Anno XVII (1970) - n° 7 - Settembre 1970

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1) Il liberalcomunismo (ovvero «escluso il MSI»)
2) Reggio Calabria
3) Scrive un Cavaliere di Vittorio Veneto
4) Silenzio sul grisbi
 


 

Il liberalcomunismo
(ovvero «escluso il MSI»)

Quante volte, in questi ultimi tempi sulle cronache cittadine nei comunicati dei partiti, dal PCI al PLI (così anche gli eredi di Cavour), è comparso l'inciso, «escluso il MSI»?
Lo hanno ripetuto ad ogni pie' sospinto. Fino alla noia.
Nessuna meraviglia. Che, dieci pisani su cento, votino MSI non va proprio giù alla compagnia liberalcomunista. Per di più orientata da una donna, fiorentina per giunta, che dei pisani, non ha capito nulla, se non che sono dei «qualunquisti» da colonizzare, da educare, in quanto lontani dal comprendere la fortuna di essere governati da una tale niente.
E giù, con rabbia, a scrivere, a ripetere: «escluso il MSI». E i liberalcomunisti in coro: «escluso il MSI».
* * *
È evidente. La vita politica pisana sarebbe stata già spenta del tutto, nella noia e nell'intrallazzo, se il MSI fosse stato messo fuori gioco.
Ve lo immaginate cosa sarebbe accaduto, cosa accadrebbe?
Avrebbero potuto fare (finalmente!) i comodi loro. Qualche polemichetta, qualche manifesto per illudere gli ingenui, e poi: «tutti a tavola» (come a Cannes). Io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. È la politica che piacerebbe ai liberalcomunisti.
Ed invece c'è questo MSI. Che scopre gli altarini, che denuncia gli intrallazzi, i favoritismi, gli affari, smaschera le clientele, gli accordi sottobanco, il denaro pubblico sperperato, le delibere di favore, le strizzate d'occhio per le intese raggiunte al vertice per il vertice. Alle spalle di chi non ha santi in paradiso e di chi fatica sul serio e tanta rabbia si mette in corpo, nel constatare l'ingiustizia elevata a sistema. E come le proprie fortune degradino e aumentino quelle di coloro che stanno in alto e menano la danza.
* * *
«Escluso il MSI». Grazie, signori liberalcomunisti!
Il lazzaretto che tirate su e che ci isola da voi, ci onora. Altamente.
Eccoci isolati. Voi sul trono, ricchi di tutto. Del potere, degli Enti pubblici, delle banche. Noi, nel lazzaretto, ricchi solo della parola, di questo «fogliaccio», dei nostri argomenti, del coraggio di «dieci pisani su cento» che pur hanno voluto mandarci, quasi allo sbaraglio, davanti a voi, potenti e tiranni al tempo stesso.
Ecco il confronto.
Hanno proposto una Giunta che andasse dai democristiani ai liberali e ai comunisti. Il MSI: solo all'opposizione. E non si sono accorti, nel loro delirio, di elevare, in tal modo, il MSI, nella Città di Pisa, e lui solo, alla dignità dell'opposizione, senza la quale la democrazia non esiste più.
Grazie, Signori del liberalcomunismo!
Ognuno raccoglie quello che ha seminato. Le macerie del Ponte Solferino sono il degno monumento della situazione che viviamo.
«Escluso il MSI». Si tratta di paura.
Vogliono soffocare l'unica voce libera che, in Pisa, si sia fatta sentire in questo squallido dopoguerra. Una voce libera che parla, e i liberalcomunisti lo sanno e ne hanno paura, anche per conto di cittadini che, non pensandola come noi, avvertono di essere ingannati e traditi.
* * *
Si, isolati al vertice, dove si ingrassa. Ma, mai come ora, accomunati alla gente umile di Pisa che non ne può più dei nauseabondi spettacoli di forze (cosiddette) politiche che, a quattro mesi dalle elezioni, in una Città che va via a pezzi, dissertano, come pazzi lucidi, divertendosi ad ingannarsi reciprocamente, usando le stesse parole ma con significati diversi. Sì, sono degni di uscire fuori con il liberalcomunismo.
E tutto per una poltrona. E tutto per delle poltrone.
«Escluso il MSI». Siamo d'accordo, escluso il MSI.




Reggio Calabria

Sono diventati forcaioli. Autentici. Comunisti e socialisti.
(…) in testa quel mentitore vivente che è l'on. Scalfari, hanno chiesto, per i cittadini di Reggio Calabria, «ferro e fuoco». Sono dei fascisti. Vanno distrutti.
* Non vale sottolineare che la Città di Reggio Calabria è in testa, in Europa, in fatto di emigrazione.
* Non vale sottolineare che la Città di Reggio Calabria è stata dissanguata da una politica infame.
* Non vale sottolineare che alla prepotenza delle vecchie clientele del censo e della terra, si sono sostituite, in Calabria e altrove, le cosche politiche rivali, non meno tiranniche e affamatrici di quelle antiche.
* Non vale sottolineare che in questa opera di rapina brillano i Caporioni della sinistra italiana che si spartiscono il potere fra pochi intimi, tiranneggiando e ricattando la vita di quelle popolazioni.
* Non vale sottolineare che le cosche politiche, pur di riuscire a mettere le mani sulla Città, si servono della malavita dell'Aspromonte.
NO, per la sinistra, per il Governo, la colpa è dei «fascisti». E Reggio Calabria deve essere passata «a ferro e fuoco».
E si mettono in galera non coloro che, da oltre venti anni, tiranneggiando e rubando, stanno in alto. NO. Le manette sono per il missino Francesco Franco, sono per il partigiano Alfredo Perna.
Vanno in galera perché si rifiutano di intrupparsi nel gregge degli amici dei potenti. Perché si ribellano, a che i rapinatori politici continuino a «vivere di rendita, sul dolore e la disperazione delle popolazioni», inventando il fascismo.
NO. La nostra solidarietà non va ai potenti. Va al missino Francesco Franco. Va al partigiano Alfredo Perna. Sono in galera perché una Italia pulita sia finalmente messa in piedi. Contro le cosche politiche, che sul dolore del popolo, si sono arricchite.




Una lettera per la Sindachessa
Scrive un Cavaliere di Vittorio Veneto

Gentilissima signora Fausta, mi perdoni se la chiamo col suo nome di battesimo, ma al momento in cui Le scrivo non so ancora s'Ella è di nuovo Sindaco o è tornata ad essere Fausta per i cittadini pisani. lo sono un vecchio combattente e nuovo cavaliere di Vittorio Veneto, uno di quelli cui Lei stessa ha consegnato la croce e la medaglia d'oro insieme a un attestato del Presidente della Repubblica.
Fu una bella cerimonia, signora. Le confesso che non riuscii a trattenere qualche lacrima. Che vuol'Ella, signora? Un po' l'età con le sue note arteriosclerotiche, un po' il fatto di ritrovarmi fra tanti vecchi commilitoni in un'atmosfera che ci riportava sulle trincee del Carso o sulle sponde dell'Isonzo... beh, via, un tantino di commozione la giustificavano. Dimenticai perfino in quel momento che Lei appartiene a quel partito che nel '15 non voleva la guerra e nel '18 non voleva averla vinta. E in uno slancio di ritrovata fratellanza l'avrei anche abbracciata, signora. Ma Lei me ne respinse. Forse non se ne ricorda o forse non si rese bene conto, ma io Le assicuro che Lei mi respinse, attraverso quell'altoparlante che nella vasta e gremita sala diffondeva in sottofondo la musica della canzone del partigiano, quella che fa: «bella ciao, bella ciao...».
Non è per mettere in discussione la Sua sensibilità musicale, gentilissima signora, ma non trova che si sarebbe più adattato alla circostanza per esempio "l'Inno del Piave" o -se proprio gradiva la presenza del sesso femminile nel contesto della canzone- "Addio, mia bella addio"?
Perché dunque, mi scusi se oso porle la domanda, proprio la canzone del partigiano? Con la cerimonia in corso quel giorno e col significato stesso di quella manifestazione, mi sembra proprio che non ci stesse, se non come pura e semplice preferenza Sua. Ma Lei che rappresenta (o rappresentava) tutta la cittadinanza, doveva portarci il rispetto di farci ascoltare le nostre canzoni e non la Sua preferita, che con quella cerimonia ha ancora da essere dimostrato, non si sa cosa c'entri.
Come Sindaco, non è che ci abbia fatto una bella figura, almeno con noi vecchi combattenti di Vittorio Veneto. Ma rimaniamo sempre gentiluomini, alla vecchia maniera; e visto che Le piace così tanto, Le intoniamo anche noi, in coro e con sommo diletto: «bella ciao, bella ciao! ...». suo
Ruffo, cavaliere di Vittorio Veneto




All'attenzione dei lavoratori
Silenzio sul grisbi

In un attico di via Po, in Roma, i ladri hanno fatto un ingente bottino di gioielli e di pellicce. Da un cassettone hanno prelevato una spilla con brillanti, zaffiri e navette, un orologio con brillanti, un bracciale, una spilla in oro con pietre dure, un anello con brillante e zaffiri, un orologio di Cartier, un servizio inglese da the in argento, due secchielli d'argento per champagne, due anfore d'argento, due candelabri d'argento inglesi, quattro vassoi d'argento di stile fiorentino, un samovar d'argento di epoca georgiana, un servizio di posate d'argento per ventiquattro persone e trenta medaglie d'oro.
Svuotato il cassettone, i ladri si sono diretti a colpo sicuro verso un guardaroba svuotandolo di una pelliccia di visone nero, di un mantello di visone violet, di un giaccone di visone grigio, di una pelliccia di giaguaro e di una pelliccia di ocelot messicano. Dalla descrizione di questo sostanzioso bottino si potrebbe affrettatamente dedurre che vittime dei ladri sono stati i soliti grossi redditieri romani che hanno trasformato in ori e pellicce i sudori di generazioni intere di lavoratori dell'agro romano. Ma se si fosse veramente trattato di una vittima così ghiotta la stampa comunista avrebbe dato alla notizia un ben più vistoso rilievo. E invece l'impresa ladresca è stata quasi trascurata dai cronisti di "Paese Sera" e de "l'Unità". Legittimo proprietario di tutta quella grazia di Dio, passata abusivamente in altre mani, è infatti un sindacalista, il segretario della CISL Bruno Storti, copertosi di spiccate benemerenze durante le battaglie dell'autunno caldo.

Ringraziamo Giacomo Mannocci (PI) per il materiale di questa pagina