Anno XVII (1970) - n° 4 - Maggio 1970

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1) 25 Aprile
2) Libertà di stampa
3) Salvare la scuola italiana. Droga e docenti
4) Clamorosa «beffa» a Brescia a un convegno sulla Resistenza

 


 

25 Aprile

Magnifici manifesti. Multicolori. Costosissimi.
Da questo punto di vista la ricorrenza del 25 Aprile non delude.
Le parole?
Belle, nella loro risonanza. Un esempio. Sta scritto in un manifesto comunista: «nel 1945 con i partigiani, nel 1970 con i lavoratori».
La frase fa un certo effetto, anche se, storicamente, non è esatta.
Meglio sarebbe stato scrivere: «nel 1945 con Badoglio e gli Americani alleati dell'URSS, nel 1970 con l'Unione Sovietica».
Non c'è che dire: in quanto a carta, parole, musiche, tutto è perfetto. Il 25 Aprile è una data risonante.
C'è, perfino, la «velina» ministeriale. Infatti nelle Scuole, di ogni grado, c'è l'ordine del Signor Ministro di scrivere: «oggi è il 25 Aprile: è festa». E che è festa lo deve scrivere anche il ragazzo che è restato orfano, perché 'ha perduto il padre dalla «parte sbagliata».
Ma lasciamo stare queste melanconie. È festa. Rallegriamocene. Parliamone.
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È festa? E perché mai?
Perché è ritornata la libertà?
E in virtù di che cosa?
Delle armi americane?
Ma se è così il luogo più adatto alla celebrazione è la foresta di Tombolo, è il Campo Darby. Il primo pensiero riconoscente va a loro che, con i carri armati, le fortezze volanti, i dollari, le sigarette, le cioccolate fecero crollare le ultime resistenze.
Non è così? Qualcuno dubita?
Gli americani non vanno ricordati perché sono schiavisti e assassini? Perché... liberando il Vietnam, massacrano e uccidono?
Ma come è possibile essere stati liberati da degli «assassini»?
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È festa? E perché mai? Perché lo Stato di oggi mi costringe, in nome della libertà, a festeggiare il giorno in cui ho perso il padre, il fratello, gli amici più cari?
Perché mi vieta di ricordare, accanto ai sette fratelli Cervi, i sette fratelli Govoni anche essi massacrati nella guerra civile?
Può esserci libertà nel momento in cui la libertà più elementare e più umana viene tolta e cioè quella di non far festa quando il cuore e la mente sono in lutto?
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E le opere? Se quella «data» fu una rivoluzione, e se da quella data sono passati 25 anni, quali sono oggi, negli uomini che ci governano, negli istituti che ci reggono i segni della nuova società, dinanzi ai quali vale la pena di inchinarci, a costo di esultare su una vicenda di sangue che ha visto fratelli contro fratelli?
Gli uomini?
Il Ministro della Pubblica Istruzione, è pubblicamente accusato di essere un protettore della mafia dell'Aspromonte.
I giovani debbono vedere in lui i «valori» del 25 Aprile?
C'è un sottosegretario agli Interni nei riguardi del quale pendono alla Camera varie autorizzazioni a procedere e non di natura politica ma per reati comuni.
II 25 Aprile rifulge in questa figura di governante?
È stato scritto che un ex-sindacalista, ora Ministro della Repubblica Italiana, dalle toppe al sedere che aveva è diventato miliardario, rubando. È il Ministro Viglianesi, detto Miliardesi.
II 25 Aprile rifulge in questa figura di Ministro della Repubblica?
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E le opere? Il disordine legislativo, aggravato. Arbitri assoluti, financo della scelta del Presidente della Repubblica, i direttivi dei partiti. La scuola, una sentina. La Magistratura a pezzi. Scandali a catena. La pace religiosa perduta. La gioventù a drogarsi. Il dio denaro sugli altari. La violenza sovrana. I figli dei resistenti e dei partigiani che sputano sul Parlamento con uno schifo mai prima registrato. Tutto quel che toccano insudiciano e corrompono. Dove sono le opere?
Ma se è così perché è festa il 25 Aprile?


Libertà di stampa

Le tre sottoriportate interrogazioni, inviate ai principali quotidiani, non hanno avuto ospitalità.
I motivi?
Non certo perché mancano di interesse. Sono tre interrogazioni di costume; riguardano direttamente due Ministri, uno accusato di essere amico della «delinquenza calabrese»; l'altro di trovarsi «immischiato» in un procedimento penale per truffa.
La terza non è da meno perché la Magistratura, facendo faticosamente luce nello scandalo del SIFAR, rinvia a giudizio gli agenti materiali del tentativo di corruzione dei repubblicani di Ravenna i quali, al fine di... essere convinti a votare per le tesi lamalfiane del centro sinistra, venivano... avvicinati da agenti del SIFAR con 30 milioni in... mano
Sono tre interrogazioni che chiamano in causa personaggi come Moro, Tremelloni, Reale,
La Malfa, Giolitti, Misasi. Quattro Ministri in carica, un Segretario di partito, generali, giornalisti, questori, ufficiali.
E la stampa?
Non registra nulla. Non un rigo. Come si trattasse di acqua fresca.
Sappiamo, per diretta esperienza, quanto ci sia voluto, sopratutto di pazienza, perché la Presidenza della Camera passasse, tali note. Si sono dovuti superare ostacoli definiti di procedura e di forma. Ce l'abbiamo fatta. Fatica sprecata.
L'opinione pubblica italiana può celebrare il 25 Aprile l'avvento della democrazia e della libertà; però non deve sapere, non deve essere informata.
La classe politica che regge le sorti del nostro Paese, è tabù. Non si può toccare.
Potrebbe vendicarsi. Potrebbe recar delle noie al gruppo che regge le sorti dei quotidiani... indipendenti.
Perciò uomini politici state tranquilli: potete far tutto in pace. Anche rubare. Anche proteggere la delinquenza. Nessuno disturberà i vostri sonni, interromperà le vostre digestioni, turberà i vostri rapporti con la mafia.
Riposate tranquilli. La grande stampa veglia su di voi e vi protegge. In nome del 25 Aprile.


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L'amico della mafia calabrese

Al Presidente del Consiglio dei ministri - Per sapere se ha preso visione di quanto pubblicato dall'Agenzia Montecitorio, nel "Notiziario" n. 31 del 20 febbraio 1970, in cui si annuncia che nel periodico "Calabria 1970", di imminente pubblicazione, «l'onorevole Frasca pubblicherà un articolo con il quale accusa l'attuale Ministro della Pubblica istruzione onorevole Riccardo Misasi di avere rapporti con la mafia calabrese».


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Il nipote di Giolitti al centro di un processo per truffa

Al Presidente del Consiglio dei ministri - Per sapere se è a conoscenza che nell'estate 1968 un commercialista di Milano, in relazione ad una pratica di finanziamento alla ditta Danilo Zanardi, imputato per truffa presso il tribunale di Verona, ebbe a dichiarare che la sua attività consisteva nel far da tramite tra la ditta che voleva il finanziamento e il Presidente della Commissione industria e commercio, al fine di poter istruire la relativa pratica e che normalmente tra la promessa dell'uomo politico e l'accredito presso la banca della somma stanziata, intercorreva un periodo di sei, sette mesi;
per sapere se è a conoscenza che a richiesta del presidente del tribunale il detto commercialista precisava che al partito politico, interessato al finanziamento, su una percentuale a lui spettante di 16 milioni e 250.000, aveva versato 14 milioni;
per sapere se è a conoscenza che l'onorevole Antonio Giolitti, attuale Ministro del bilancio, è stato citato quale teste, sia dalla pubblica accusa, sia dalla difesa, in quanto nella sua qualità di Presidente della Commissione industria e commercio, al tempo dei fatti cui si è fatto riferimento, doveva istruire la relativa pratica al centro del procedimento per truffa presso il tribunale di Verona;
per sapere quale conclusione abbia avuto questa vicenda, compreso il procedimento penale che ne è scaturito.


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30 milioni del SIFAR ai repubblicani di Ravenna

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere se è a conoscenza che è stata depositata la sentenza di rinvio a giudizio degli agenti materiali del tentativo di corruzione dei repubblicani di Ravenna, al fine, dietro uno sborso di 30 milioni, di «spostare», come è scritto nella sentenza, «la maggioranza del congresso a favore delle tesi lamalfiane del centro-sinistra»;
per sapere se è a conoscenza che detta sentenza di rinvio a giudizio ritiene provato che il denaro (30 milioni) fu distratto dalla cassa del SIFAR per scopi non istituzionali, cioè il tentativo di corruzione ammesso dagli stessi imputati e dai testimoni Ravaioli Guerrino, Ezio Piancastelli, Zannoni Sauro, il questore di Bologna Marrocco, l'onorevole Reale, il generale De Lorenzo, il generale Allavena, i giornalisti Tedeschi, Accame, Mattei, Page, Trionferà;
per sapere se è a conoscenza che il maggiore Buono, rinviato a giudizio, è stato interrogato sui «fatti di Ravenna» dalla commissione Beolchini ma che quando il giudice istruttore ha chiesto copia delle dichiarazioni del maggiore Buono il Ministro della difesa di allora (Tremelloni), su conforme richiesta del Presidente del Consiglio di allora (Moro), ha negato alla giustizia questo stralcio dell'inchiesta in quanto, su parere anche del Ministro della giustizia di allora (Reale), si trattava di «segreto di Stato»;
per sapere, alla luce di quanto esposto, come debbono essere interpretate le parole del generale Beolchini: «la successione degli elementi che compendiavano il fatto di Ravenna si dimostrava come operazione di alta politica»; in particolare le parole «operazione di alta politica» e se, per caso, tale terminologia vuole riferirsi al fatto che i mandanti di tale operazione, in cui non ci si peritava a mescolarvi dei soldati, erano personaggi politici di rilievo.
 

Salvare la scuola italiana
Droga e docenti

I docenti pisani, che si sentirono morsi dalla tarantola quando un quotidiano locale riportò le clamorose e stupefacenti dichiarazioni del preside Porcelli, in merito ai trattenimenti notturni di baldracche e vagabondi nelle aule del liceo classico, e che fecero affiggere un manifesto di sdegno compilato, si dice, con la consulenza di un magistrato notoriamente di sinistra, non debbono aver appreso, impegnati come sono a svolgere le loro mansioni di docenti scrupolosissimi, che a Roma centinaia di studenti usavano ritrovarsi sui barconi del Tevere per drogarsi e dedicarsi a pratiche amorose non sempre regolamentari.
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Se lo avessero appreso forse, i docenti pisani, un altro manifesto lo avrebbero dato alle stampe, magari per testimoniare che i ragazzi drogati di Roma non sono che le avanguardie nazionali della destra fascista, che tenta di contaminare il sano popolo lavoratore, oppure il naturale prodotto del capitalismo che ottiene quel che ha voluto dalla civiltà dei consumi.
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A noi preme però, al di là degli ipocriti manifesti, sottolineare il preoccupante stato della scuola italiana non solo scaduta in tutti i suoi valori tradizionali di cultura e di educazione ma ridotta ad un permanente bordello ove si impara tutto: omosessualità, marxismo, guerriglia, paradisi artificiali meno che latino, italiano, greco.
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Duemila drogati a Roma?
Non bastano. Anche ieri ne sono stati fermati altri duecento.
E se la polizia senza il timore di reprimere cercherà ancora, ne scoprirà altre migliaia.
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A tutto c'è un rimedio? Certo, ma esso non può venire dalle leggi sulla scuola, demagogiche e massacratici del costume, nel livello culturale bensì dalle famiglie sane cui è affidato un impegno di coraggio se vogliono salvare i loro figlioli.
Bisogna controllare i ragazzi, sconfiggere il mito della scuola facile, educarli al rispetto degli insegnanti onesti, che fanno il proprio dovere, ed al dileggio di coloro che dalla scuola fanno una palestra di contestazione e di sciaguratezza.
Solo così, nonostante certe leggi, certi docenti, certi presidi e certi ministri si salverà la scuola italiana.



Clamorosa «beffa» a Brescia a un convegno sulla Resistenza
Un giovane missino ha letto all'assemblea levatasi in piedi e che l'applaudiva,
l'ultima lettera di un caduto della RSI

Un clamoroso episodio si è verificato nel corso del convegno regionale sulla "Resistenza e scuola", che si è svolto alla Camera di commercio di Brescia, organizzato dalle autorità locali e da un apposito comitato comprendente esponenti dei vari partiti politici, alla presenza del sottosegretario agli esteri on. Pedini. Nel corso del convegno uno studente universitario, che si era iscritto come altri suoi coetanei a parlare, è andato al microfono ed ha dichiarato che sentiva il dovere piuttosto che di usare molte e inutili parole, di leggere «l'ultima lettera di un martire della seconda guerra mondiale». Quindi ha invitato l'assemblea ad ascoltare in piedi la lettura del documento; e così tutti si sono alzati in piedi e hanno ascoltato in silenzio.
Era l'ultima missiva inviata da un giovane ufficiale condannato a morte alla madre. Alla fine un commosso, scrosciante applauso è partito dagli astanti; ma a questo punto il giovane universitario, che si chiama Ezio Torchiani, ed è segretario del gruppo giovanile del MSI di Brescia, riprendendo la parola ha esclamato: «Quella che avete applaudito, è la lettera del diciottenne Franco Aschieri, volontario della Repubblica sociale, fucilato a Santa Maria Capua a Vetere nel 1944». Sbalordimento sul podio mentre buona parte degli studenti presenti al convegno prolungavano polemicamente i loro applausi. Lo sconcerto fra i rappresentanti ufficiali della «resistenza» lombarda è stato grande. Nessuno infatti si aspettava un colpo a sorpresa del genere, tanto più che sino a quel momento il convegno si era svolto secondo l'ordine prestabilito, con l'intervento di relatori che avevano dato della Resistenza stessa varie interpretazioni in senso storico, sociologico, militare svolgendo temi a senso unico che avevano prodotto -sia detto senza offesa per nessuno- una sorta di stato soporifero nell'assemblea.
La commovente lettera di Franco Aschieri alla madre prima di venire fucilato, ha avuto l'effetto di uno choc. Se in quel momento fosse scoppiata nella sala dove si svolgeva il convegno una bomba, la reazione sarebbe stata la medesima. C'è stato un battibecco fra gli studenti ed alcuni esponenti di sinistra, si è avuto qualche isolato tafferuglio.
Così si è concluso il convegno "Resistenza e scuola". Le cronache «ufficiali», naturalmente, non hanno dato alcuna notizia dell'episodio, che però, risaputo in città, è stato molto commentato. Franco Aschieri il giovane fucilato, faceva parte del gruppo dei «fazzoletti bianchi», una sezione del Servizio Segreto della Repubblica sociale italiana che agiva al di là delle linee americane in operazioni di sabotaggio. Aveva 18 anni. Catturato in Campania venne processato e condannato a morte e fucilato insieme a molti altri giovani della RSI da un plotone di «MP» americani in una cava di pozzolani presso Santa Maria Capua a Vetere.

(pubblicato anche da "il Tempo", 17-4-70)

Ringraziamo Giacomo Mannocci (PI) per il materiale di questa pagina