Il liberalcomunismo
(ovvero «escluso il MSI»)
Quante volte, in questi ultimi
tempi sulle cronache cittadine nei comunicati dei partiti, dal PCI
al PLI (così anche gli eredi di Cavour), è comparso l'inciso,
«escluso il MSI»?
Lo hanno ripetuto ad ogni pie' sospinto. Fino alla noia.
Nessuna meraviglia. Che, dieci pisani su cento, votino MSI non va
proprio giù alla compagnia liberalcomunista. Per di più orientata da
una donna, fiorentina per giunta, che dei pisani, non ha capito
nulla, se non che sono dei «qualunquisti» da colonizzare, da
educare, in quanto lontani dal comprendere la fortuna di essere
governati da una tale niente.
E giù, con rabbia, a scrivere, a ripetere: «escluso il MSI». E i
liberalcomunisti in coro: «escluso il MSI».
* * *
È evidente. La vita politica pisana sarebbe stata già spenta del
tutto, nella noia e nell'intrallazzo, se il MSI fosse stato messo
fuori gioco.
Ve lo immaginate cosa sarebbe accaduto, cosa accadrebbe?
Avrebbero potuto fare (finalmente!) i comodi loro. Qualche
polemichetta, qualche manifesto per illudere gli ingenui, e poi:
«tutti a tavola» (come a Cannes). Io do una cosa a te e tu dai una
cosa a me. È la politica che piacerebbe ai liberalcomunisti.
Ed invece c'è questo MSI. Che scopre gli altarini, che denuncia gli
intrallazzi, i favoritismi, gli affari, smaschera le clientele, gli
accordi sottobanco, il denaro pubblico sperperato, le delibere di
favore, le strizzate d'occhio per le intese raggiunte al vertice per
il vertice. Alle spalle di chi non ha santi in paradiso e di chi
fatica sul serio e tanta rabbia si mette in corpo, nel constatare
l'ingiustizia elevata a sistema. E come le proprie fortune degradino
e aumentino quelle di coloro che stanno in alto e menano la danza.
* * *
«Escluso il MSI». Grazie, signori liberalcomunisti!
Il lazzaretto che tirate su e che ci isola da voi, ci onora.
Altamente.
Eccoci isolati. Voi sul trono, ricchi di tutto. Del potere, degli
Enti pubblici, delle banche. Noi, nel lazzaretto, ricchi solo della
parola, di questo «fogliaccio», dei nostri argomenti, del coraggio
di «dieci pisani su cento» che pur hanno voluto mandarci, quasi allo
sbaraglio, davanti a voi, potenti e tiranni al tempo stesso.
Ecco il confronto.
Hanno proposto una Giunta che andasse dai democristiani ai liberali
e ai comunisti. Il MSI: solo all'opposizione. E non si sono accorti,
nel loro delirio, di elevare, in tal modo, il MSI, nella Città di
Pisa, e lui solo, alla dignità dell'opposizione, senza la quale la
democrazia non esiste più.
Grazie, Signori del liberalcomunismo!
Ognuno raccoglie quello che ha seminato. Le macerie del Ponte
Solferino sono il degno monumento della situazione che viviamo.
«Escluso il MSI». Si tratta di paura.
Vogliono soffocare l'unica voce libera che, in Pisa, si sia fatta
sentire in questo squallido dopoguerra. Una voce libera che parla, e
i liberalcomunisti lo sanno e ne hanno paura, anche per conto di
cittadini che, non pensandola come noi, avvertono di essere
ingannati e traditi.
* * *
Si, isolati al vertice, dove si ingrassa. Ma, mai come ora,
accomunati alla gente umile di Pisa che non ne può più dei
nauseabondi spettacoli di forze (cosiddette) politiche che, a
quattro mesi dalle elezioni, in una Città che va via a pezzi,
dissertano, come pazzi lucidi, divertendosi ad ingannarsi
reciprocamente, usando le stesse parole ma con significati diversi.
Sì, sono degni di uscire fuori con il liberalcomunismo.
E tutto per una poltrona. E tutto per delle poltrone.
«Escluso il MSI». Siamo d'accordo, escluso il MSI.

Reggio
Calabria
Sono diventati forcaioli.
Autentici. Comunisti e socialisti.
(…) in testa quel mentitore vivente che è l'on. Scalfari, hanno
chiesto, per i cittadini di Reggio Calabria, «ferro e fuoco». Sono
dei fascisti. Vanno distrutti.
* Non vale sottolineare che la Città di Reggio Calabria è in testa,
in Europa, in fatto di emigrazione.
* Non vale sottolineare che la Città di Reggio Calabria è stata
dissanguata da una politica infame.
* Non vale sottolineare che alla prepotenza delle vecchie clientele
del censo e della terra, si sono sostituite, in Calabria e altrove,
le cosche politiche rivali, non meno tiranniche e affamatrici di
quelle antiche.
* Non vale sottolineare che in questa opera di rapina brillano i
Caporioni della sinistra italiana che si spartiscono il potere fra
pochi intimi, tiranneggiando e ricattando la vita di quelle
popolazioni.
* Non vale sottolineare che le cosche politiche, pur di riuscire a
mettere le mani sulla Città, si servono della malavita
dell'Aspromonte.
NO, per la sinistra, per il Governo, la colpa è dei «fascisti». E
Reggio Calabria deve essere passata «a ferro e fuoco».
E si mettono in galera non coloro che, da oltre venti anni,
tiranneggiando e rubando, stanno in alto. NO. Le manette sono per il
missino Francesco Franco, sono per il partigiano Alfredo Perna.
Vanno in galera perché si rifiutano di intrupparsi nel gregge degli
amici dei potenti. Perché si ribellano, a che i rapinatori politici
continuino a «vivere di rendita, sul dolore e la disperazione delle
popolazioni», inventando il fascismo.
NO. La nostra solidarietà non va ai potenti. Va al missino Francesco
Franco. Va al partigiano Alfredo Perna. Sono in galera perché una
Italia pulita sia finalmente messa in piedi. Contro le cosche
politiche, che sul dolore del popolo, si sono arricchite.

Una lettera per la Sindachessa
Scrive un Cavaliere
di Vittorio Veneto
Gentilissima signora Fausta,
mi perdoni se la chiamo col suo nome di battesimo, ma al momento in
cui Le scrivo non so ancora s'Ella è di nuovo Sindaco o è tornata ad
essere Fausta per i cittadini pisani. lo sono un vecchio combattente
e nuovo cavaliere di Vittorio Veneto, uno di quelli cui Lei stessa
ha consegnato la croce e la medaglia d'oro insieme a un attestato
del Presidente della Repubblica.
Fu una bella cerimonia, signora. Le confesso che non riuscii a
trattenere qualche lacrima. Che vuol'Ella, signora? Un po' l'età con
le sue note arteriosclerotiche, un po' il fatto di ritrovarmi fra
tanti vecchi commilitoni in un'atmosfera che ci riportava sulle
trincee del Carso o sulle sponde dell'Isonzo... beh, via, un tantino
di commozione la giustificavano. Dimenticai perfino in quel momento
che Lei appartiene a quel partito che nel '15 non voleva la guerra e
nel '18 non voleva averla vinta. E in uno slancio di ritrovata
fratellanza l'avrei anche abbracciata, signora. Ma Lei me ne
respinse. Forse non se ne ricorda o forse non si rese bene conto, ma
io Le assicuro che Lei mi respinse, attraverso quell'altoparlante
che nella vasta e gremita sala diffondeva in sottofondo la musica
della canzone del partigiano, quella che fa: «bella ciao, bella
ciao...».
Non è per mettere in discussione la Sua sensibilità musicale,
gentilissima signora, ma non trova che si sarebbe più adattato alla
circostanza per esempio "l'Inno del Piave" o -se proprio gradiva la
presenza del sesso femminile nel contesto della canzone- "Addio, mia
bella addio"?
Perché dunque, mi scusi se oso porle la domanda, proprio la canzone
del partigiano? Con la cerimonia in corso quel giorno e col
significato stesso di quella manifestazione, mi sembra proprio che
non ci stesse, se non come pura e semplice preferenza Sua. Ma Lei
che rappresenta (o rappresentava) tutta la cittadinanza, doveva
portarci il rispetto di farci ascoltare le nostre canzoni e non la
Sua preferita, che con quella cerimonia ha ancora da essere
dimostrato, non si sa cosa c'entri.
Come Sindaco, non è che ci abbia fatto una bella figura, almeno con
noi vecchi combattenti di Vittorio Veneto. Ma rimaniamo sempre
gentiluomini, alla vecchia maniera; e visto che Le piace così tanto,
Le intoniamo anche noi, in coro e con sommo diletto: «bella ciao,
bella ciao! ...». suo
Ruffo, cavaliere di Vittorio Veneto

All'attenzione dei lavoratori
Silenzio sul
grisbi
In un attico di via Po, in
Roma, i ladri hanno fatto un ingente bottino di gioielli e di
pellicce. Da un cassettone hanno prelevato una spilla con brillanti,
zaffiri e navette, un orologio con brillanti, un bracciale, una
spilla in oro con pietre dure, un anello con brillante e zaffiri, un
orologio di Cartier, un servizio inglese da the in argento, due
secchielli d'argento per champagne, due anfore d'argento, due
candelabri d'argento inglesi, quattro vassoi d'argento di stile
fiorentino, un samovar d'argento di epoca georgiana, un servizio di
posate d'argento per ventiquattro persone e trenta medaglie d'oro.
Svuotato il cassettone, i ladri si sono diretti a colpo sicuro verso
un guardaroba svuotandolo di una pelliccia di visone nero, di un
mantello di visone violet, di un giaccone di visone grigio, di una
pelliccia di giaguaro e di una pelliccia di ocelot messicano. Dalla
descrizione di questo sostanzioso bottino si potrebbe
affrettatamente dedurre che vittime dei ladri sono stati i soliti
grossi redditieri romani che hanno trasformato in ori e pellicce i
sudori di generazioni intere di lavoratori dell'agro romano. Ma se
si fosse veramente trattato di una vittima così ghiotta la stampa
comunista avrebbe dato alla notizia un ben più vistoso rilievo. E
invece l'impresa ladresca è stata quasi trascurata dai cronisti di
"Paese Sera" e de "l'Unità". Legittimo proprietario di tutta quella
grazia di Dio, passata abusivamente in altre mani, è infatti un
sindacalista, il segretario della CISL Bruno Storti, copertosi di
spiccate benemerenze durante le battaglie dell'autunno caldo. |