DICONO
"Secolo d'Italia", 4 marzo 2011 Cari amici del Cav, lasciate stare Niccolai Enzo Raisi
Non sarei mai voluto intervenire nei dibattiti tra ex missini che toccano il tema dell'eredità politico culturale degli anni '70 e '80. Ho sempre mantenuto un atteggiamento di basso profilo sia per rispetto di chi non c'è più ma sopratutto perché lasciarsi andare al torcicollo e strumentalizzare il passato per giustificare le scelte di oggi non rientra tra le categorie del mio pensiero. Chi conosce la mia storia politica dentro il MSI e poi in AN sa bene che sono sempre stato laico, liberale e come direbbe il mio amico Benedetto Della Vedova, un "calvinista" per quanto riguarda i rapporti tra etica e politica pur avendo una posizione libertaria rispetto alla vita privata dei cittadini. Avrei continuato a tacere se ieri al convegno della nuova associazione di reduci missini denominata "Rivolta Ideale" non fosse stato citato, e in qualche modo accostato a quel parterre, quello che io considero un mio "maestro", Beppe Niccolai. Un uomo tanto amato dal sottoscritto quanto deriso e denigrato da buona parte dei coofondatari della nuova associazione come Maurizio Gasparri e il senatore Domenico Gramazio, ricordato negli annali del Senato della Repubblica unicamente per aver pasteggiato con champagne e mortadella quando Prodi fu sfiduciato nel 2008. Niccolai era esattamente l'antitesi di questi esponenti politici, era un ex parlamentare -ebbe, forse unico, la capacità di ritirarsi dopo due legislature- che viaggiava in lungo e largo l'Italia sempre in seconda classe, presentandosi con abiti che avrebbero fatto inorridire il Cavaliere tanto erano semplici ed economici. Beppe era un dirigente politico che si era distinto in Commissione Antimafia per la sua battaglia a favore della legalità e contro i rapporti mafia-politica, certo non avrebbe votato come il PdL sul caso Cosentino. Beppe era uno che usava azzardare in campo culturale guardando anche a sinistra, e non a caso fu il primo che, guardando l'esperienza craxiana, parlò di "socialismo tricolore" e cercò di convincere un MSI titubante che la fase modernizzatrice aperta in Italia dal leader socialista era anche una nostra battaglia. Beppe avrebbe ringraziato il "Secolo d'Italia" di questi ultimi anni, un po' provocatore e un po' futurista, per il dibattito culturale che ha saputo sollevare e avrebbe aborrito ogni tentativo di normalizzazione di questo quotidiano anche quando non ne avesse condiviso pienamente le idee. Proprio questo ho cercato di fare in questi tre anni, quando da amministratore non sempre ero in sintonia con ciò che si scriveva, ma nel rispetto dello spirito niccolaiano ho fatto prevalere le ragioni del dibattito e del confronto delle idee a quelle del conformismo della linea politica. Ero un giovanissimo dirigente nazionale del FdG quando in splendida solitudine, con pochissimi amici -cito tra i tanti il giovane Gianni Alemanno, poi risucchiato da altre logiche correntizie, Pietrangelo Buttafuoco, oggi poeta del nuovo corso berlusconiano, ma anche e soprattutto Umberto Croppi e Peppe Nanni, che furono con Beppe gli estensori del documento, e quindi Fabio Granata e Carmelo Briguglio- firmammo la mozione "Segnali di Vita" nel congresso del MSI del 1984.
Eravamo pochi, tutti ci guardavano con
ammirazione (e ricordo l'amico e compianto Nicola Pasetto, che non firmò per
realpoltik ma fece firmare alcuni suoi amici di Verona) ma pochi, anzi
pochissimi, ebbero il coraggio di seguire quel visionario di Beppe. Eppure fummo
un esempio per molti, quell'atto risvegliò un partito dormiente anche se
nell'immediato per molti di noi significò l'isolamento: i rautiani ci guardavano
con sospetto e timore perchè andavamo ad intaccare il loro comodo ruolo di
oppositori storici e gli almirantiani ci tacciavano di essere traditori.
Politicamente ne pagai il prezzo ma ricevetti in cambio l'amicizia di una
persona unica che ha saputo darmi in termini di valori un indirizzo che ho
sempre seguito negli anni successivi e di cui sono orgoglioso.
|