Anno XVI (1969) - n° 7 - Luglio 1969

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1) Sento il dovere di chiedere scusa


 

Sento il dovere di chiedere scusa

«Sento il dovere di chiedere scusa due volte all'intera città. La prima per l'invadenza che il mio caso di coscienza ha determinato. La seconda perchè, non avendo e non credendo in alcun confessionale politico, mi trovo costretto a rivolgermi a quello che considero il giudice naturale, cioè l'opinione pubblica e in particolare a quel settore che, in tutti questi anni, mi ha fatto l'onore di conferirmi fiducia.
Sono politicamente un nullatenente. Non ho alcun strumento di pressione che possa piegare alla bontà delle mie tesi l'opinione pubblica. Non sono in grado di distribuire nemmeno il più insignificante "posticino". Io posso solo invocare chiarezza, parlare con lealtà, appellarmi al cuore e all'animo dei miei concittadini.
Non chiedo, sia chiaro, alcuna assoluzione. Chiedo solo un giudizio. E a tale proposito mi sia consentito di dire due parole franche e chiare, come franco e chiaro è sempre stato il mio atteggiamento verso la città, verso gli amici, verso gli avversari.
Perchè mi sono dimesso da segretario provinciale?
Perchè continuo a lottare in quello in cui credo?
In tutti questi anni di vita politica ho sempre cercato in tutti i modi di adeguare la mia vita alla moralità di quell'umile gente (ciò è detto nel senso più alto della parola) che, dandomi fiducia, voleva innanzi tutto testimoniare e affermare una cosa: la validità e la bontà della lotta contro i soprusi, contro la violenza fisica e morale, contro l'ingiustizia, contro il conformismo.
Io il MSI l'ho sempre inteso e cercato di interpretare in questo modo: come un'ansia di giustizia. E sempre, nel limite delle mie modeste possibilità, ho ascoltato tutti, ho cercato di aiutare tutti quelli che, assetati di giustizia, hanno bussato alla mia porta chiedendo aiuto.
Mai ho chiesto di conoscere la loro fede politica. Mi sono preoccupato di conoscere le ragioni dei loro tormenti.
La mia vita è tutta qui. Non c'è nulla da indagare e da scoprire, l'incarico pubblico io non l'ho mai inteso come strumento per "ingrassare", ma piuttosto come arma da scagliare contro l'ingiustizia e il sopruso. E perchè non vi fossero dubbi ho sempre rifiutato i comodi gettoni di presenza e le varie indennità. Ho dato tutto agli illegittimi e ai poveri del comune.
Ho tentato, è vero, la scalata a Montecitorio. Non ci sono riuscito. Ma non per questo mi sono ritirato sotto la tenda. L'interesse materiale poteva consigliarmelo, non il patto di fedeltà stretto con l'umile gente.
Io il MSI, piaccia o no, l'ho sempre concepito così; come una ricerca di mani pulite. Perchè allora mi dimetto da segretario provinciale? Perchè "ieri oggi e sempre" non mi sono piegato e non mi piegherò a interferenze, da qualsiasi parte esse provengano, quando ho inteso e intendo, contro ogni interesse pratico ma per esigenza di chiarezza e di costume, combattere le posizioni via via assunte dal potere.
Non subisco il fascino delle lusinghe e delle blandizie sottobanco. So dire "pane al pane e vino al vino" e pretendo che questo costume sia l'abito quotidiano del mio partito. Ecco perchè se al vertice del mio partito queste cose non si intendono, lascio ad altri l'incarico e da semplice gregario, fino al limite dell'espulsione, continuerò la mia battaglia.
Per gli umili e per coloro che patiscono soprusi e ingiustizie».


(pubblicato anche da "La Nazione", 6-XI-1963)

Ringraziamo Giacomo Mannocci (PI) per il materiale di questa pagina