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"L'Eco della Versilia", n° 3 Anno XIII - 30 Aprile 1984

 

Confronto di idee ...

Beppe Niccolai

 

L'Italia -smaltita la sbornia- torna a meditare, a riflettere. Sulla sua vicenda. L'asprezza delle situazioni aiuta questa collettiva riflessione.

Il disastro finanziario è pari a quello di una guerra perduta. La mafia, la camorra, la 'ndrangheta, sequestrano e uccidono. Le difficoltà della vita si fanno aspre, dure.

C'è bisogno di rimeditare tutto, di chiedersi: «perché, perché tutto questo?»

Demonizzato il passato. Sfascio del presente: che resta? Il nulla. Ma il passato?

È il desiderio nascente e struggente di ritrovare, tutti insieme, un destino storico all'Italia; e perché questo destino sia raggiungibile, dare all'Italia, al posto delle decrepite istituzioni ottocentesche che la attardano in crisi ricorrenti, strumenti di governo liberi, efficienti, adeguati all'era nucleare che viviamo. L'ansia di fare, di ritornare protagonisti nelle competizioni che ci aspettano, nella difesa del nostro lavoro, su tutti i mercati del mondo.

Condizione per ritornare a contare: scoprire gli anni dei diavolo.

Il fascismo è stato un grande laboratorio di esperimenti sul vivo, da cui nessun sviluppo successivo può prescindere. Le costruzioni ideologiche del secolo che viviamo si trovano dinanzi ai grandi problemi che il fascismo affrontò con soluzioni sue: l'unione Popolo-Nazione. La crisi delle istituzioni parlamentari. I ceti medi emergenti.

La Nazione, in quanto tale, per noi, ha un suo futuro. È un’entità religiosa; il passato è Nazione, ma è anche una tematica post-moderna, validissima. Occorre riguadagnare gli Italiani al destino nazionale, facendo capire loro quale prezzo abbiano pagato voltando le spalle al proprio passato, alla memoria storica, alla Nazione.

L'uomo vive di passato e di avvenire insieme.

Assassinando la Nazione, il passato, gli Italiani, privi di bussola, si sono ritrovati i figli sbattuti fra la droga e il partito armato. Massacrati nell'animo. Perché senza destino. Perché senza speranza.

E come facevano ad avere un destino, una speranza se gli era (e gli è) proibito di guardare nel proprio passato, di chiedersi, chi sono? ma da dove vengo? chi è mio padre e mia madre?

La vacanza dalla storia e dalla memoria, gli Italiani l'hanno pagata così: nei figli.

Impedendogli di guardare nel passato demonizzato e dandogli un presente carico di fango, che cosa poteva venir fuori se non le infelicità?

Solitudine. Disperazione. I figli contro i padri. Massificazione della donna.

E stordirsi, stordirsi. In fondo al viale: la droga, l'assassinio, il nichilismo.

Senza avvenire. Senza speranze. Baldorie senza costrutto: questi gli anni della DC. Che hanno reso questo Paese, fra l'altro, il paese meno cristiano d'Europa.

Occorre uscirne fuori. Con la Nazione armata? Con il nazionalismo aggressivo primo '900? Assolutamente no.

Però della Nazione non se ne può fare a meno. Ed è l'esperienza che ce lo dice. La Nazione riemerge come la più vasta area organicamente realizzabile.

Il tentativo di un impero americano comprende tutti i popoli del cosiddetto mondo libero.

La comunità europea è un aggregato senza anima. Nessuno ci crede.

L'umanità non è ancora un principio organizzativo.

Ci si organizza intorno a elementi distintivi, non indifferenziati. L'Europa è l'Italia, l'Europa è la Francia, l'Europa è la Germania. Non è il cosmopolita, l'uomo errante, il vagabondo, il girovago. Se si rifiuta la Nazione o si cade in forme di disgregazione neo-feudale con la partitocrazia, la correntocrazia, la sindacatocrazia, il prepotere dei gruppi, finanziari -o, addirittura- criminali, si cade nel vassallaggio delle grandi potenze.

Non sono sufficienti la sana amministrazione, le sane regole dei gioco. La stessa grande riforma istituzionale sarebbe un non-senso (le Istituzioni sono passioni o non sono), se non riuscissimo a darle un'anima, una grande prospettiva; obiettivi che trascendono gli individui.

È un vuoto d'anima che occorre colmare. Con che cosa? Con l'atlantismo?

Con Strasburgo? Sventolando bandierine americane?

No, certo. Ma tornando a sentire l'orgoglio della propria identità nazionale; il gusto, il sapore delle proprie insostituibili radici.

Siamo sul crinale di due epoche. Un clima pluridecennale di violenze, di scontri, di sangue, di dolore -faticosamente-, sta dando il passo ad un quadro politico che dalla lacerazione passa alla ricomposizione. Si scaricano le tensioni nevrotiche di una guerra civile tenuta in piedi da un mondo politico che doveva coprire la povertà, il vuoto delle sue proposte. Le certezze di ieri, le spavalde certezze del '68, son tutte crollate. Si sente l'indicibile desiderio di tornare all'identità che ci fa Italiani.

Confronto di idee, non di poltrone.

La patria che si sposa con il popolo, il sogno nazionalpopolare; il progetto di istituzioni libere ed efficienti che restituiscano l'Italia agli Italiani espropriati dai partiti; il ridestato sogno di un destino italiano nel mondo.

Non abbiamo abiurato. Non abbiamo consegnato i libri. Abbiamo testimoniato. E la fede (che altro non è che il coraggio civile) che abbiamo mantenuta intatta, in tutti questi duri anni di lotte, ha fatto sì che altri ne fossero contagiati. L'idea della Nazione, l'idea dello Stato che è nostra, contagia altri.

Il confronto è di idee e sulle idee. La partita è aperta. È a tutto campo. Abbiamo dimostrato di saper navigare nel mare in tempesta. Ci aspettano ora le nebbie del mare in bonaccia, non meno pericolose della tempesta.

Sta a noi, cari amici, dimostrare che la lotta non ci ha svuotati, ma rafforzati nel chiedere e nel volere un'Italia libera e pulita; un'Italia che sia degli Italiani, di tutti gli Italiani, comunque essi la pensino. Perché, oggi, questa Italia corrotta non è degli Italiani.

Appartiene alla putrescente partitocrazia.

Giuseppe Niccolai