più importante. Questo servizio fondamentale, signor ministro, indispensabile, dopo vicende varie è del tutto insufficiente al CAMEN. Alla biblioteca si sono alternati prima un maggiore di fanteria e poi un colonnello. Quest'ultimo ha dato ad essa il colpo mortale: per fare l'inventario, ha tenuto la biblioteca semiparalizzata per un anno, e nessuno ha potuto più leggere un rigo su quello che si faceva nel mondo nel campo dell'energia nucleare. Hanno chiuso la biblioteca, però hanno dato vita a una splendida palestra (onorevole ministro, ne prenda cognizione), in cui c'è tutto, dalla sauna agli apparecchi per perdere peso e per combattere la cellulite. Il circolo, poi, è splendido, anche se in esso vige un clima davvero incredibile di segregazione, o meglio di apartheid, nei riguardi delle categorie «non benedette». La gerarchia delle competenze è messa del tutto in disparte. Il criterio che presso il CAMEN trionfa e costituisce il titolo di priorità scientifica è l'anzianità di grado. Perciò anche se la biblioteca sta chiusa, siccome la comanda un colonnello debbono esservi addette undici persone; quando a capo della biblioteca è posta una dottoressa, bastano 3 persone. E così per tutti i laboratori. Si veda, per esempio, l'infermeria. Si tratta di una volgarissima infermeria, ma dato che essa è comandata da un colonnello, vi debbono essere sei ufficiali medici. L'importanza del servizio al CAMEN non è più data dalle attività, dalle mansioni, dai compiti affidati a quel servizio, ma dal grado del caposervizio. Perciò, per concludere, onorevole ministro: i militari, arrivati al CAMEN per imparare, per diventare specialisti per la consulenza dei reparti operativi, sono rimasti al CAMEN a fare i ricercatori ed hanno preteso un incarico direttivo proporzionato al grado, con i risultati che stiamo illustrando.

 

«Cosa è accaduto»

Che cosa poteva capitare nel campo della ricerca quando al CAMEN le cose hanno preso questa svolta, è facile immaginarlo: 1) aumento numerico e scadimento qualitativo globale del centro; 2) burocratizzazione dei tecnici; 3) rigetto di ogni tentativo di ricerca originale e di creazione tecnica; 4) «no» al progetto del reattore nazionale. All'America bisogna guardare. E faceva comodo anche per ragioni di pigrizia; 5) disorientamento nei programmi di sviluppo: i ricercatori che pur danno vita, tra mille difficoltà, ad una produzione scientifica non indifferente sono sempre più combattuti ed osteggiati; 6) enorme ritardo nell'approntamento del reattore ordinato in America (fa troppa fatica pensare in italiano), non ancora oggi del tutto efficiente e privo delle attrezzature accessorie non per il funzionamento, ma per l'impiego pratico. Questo reattore, inoltre, è largamente superato come modello.

Perché questo ritardo, signor ministro? Perché non si è voluto pensare in italiano e ci si è subito arresi, non solo alla sudditanza americana in materia nucleare, ma anche alla nostra tradizionale pigrizia quando ci si occupa di qualcosa che non è del particolare, ma è del collettivo.

Gli Stati Uniti concedono il combustibile nucleare uranio arricchito al 20 per cento in base alla legge «atomi per la pace». Il CAMEN, signori che purtroppo state applaudendo al trattato anti-H, è automaticamente escluso. Si ricorre all'artificio della comproprietà nominale tra l'università di Pisa e l'accademia navale per uso scientifico e didattico. Risultato paradossale: le forze armate pagano l'acquisto e la gestione due miliardi l'anno, un milione al giorno, per un impianto che hanno il divieto di usare.

Perché questo ritardo, signor ministro? Perché è cominciata dal CAMEN la grande diaspora degli elementi che negli anni eroici del CAMEN si erano fatti apprezzare e stimare. Sono fuggiti in Francia, in Belgio, in Svizzera, in Germania, in Italia, ma via dal CAMEN. Mancanza di programmi per l'utilizzazione del reattore, incapacità tecnica dei dirigenti militari a formulare un coerente programma di ricerche, avendo estromesso i veri ricercatori anche dalle semplici funzioni consultive. Signor ministro, nessuno dei programmi proposti allo stato maggiore ha avuto seguito. Nel frattempo, però, sono state acquistate apparecchiature costose, rimaste spesso inutilizzate nei laboratori. Altro episodio. Ci risulta che un ispettore del Ministero del Tesoro ha trovato del materiale in diversi magazzini che risultava imballato da diversi anni e i responsabili non sapevano nemmeno che cosa fosse.

 

Il reattore

La situazione per quanto concerne il reattore peggiora col tempo, perché di quel tipo ne esistono a centinaia e praticamente hanno esaurito il campo delle ricerche fondamentali.

Ripiegare su quelle che ancora si possono fare comporta l'acquisto di apparecchiature complementari complesse e costosissime. La produzione di radio-isotopi per usi sanitari, industriali, scientifici non vale. Bisognerebbe cederli sottocosto data la concorrenza estera in materia. La richiesta, dopo tutto, è modestissima. Il collaudo di materiali destinati all'impiego in reattori (altro impiego sul quale si vuole ripiegare al Centro nucleare di San Piero a Grado, al CAMEN), per essere significativo, richiederebbe reattori di tipo speciale che hanno una potenza da dieci a cento volte superiore a quella del reattore di San Piero. Ciò comporta, fra l'altro, che i tempi di irraggiamento dei campioni devono essere molto più lunghi (settimane o mesi invece di giorni) ed il costo va alle stelle senza che, poi, i dati pratici siano di significato concreto. Si discute su di un progetto di «celle calde» per il trattamento dei campioni irraggiati. Questo impianto supplementare, a seconda delle attrezzature ausiliarie, potrebbe costare dalle centinaia di milioni a dei miliardi. Ma ne vale la pena?

 

Il personale del CAMEN

Se a questo quadro desolante aggiungiamo che il CAMEN, mancando di una sua legge istitutiva, è andato alla ricerca del personale dal '56 al '63 con mezzi del tutto fantasiosi, onorevole ministro, per non dire illegittimi, come l'incarico di studio, ai sensi dell'articolo 380 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del '57, con il quale furono assunti non solo i ricercatori laureati ed i preparatori di laboratorio diplomati, ma addirittura dattilografe (trasformando, tra l'altro, un rapporto di lavoro che, secondo l'articolo 380, doveva essere temporaneo in un vero e proprio rapporto di pubblico impiego, pretendendo dai dipendenti il rispetto degli obblighi e non riconoscendo loro, però, i diritti che derivavano loro da una simile situazione: assistenza sanitaria e previdenziale, adeguato trattamento economico, indennità di licenziamento, retribuzione del lavoro straordinario, indennità di rischio per pericolo radioattivo), si comprenderanno gli scarsi, desolanti, melanconici risultati di tale iniziativa. Dal '56 al '60 gli operai giornalieri assunti con contratto di diritto privato venivano dopo tre mesi licenziati e riassunti il giorno dopo senza mai poter maturare l'indennità di licenziamento! E questo in un centro nucleare dello Stato, onorevole ministro! Dall'aprile '62 al maggio '64 l'amministrazione del CAMEN ha pagato la favolosa cifra di 73 milioni alla ditta "Marittima" per le pulizie. E cosa erano certe ditte «tuttofare» che di volta in volta si presentavano come lavanderie, self-services, ditte di pulizie, se non trucchi combinati dai responsabili del CAMEN per introdurre illegalmente nel centro personale impiegatizio? La storia della nostra burocrazia, scritta in pratica, signor ministro, da noi politici -la burocrazia non ha colpa- offre un vasto campionario di stranezze, ma non era ancora accaduto che un ente militare nucleare si servisse di una ditta di pulizie per reclutare i suoi tecnici specializzati. Ecco come in Italia si affrontava agli inizi sul piano amministrativo il delicato problema della difesa atomica del paese dentro i vigilatissimi recinti del CAMEN di San Piero a Grado. Quale garanzia di serietà e di applicazione nucleare poteva dare un personale inacidito dai soprusi, mal retribuito e preoccupato di ottenere il riconoscimento dei suoi più elementari diritti? Si dovette scioperare: il centro nucleare militare scese in piazza, signor ministro, e come accade in queste occasioni venne fuori la leggina del CAMEN, la n° 1483 del '62. Risultato: il nuovo sciopero che alcuni mesi fa i laureati del CAMEN sono stati costretti a fare perché -categoria unica in Italia- si trovano con uno stipendio di anno in anno decrescente e fra l'altro non hanno neppure la contingenza.

 

CAMEN: centro di riposo per uomini stanchi

In questa situazione, quali le prospettive? Sono desolanti, ma sono nelle cose. Il direttore scientifico di fama europea professor Caldirola, che inizialmente al CAMEN veniva a prestare il contributo della sua scienza e della sua intelligenza, è stato messo nella condizione di non spostarsi più da Milano; viene a perdere tempo. Il CAMEN ormai si è trasformato in un centro di riposo per uomini stanchi. C'è tutto da questo punto di vista, l'ho già detto. La ricerca è avanzatissima da questo punto di vista: campi da tennis, palestra, sauna, circolo, bar, c'è tutto. Ma, come centro di ricerca nucleare militare, così com'è oggi non regge, non può reggere. Chi sostiene il contrario deve ricorrere alla menzogna, al culto della menzogna, che, come scrive Silvestri «è una liturgia alla quale in Italia si ricorre sempre, ma è una liturgia che mette in pericolo l'esistenza del paese».

Al culto della menzogna noi diciamo: no, troppo abbiamo pagato. La nazione non si serve ingannandola con le piccole o grandi bugie, o inzuppandola -lo riconosco- di tanta retorica. Anche questo è un tradimento. Si serve denunciando mali antichi e nuovi e scoprendo il gusto, una buona volta, delle responsabilità, soffrendo la verità, specie quando questa colpisce, come in questo caso, le cose a noi più gelose e più care.

 

Cosa fare del reattore? Cosa fare del CAMEN?

Che cosa fare del reattore, onorevole ministro? L'utilizzazione migliore sarebbe cederlo al CNEN per uso didattico e piccole ricerche di laboratorio. Che cosa fare del CAMEN? È valida ancora l'iniziativa come ente nucleare, specie per la sua palese costosa inutilità? L'unico programma nucleare impegnativo delle forze armate -ella lo sa meglio di me, onorevole ministro- è quello della nave nucleare, che è sviluppato dalla Marina in collaborazione con il CNEN e con ditte private. Ignora il CAMEN, la Marina, perché esso non dà alcun affidamento per il modo in cui è diretto, anche se poi le giustificazioni ufficiali -torna la menzogna- sono diverse.

Le altre esigenze militari -difesa radiologica, collaudi, calcoli di schermature o prove- si possono fare in altri stabilimenti tecnici anche militari esistenti, non di ricerca. Trasferire, perciò, le installazioni, i laboratori ed i ricercatori civili al CNEN (Ministero dell'Industria) o al Consiglio Nazionale delle Ricerche; emanare una legge istitutiva che conservi pure la gestione militare, vincolata da clausole tassative che assicurino il funzionamento normale analogo a quello di tutti i centri di ricerca, con precisa regolamentazione e attribuzione di competenze, lasciando ai militari l'indicazione generale degli indirizzi di studio e degli scopi da raggiungere e l'utilizzazione dei risultati, senza interferenza nella esecuzione tecnica e organizzativa, secondo il principio, tanto disatteso in Italia, che non è la poltrona a creare le competenze, ma sono le competenze a dare significato alla poltrona.

 

Il campo Darby. Gli italiani che vi lavorano: figli di nessuno

Onorevole ministro, se lo sguardo dal CAMEN si porta sul Campo Darby, la base USA-NATO di Tombolo che è a stretto contatto di gomito con il centro nucleare di San Piero a Grado, il discorso non si fa più lieto: sono sempre dolenti note. Vi lavorano alcune centinaia di italiani. I loro compiti, data la natura della base, sono delicati. Ebbene, per questi italiani la Costituzione della Repubblica italiana, le leggi dello Stato italiano, i contratti di lavoro non valgono: sono figli di nessuno; sono stati severamente selezionati; sono sottoposti tuttora a rigidi controlli; varcano i cancelli di una vigilatissima base militare; svolgono mansioni delicate, ma restano orfani; se licenziati sono perduti.

Da anni i deputati della maggioranza presentano una legge che dovrebbe regolare la loro posizione; da anni i sindacati fanno continui viaggi a Roma per i dipendenti del Campo Darby; i giornali tempo fa hanno addirittura parlato di un vertice fra il Presidente del Consiglio, il ministro degli esteri e il ministro della difesa onde risolvere la vicenda umana dei dipendenti USA-NATO. Ma è altrettanto vero che da anni, malgrado molta polvere venga alzata da incontri, convegni, studi, progetti di legge, vertici ed altro, il problema non fa un passo avanti. Tutti sembrano mettersi la coscienza in pace con il presentare una leggina, poi si rimettono a sedere. Signor ministro, signori della maggioranza, decenza vuole che questi dipendenti del Campo Darby di Livorno e di Pisa non siano più presi in giro. È soprattutto un problema, creda signor ministro, di decenza e di dignità. È significativo al riguardo l'episodio, non certo piacevole, avvenuto nel Campo Darby davanti ad uno sciopero. Il comandante americano ha avuto parole verso noi italiani non certo simpatiche perché, fra l'altro, ha voluto ricordarci che continua per noi un rapporto di sudditanza. Ebbene, nessuno del Governo ha sentito il dovere di replicare ufficialmente.

 

Classe politica e militari

Già, la classe politica, signor ministro! Classe politica e militari. Che bellissimo tema! Ma in questo secondo dopoguerra, signor ministro, in che è consistito il colloquio fra classe politica e militari? È stato più un colloquio di vertice per le carriere, dove si sbandieravano i brevetti partigiani. È, la classe politica, signor ministro, che deve dire ai militari come modellare questo apparato militare, per rispondere agli scopi politici che in un dato periodo storico la nazione si dà. È la classe politica che deve dire cosa vuole l'Italia, dove vuole andare, quali compiti si prefigge. È la classe politica, la classe militare che devono preparare lo strumento adeguato alle mete segnate. E nel periodo degasperiano, coincidente con la guerra fredda, l'Italia si proponeva la difesa del sistema democratico occidentale nel quadro della NATO. Non esisteva una visione mediterranea. Il Mediterraneo era considerato un lago tranquillo, sotto il pieno controllo della sesta flotta americana.

In un successivo periodo, che vide spostarsi in mare la strategia nucleare, con lo smantellamento delle basi fisse terrestri, delle famose rampe dei missili Jupiter e Thor e il loro trasferimento sui sottomarini muniti di pozzi per i Polaris, il Mediterraneo si trasformò in un mare strategico per gli americani, in una enorme e ancora tranquilla base di lancio, di minaccia nucleare contro l'Unione Sovietica.

Con l'ingresso della flotta sovietica nel Mediterraneo, questo mare si è ancora trasformato in un teatro di possibili scontri navali anche tattici fra la NATO e i russi, scontri in cui le flotte NATO rischiano di trovarsi a mal partito, giacché l'eccessiva sicurezza degli anni passati le aveva indotte ad alleggerire pericolosamente le artiglierie, i calibri navali e a non curare sufficientemente il settore dei missili tattici superficie-superficie, nave-nave.

Dotate di ottimi missili antiaerei (superficie-aria), le flotte NATO passano dai missili strategici superficie-superficie Polaris, di enorme portata e con testata atomica, ad una completa carenza di missili intermedi destinati a uno scontro navale.

L'affondamento, onorevole ministro, del caccia israeliano Eilath da parte di vedette lanciamissili di fabbricazione sovietica tipo OSA o tipo Komar, dotate di missili superficie-superficie Stik della gittata di 15 miglia ha rivelato improvvisamente la nostra vulnerabilità, giacché le flotte NATO non hanno un'arma corrispondente.

A che punto siamo? Stiamo forse correggendo questi errori di fondo, di previsione nell'impostazione degli armamenti navali? Ma nemmeno per idea, onorevole ministro! Tutte le marine del mondo tendono a costruire navi che possano rispondere a tutte le evenienze. Noi no! Costruiamo navi bellissime, ma non c'è dubbio che non potranno mai, nel caso deprecato, fare la guerra. La Vittorio Veneto, onorevole ministro, ha cannoni esclusivamente antiaerei. La componente antinave è nulla, e quando la nave sarà varata, servirà alla inutile scuola comando di Augusta, non certo per la nostra difesa, nella mutata situazione militare determinatasi nel Mediterraneo.

Abbiamo 5-6 sommergibili, vecchi, lenti, troppo grossi, insufficientissimi per la lotta antisommergibili. Sono tutti di vecchia fabbricazione americana. È vero che la nostra funzione consiste nel difenderci; ma come? Gli incrociatori russi hanno cannoni da 203, hanno missili nave-aria, nave-nave e antisommergibili. Non siamo in grado di far loro neppure un graffio. Non abbiamo la componente che possa difendere i nostri traffici in conflitti locali. Scusi, signor ministro, che ne facciamo dell'impianto di metano di Panigaglia, che pure è il polmone attraverso il quale dovranno respirare le industrie del nord, se le nostre petroliere, trasportando il combustibile, non possono essere difese? Domandi allo stato maggiore se c'è un piano al riguardo. Non esiste assolutamente nulla.

 

GUI, Ministro della difesa. Su questa parte lei è meno informato.

NICCOLAI GIUSEPPE. Spero di esserlo stato meglio sulla prima parte. Che dire della componente aerea? Il collega De Stasio ha citato gli S2A Grumman, sorpassati, che hanno fra l'altro scarsa autonomia di volo. In questo sono confortato dalla testimonianza di un suo collega di partito, signor ministro, e credo di non sbagliare. Egli ha affermato che l'intervento aereo richiesto dalla Marina non è mai sicuro, appunto perché deve essere richiesto. L'optimum sarebbe che gli aerei fossero sempre in volo; ma siccome il loro intervento deve essere richiesto, la esperienza ci dice che esso avviene sempre in ritardo nei confronti di quanto è richiesto dalla situazione. Si tratta di ritardi di 2 o 3 minuti dal momento della richiesta; ma 2 o 3 minuti sono sempre decisivi in uno scontro navale moderno, e possono anche far perdere una battaglia.

Nulla è stato fatto, signor ministro, nonostante l'onorevole Giovanni De Lorenzo sia di parere contrario, nel campo dell'elettronica. Nelle guerre moderne, l'elettronica è fondamentale. L'Albania è in grado di far dirottare sulle sue basi i nostri aerei. Non solo siamo a zero nella difesa missilistica, ma a zero via zero anche nel campo del radar antisommergibile. Si informi, signor ministro: i nostri mari sono caldi, e il radar a nostra disposizione non è adatto per quei mari. Non c'è dubbio che dal punto di vista economico e sociale noi superiamo l'Egitto; ma non certo dal punto di vista militare. Non faccio poi il paragone con il piccolo, eroico Stato di Israele, perché sarebbe un paragone davvero inappropriato.

Perché si è detto «no» ad una produzione di missili nazionale? Perché ci siamo -classe politica in testa- completamente affidati agli americani in questo campo, subendone gli errori e comprando i loro missili? Il comandante Azzoni, dell'incrociatore lanciamissili Garibaldi, che dimostrò brillantemente le nostre possibilità e capacità d'iniziativa montando con sistemi addirittura rudimentali i pozzi per i Polaris sulla sua unità, si scontrò (è cosa risaputa), non solo con la gelosia degli americani, ma anche con l'atteggiamento passivo e indifferente delle nostre autorità, tanto da essere indotto ad abbandonare la carriera. Ed è triste ed è melanconico questo. Lui, che è sempre stato ed era il migliore del suo corso! Pare impossibile, signor ministro: nel nostro paese si fa tutto per premiare le iniziative sbagliate, come il CAMEN, e per punire gli Azzoni! E questo veramente è sconsolante.

 

DURAND de la PENNE. Non è esatto, onorevole Niccolai, che l'ammiraglio Azzoni abbia lasciato la marina per colpa della marina.

NICCOLAI GIUSEPPE. Sono d'accordo con lei. La colpa infatti è della classe politica italiana.

DURAND de la PENNE. Questo è un altro fatto.

 

Nel Mediterraneo senza un concetto strategico

NICCOLAI GIUSEPPE. Siamo nel Mediterraneo (ecco, signor ministro, questo è il punto) senza un nostro concetto strategico. C'è di più: ci siamo con una errata impostazione strategica. Ma perché? Perché l'intera materia della difesa del nostro paese è stata da noi delegata agli americani; essi poi, in via del tutto subordinata, ci hanno affidato compiti settoriali nel quadro della difesa, che, non dimentichiamolo, signor ministro, è lo scopo primario per cui sorgono gli Stati. Vi abbiamo rinunziato, signor ministro, per avarizia ed insufficienza di senso storico, per insufficienza di coscienza nazionale e direi anche civica. E gli americani ci hanno affidato la difesa della cerniera orientale, sul confine della Jugoslavia. Siamo dunque ritornati, come i nostri nonni, a svolgere le nostre brave manovre tra l'Isonzo e il Piave, solleticando con ciò la pigrizia mentale di certi settori dello stato maggiore che hanno già buona parte dei temi tattici belli e pronti da cinquant'anni. Ma non è quello il teatro principale delle ipotizzabili operazioni che interessano in modo vitale l'Italia. Questo teatro è il Mediterraneo, signor ministro. È il mare che non pretendiamo, no, che sia «nostro» (Dio ce ne guardi e liberi), ma che resta, signori del Governo e della maggioranza, piaccia o non piaccia, la nostra linea di confine più estesa e più scoperta. La strategia, come non lo fu mai, torna sul mare. E noi no: noi la guardia la facciamo sul confine orientale, come se non avessimo traffici, interessi di primaria grandezza, problemi anche di prestigio politico in tempo di pace, rilanciati nel Mediterraneo.

Non vi è dubbio, la nostra partecipazione alla alleanza atlantica va rivista, si impone una evoluzione dei rapporti nel senso più dignitoso al nostro peso specifico di grande paese industriale, civile e moderno. E mi piace trovarmi d'accordo con un eroico soldato come Durand de la Penne, che ha espresso anche questo identico concetto.

Ma questa evoluzione deve essere accompagnata da un disegno strategico. Dobbiamo, onorevole ministro, ridiscutere da capo il ruolo dell'Italia nella sua area geopolitica, impostare una concezione strategica moderna in funzione del nostro paese, scendere dalle Alpi al mare e dotarci dello strumento che dia consistenza alle idee sia pure democratiche.

Tanto la partecipazione quanto la neutralità restano vane parole, sogni demagogici, mozioni da congresso, senza un pensiero strategico autonomo e senza la forza che lo giustifichi.

I paesi neutrali per eccellenza, come la Svizzera e la Svezia, hanno solide industrie degli armamenti, una preparazione militare eccellente, una dottrina ed una letteratura militare di primissimo ordine e soprattutto spendono quello che è necessario per rendere credibile e rispettata la loro neutralità. Essi dovrebbero servirci da esempio giacché sono molto più avanzati di noi nella moderna elaborazione della difesa che, o si concepisce come difesa a livello nucleare, o chiudiamo, onorevole ministro, il Ministero della difesa perché non serve a nulla.

 

Trattato anti-H e classe militare

Trattato di non proliferazione. Mi dispiace perché sembra un discorso di critica verso la sua persona, ma non lo è, onorevole ministro, anche perché ella non ha responsabilità passate. Non interessa al ministro della difesa il trattato di non proliferazione? È fatto marginale? Competenza esclusiva dell'onorevole Nenni e dell'onorevole La Malfa? Se ne devono occupare solo loro? E i militari? Ma a che servono questi militari allora? Elemento decorativo nelle parate e nelle festività nazionali? Punto e basta? Questo è il loro ruolo? Ma cosa pensano gli organi competenti militari sul trattato di non proliferazione? Il Parlamento, che aveva il dovere di saperlo, il paese che ne avrebbe il diritto, non ne sanno nulla. Nel clima delle inchieste sul SIFAR si è temuto forse che un'iniziativa del genere, tesa a far conoscere all'opinione pubblica il motivato parere dei militari, equivalesse ad un pronunciamento?

A nostro personale avviso, il ministro e i militari avrebbero dovuto rischiare anche una falsa accusa del genere. Credono forse i militari di essere utili restando, qualunque cosa accada o si faccia soffrire al paese, piuttosto che buttare il berretto sul tavolo del ministro? Sbagliano! E che dire, signor ministro, del suo silenzio? Io domando: c'è agli atti un parere tecnico-militare dello stato maggiore della difesa (esercito, marina, aviazione) su questo fondamentale problema di difesa che ci assoggetta, se firmiamo -come scrive la rivista Aeronautica- per un quarto di secolo agli umori dei grandi, perché un dispositivo militare come il nostro, privo di armi atomiche incondizionatamente indisponibili, non garantisce la sicurezza?

Questa è la nostra condizione odierna, signor ministro. Quale è il suo pensiero? Anche per rimediare a questo dobbiamo unire l'Europa ed armarla al pari delle grandi potenze. Ma il trattato anti-H, che non prevede clausole europee, ce lo impedirà per tutta una generazione. Per questa firma Pietro Nenni potrebbe essere maledetto, tra venti anni, da un ragazzo italiano costretto a darsi fuoco come oggi fanno i ragazzi di Praga. L'avvenire non lascia alternativa tra l'essere modernamente difesi, cioè atomicamente, o bruciare come bonzi. Già oggi l'esperienza della Cecoslovacchia lo dimostra drammaticamente: l'esercito convenzionale non è servito a nulla: la disperazione delle torce umane è più efficace dell'esercito convenzionale.

0 questo o quello, signor ministro: o ci lasciamo per lo meno aperta l'opzione nucleare, oppure diciamo chiaramente che per 25 anni scegliamo come mezzo di difesa la tecnica dei bonzi. Non è un paradosso. In Germania si drammatizzano, lo riconosco, le vicende umane: ma in Germania già si discute del problema, e c'è chi ha proposto di sostituire l'esercito con l'organizzazione della resistenza civile sul modello cecoslovacco. Può sembrare assurdo, ma è ancora più assurdo ciò che si fa da noi: decidere di cose grandi in un Parlamento deserto, sulla base di discussioni generiche e vaghe, senza nemmeno vagliare il parere di chi a spese della comunità dedica, come i militari, tutta l'esistenza, proprio allo studio di problemi di questo tipo.

 

Non avete fiducia nelle forze armate?

Non avete fiducia nelle forze armate? Le tenete in sospetto? Abbiate allora -vivaddio!- il coraggio di dirlo chiaramente; ma è assurdo spendere delle cifre, che pur non essendo sufficienti sono sempre consistenti, per poi ignorare il parere di questo costoso e spesso falsamente accarezzato organismo su un trattato che, come scrive oggi l'ambasciatore Fenoaltea, sanzionando il nazionalismo nucleare della Francia e dell'Inghilterra, infligge all'Italia un'inferiorità permanente e non valicabile rispetto a paesi europei di analoga dimensione, rendendo impossibile, ora e in futuro, l'istituzione di una comunità europea di difesa, ed è quindi un ostacolo grave all'unificazione europea. È l'aspetto più grave -scrive Fenoaltea- addirittura tragico del trattato.

Ho detto che le generazioni future potrebbero maledire Nenni per questa firma, ma potrebbero anche considerare un vero e proprio tradimento il silenzio che su questa vicenda le gerarchie militari hanno inspiegabilmente mantenuto. Signor ministro, mi avvio alla conclusione; desidero ora parlare dell'anima del nostro soldato. Chi si occupa di questi problemi dell'anima? Signor ministro, faccia attenzione a che il sistema non scoppi nelle caserme, così come è scoppiato nelle università. Occorre colmare il dislivello tra le forme di vita civile e quella militare, ancora legata, in basso, ad una società agricola che ora non esiste più. La vita militare, in basso, è ancora legata ai costumi del contadino piemontese, mentre bisogna riconvertirla all'era dell'operaio e delle attività terziarie, sempre in maggiore espansione tra i giovani. I soldati di leva, i marinai ed i giovani ufficiali vanno retribuiti meglio. Ragioni di bilancio dicono di no? Si rivedano certe cifre, certe spese; si mettano coraggiosamente gli occhi sugli arsenali, sullo spreco di materiali e di carburanti che si fa, spesso in modo offensivo. Si vedano le spese impegnate per la manutenzione di vecchie caserme cadenti, si veda il numero sproporzionato di ufficiali superiori; signor ministro, mi dicono che abbiamo mille generali e cinquemila ufficiali superiori. L'esercito svizzero, che è capace di mobilitare 800 mila uomini in 24 ore, ha un generale e quattro colonnelli.

 

L'inutile scuola comando di Augusta

Si metta l'occhio sulla scuola comando di Augusta, che costa molto e non si sa quale utilità abbia (la nostra è l'unica Marina al mondo che l'ha), se non quella di tenere impegnate in compiti che non spettano e non si addicono ad esse le corvette più moderne della nostra Marina, le quali, usate per scuola guida, deperiscono in ferri vecchi. Si metta l'occhio sui lavori che certe ditte fanno alle navi in riparazione. Innanzi tutto si commette l'errore di sbarcare l'equipaggio, che sa dove la nave va amorevolmente curata, e quasi operata, come se fosse un corpo umano. Lo sanno questo, gli ufficiali ed i marinai, e voi li sbarcate. Come tante cavallette, le ditte ci si buttano sopra. E quando l'equipaggio si rimbarca sulla nave è un pianto perché i lavori sono fatti a metà, sono eseguiti male. La nave immancabilmente esce dalla «cura» in peggiori condizioni di quelle con cui vi è entrata.

Si veda quello che si va facendo in Francia nella base di Tolone. Là si vedono installazioni, centri, plance operative a terra che simulano perfettamente quelle di una nave. Tutto è programmato. Da noi no.

E perché poi meravigliarsi se i giovani non sentono più il richiamo delle forze armate? Perché i giovani, che escono dalle accademie pieni di entusiasmo e di voglia di fare, si ritraggono poi delusi e scorati? Perché si trovano dinnanzi a spettacoli tristi, a mentalità superate e sempre guidate dal criterio che «tutto ciò che può migliorare va scartato perché può creare grane», o meglio dal celeberrimo motto: «Ma chi te lo fa fare?».

 

Delusione, scoramento, abbandono

Delusione, scoramento e abbandono. È, lo stato d'animo delle nostre forze armate. C'è da piangere, signor ministro. Lasciamo da parte tutto: armamenti, problemi strategici, stanziamenti inadeguati. Fermiamoci un attimo sullo stato d'animo delle forze armate. Non vi può essere esitazione: il nostro «no» alla politica militare del Governo parte dalla constatazione che avete distrutto e state distruggendo ogni ragione perché l'Italia creda nelle sue forze armate.

È stato scritto che nulla varrebbero le scoperte degli scienziati, i calcoli dei matematici, l'ingegnosità dei tecnici, se non trovassero il loro naturale prolungamento e i presupposti necessari alla traduzione pratica nell'organizzazione, nei profondi congegni morali di un esercito: quella è la grande scuola dove si allevano uomini, dove si mettono alla prova le doti di intelligenza non meno che il coraggio, l'equilibrio nervoso, l'armonia delle qualità psichiche e fisiche non meno che le capacità di sacrificarsi e di morire, se è necessario, per uno scopo collettivo che trascende la vita individuale.

A stato scritto: «Il prestigio politico, l'immagine stessa di un popolo, appaiono, ancora una volta, in rigorosa relazione con la preparazione e la potenza delle sue forze armate. E nelle forze armate una nazione esprime le migliori sue doti, la volontà di un governo, la compattezza di uno Stato». Sono parole, signor ministro, che salutano l'impresa di tre soldati: Borman, Lovel e Anders. Potrebbero essere indifferentemente dedicate a tre soldati dell'esercito sovietico.

Anche i nostri soldati, signor ministro, furono capaci, in situazioni diverse, con mezzi diversi, in tempi non lontani, di sbalordire il mondo con grandi e clamorose imprese. Una grandissima arteria dedicata a Italo Balbo nella città di Chicago testimonia dell'impressione che i nostri voli in massa attraverso l'oceano destarono nel mondo. Gli eserciti, le armate, le flotte non sono stupidi lussi di guerrafondai, signor ministro: sono la spina dorsale, la garanzia di sopravvivenza, il vivaio autentico in cui una nazione prepara le forze per le grandi contese che sempre sono esistite e che sempre esisteranno nel mondo. Voglia Iddio che l'Italia ritrovi nelle sue forze armate il senso profondo della sua storia e della sua dignità di nazione! (Applausi a destra).

Giuseppe Niccolai