DICONO
da "Epoca" del 12 febbraio 1989
Da deputato missino elogiò il Vietnam comunista. Ora vuole recuperare Pasolini. Così spera di salvare l'Italia e il MSI
Beppe
Niccolai Fabio Troncarelli
I giudizi su di lui sono contrastanti. Elogiato da Leonardo Sciascia per la sua relazione di minoranza nella Commissione antimafia e dileggiato da Giorgio Bocca perché «smargiasso e contraddittorio», Giuseppe Niccolai è una figura a sè stante nel Movimento Sociale. È tra i fondatori del Partito, stretto collaboratore di Almirante, ma è diventato però negli ultimi tempi il suo più duro antagonista. Non esita a denunciare un membro del Consiglio comunale di Pisa che lo chiama con disprezzo «fascista» nel '75; ma non esita neppure a chiamarsi «fascista» alludendo alle sue convinzioni. Nemico dichiarato dei comunisti «assassini», è amico di uomini come Romano Bilenchi ed ammira i comunisti «coerenti» con le loro idee. Pronto ad attaccare gli eccessi della sinistra ma altrettanto pronto ad elogiare il Vietnam vittorioso sull'imperialismo americano e ad invitare gli italiani a «non mangiare carne e a mangiare Agnelli». Prima o poi, quindi, doveva succedere. E non poteva che essere lui, Giuseppe Niccolai, l'artefice di quanto è successo durante l'ultimo congresso del Movimento Sociale, quando l'estrema destra italiana, ha rivendicato tra i suoi antenati nientemeno che Pier Paolo Pasolini, l'autore di film spietati nei confronti del fascismo come "Salò-Sade", l'intellettuale che bolla con parole di fuoco i fascisti, nei lunghi anni di militanza all'interno della sinistra. Gli intellettuali di sinistra hanno immediatamente reagito a quella che giudicano un'appropriazione indebita: ma il dibattito su Pasolini e sul senso di certe sue affermazioni non si è spento ed è destinato a riaccendersi presto. All'interno stesso del Movimento sociale non tutti sono d'accordo con questa operazione, ma Giuseppe Niccolai, 69 anni, ex-deputato e personaggio «scomodo» del neofascismo italiano è deciso ad andare avanti. La sua vita politica, del resto, è piena di iniziative clamorose: nel dopoguerra chiede ed ottiene dai comunisti fiorentini un dibattito pubblico sull'imperialismo americano. Nel '77, ferito in un attentato di «Prima Linea», invita pubblicamente tutti, compresi i suoi aggressori, a superare l'irrazionalismo. In un congresso del MSI fa approvare come sua mozione un documento del Comitato centrale comunista, appena camuffato, per dimostrare che gli ideali di destra e di sinistra sono oggi simili. Sempre all'opposizione e sempre pronto a gettarsi nella mischia, Niccolai gioca adesso la carta del recupero di Pasolini.
Come fa a dire che Pasolini è di destra? «Io credo che i concetti tradizionali di destra e di sinistra siano superati ...»
Sì però il «vostro» Pasolini è diverso d quello del partito comunista. «Il quale peraltro snobba Pasolini! No, vede, io continuo a ripetere che sinistra e destra sono parole astratte oggi. E un momento di crisi delle ideologie, in cui tutte le carte si rimescolano e l'unico metro di giudizio è il successo. Insomma: siamo in pieno trionfo del capitalismo e della sua ideologia. Il sistema di potere è capace d triturare tutto e di livellare ogni differenza in nome del profitto, con un cinismo senza precedenti nella storia. I partiti stentano a tenere il passo con questo meccanismo che stritola tutto e lottano per la sopravvivenza. Resiste solo la Democrazia cristiana che è il braccio secolare di questo processo di livellamento e che è costituzionalmente il partito del trasformismo ...»
Va bene, ma mi parli di Pasolini... «Ci arrivo subito. Pasolini ha interpretato come nessun altro questo processo storico. Lo sa perché? Perché i poeti sono profeti. Sono i massimi interpreti della storia. L'intuizione più significativa di Pasolini è che la nostra società sia costituita da una massa di individui che non sono più individui. Sono come dei «replicanti», livellati da un società che ha potenti mezzi di pressione. Insomma è il tema della "omologazione" che mi pare degno di essere ripreso i chiave politica».
E come giudica films come Salò-Sade? «Certo. È un film che parla male del fascismo. Lo dicono anche i miei compagni di partito. Ma il Pasolini che ci riguarda è quello degli "Scritti Corsari", delle "Lettere luterane". Il poeta che sfida il mondo moderno ed il mito del progresso. Pasolini è i figlio legittimo di un certo antimodernismo che alimenta la cultura dell'Ottocento e del Novecento e s'incarna in figure di grande prestigio, come Novalis o Nietzsche».
Ma le idee poi si scontrano con la realtà dei fatti. Non è solo la società che nega la libertà. Anche certe ideologie pseudo-rivoluzionarie la negano. «Se vuole alludere al terrorismo ...»
Per dirne una... «Ebbene io sono contro ogni tipo di terrorismo. E riconosco che nel mio stesso partito ci sono stati errori in questo senso Errori che io non condivido affatto. Alcuni gruppi si sono lasciati strumentalizzare da servizi segreti di ogni risma, contraddicendo gli ideali che ci guidano».
Non è questo l'unico ostacolo. Ad esempio: come si concilia la «solidarietà» con il razzismo? «Non si concilia. Per me il razzismo è sbagliato e assurdo. Anche questo ha inquinato il nostro partito. Ma oggi non è più così. Ho molto apprezzato il gesto del nostro segretario, Fini, che ha dato un contributo alle manifestazioni di solidarietà coi cosiddetti "Vu' cumprà", portando dei regali offerti dal partito. Su questa strada dobbiamo procedere. Io non sono razzista, non lo sono mai stato. Quand'ero prigioniero negli Stati Uniti ho lavorato alla raccolta del cotone con i negri e i messicani. Eravamo nella stessa barca: noi vinti ed umiliati dall'imperialismo americano; loro emarginati e sfruttati dallo stesso imperialismo».
Quanto ha contato l'esperienza della prigionia nella sua formazione politica? «Moltissimo. Prima della guerra non mi ero mai occupato di politica. E solo dopo la prigionia che ho sentito il bisogno di intervenire. In Italia c'era un Paese lacerato da una guerra civile. Io ho sentito il bisogno di fare qualcosa per aiutare gli altri a ricomporre le divisioni. Sono convinto che vi sia una necessità dello stesso tipo anche oggi. Oggi stiamo finalmente uscendo dal tunnel della guerra civile, dopo la seconda puntata degli «anni di piombo». Ma il Paese è sempre lacerato e ferito nello spirito».
E che si deve fare? «Si devono superare le divisioni. Anche quella classica tra sinistra e destra. Le sembra un caso se tutti riscoprono il significato profondo del passato, grazie a storici come De Felice, che ci fanno conoscere i fatti e superano la demonizzazione del fascismo come "malattia morale"?».
Ma perché, che cosa c'è di nuovo da scoprire nel fascismo? «La Repubblica di Salò. Lo so che dicendo questo posso apparire un provocatore agli occhi di molti. Ma se ci liberiamo dei pregiudizi e guardiamo la realtà in faccia, dobbiamo riconoscere che nel breve periodo della Repubblica di Salò sono state dette e fatte cose inammissibili prima, cose che riscattano molti errori del fascismo».
Per esempio? «Se si legge bene la storia della Repubblica di Salò, si troveranno, insieme a tante atrocità, tanti episodi importanti. Il rifiuto della Decima divisione di vestire la camicia nera per restare in divisa grigioverde. Le lettere di combattenti che si dichiarano apertamente antifascisti, ma che combattono in nome dell'Italia e sono decorati al valor militare, nonostante le loro idee. Il tentativo di recuperare le radici socialiste del fascismo. Tutte cose che non hanno avuto modo di svilupparsi, né tempo di maturare in quel contesto. Ma che costituivano delle novità importanti».
Ma non pensa che in molti casi fosse solo fumo negli occhi, demagogia opportunistica di un regime che barcolla e cerca appoggi dovunque? «No. Io penso che si trattasse di una genuina autocritica che si faceva strada in molti rappresentanti del fascismo a cominciare da Mussolini. Le faccio un esempio. In un celebre scritto di quel periodo, Mussolini rese pubblica una lettera riservata su Badoglio che gli era pervenuta molti anni prima. Ed ammise di avere commesso un errore gravissimo dando il comando delle Forze Armate a un uomo di questo genere. La lettera denunciava infatti gli intrighi di Badoglio, il suo carattere, la sua inettitudine. Mussolini ammetteva in questo modo di essere responsabile dei disastri militari nella guerra: di avere protetto personaggi come Badoglio, massoni e mafiosi, che avevano mandato le truppe allo sbaraglio, senza equipaggiamento adeguato, senza strategia, senza convinzione».
Torniamo a Pasolini. Pasolini che non aveva davvero un'immagine così positiva della Repubblica di Salò. Pensa davvero che il suo spirito «corsaro» o «luterano» possa servirci per ricucire le lacerazioni vecchie e nuove della guerra civile sempre in atto dalla fine della guerra? «Ci siamo sprangati fino a ieri. Abbiamo lottato gli uni contro gli altri con accanita ferocia. E che cosa abbiamo risolto? Il Paese è alla deriva. Non solo perché trionfano il cinismo e la logica del denaro. Ma anche e soprattutto perché sta perdendo completamente la memoria del suo passato. Per esempio il rispetto per i vecchi della società contadina. Il senso di austerità e di pienezza di vita, anche nella povertà, che c'era nella «umile Italia» prima dell'industrializzazione. Ecco, con l'aiuto di Pasolini noi possiamo cercare di far balenare davanti agli occhi dei giovani questi valori».
Ma nel suo partito, quanti condividono le sue posizioni? «I giovani sono con me. Gli altri hanno posizioni diverse dalla mia. Però molti sono d'accordo con le mie indicazioni, anche se poi si possono schierare in modo diverso da me. E credo che i consensi siano destinati ad aumentare col tempo. Abbiamo una sfida da affrontare. O riusciamo a dare una svolta decisiva agli orientamenti delle giovani generazioni, indirizzandole verso una società di solidarietà e di responsabilità, oppure avremo perso la partita ed avremo un mondo di esseri disperati che fanno una vita disperata senza rendersene conto». |