"La Nazione", 10 maggio 1980
Era nella sala delle
Baleari dal 1951
Niccolai ha lasciato
L'ex-parlamentare non guiderà più il gruppo consiliare del Movimento Sociale a
palazzo Gambacorti. I motivi della rinuncia e i ricordi di trent'anni di
battaglie in una franca intervista al nostro giornale

Giuseppe Niccolai non
si ripresenta in consiglio comunale. Dopo trent'anni è la prima volta che il suo
nome non apre la lista dei candidati del Movimento Sociale a palazzo Gambacorti,
e così si allontana dalla sala delle Baleari un personaggio che, comunque lo si
giudichi, è stato un protagonista della vita politica pisana del dopoguerra.
Impegnato in molte battaglie, quasi sempre contro tutto e contro tutti, Giuseppe
Niccolai ha indubbiamente vissuto una esperienza politica tumultuosa, fatta di
polemiche aspre (a volte anche troppo), di denunce e controdenunce, e durante la
quale è stato eletto deputato per due legislature. Ora ha deciso di lasciare ad
altri il suo posto in consiglio comunale. Perché? Lo abbiamo chiesto a lui
stesso.
. * * *
* Perché questa rinuncia?
Niccolai: Per due motivi: la
sensazione di essere venuto "a noia" e poi perché, nella morte di tutte le Fedi,
la politica è scaduta a cinismo. Non si tratta di un abbandono di campo. Mi sono
chiesto se esiste ancora qualche 'zona" periferica dove la lotta politica
conservi un senso e deve rifugiarsi a lottare per i "perdenti". Ma ci sono dei
"vincitori" in questa Italia 1980?
* È vero che, almeno a Pisa, lei si trova su posizioni politiche lontane, o
comunque diverse da quelle degli altri esponenti del MSI?
Niccolai: È vero. Non è una
novità. Da parlamentare, in aula, cioè davanti a tutti, ho spesso parlato e
votato contro il mio partito. Anche su vicende delicate. Prima del partito ho
cercato di servire la mia coscienza. Non sempre ci sono riuscito. Ed è vero
quello che, simpaticamente, mi dice un amico comunista: «se avesse vinto il
fascismo tu saresti un confinato. Con i perdenti»
* Come giudica la sua lunga esperienza a palazzo Gambacorti?
Niccolai: Quando la battaglia
politica aveva un senso, una esperienza appassionata, per molti versi una
scuola. Poi una noia indicibile, che impediva perfino di pensare.
* Non le sembra di avere, in alcuni casi, oltrepassato i limiti di una
opposizione sia pure dura e irriducibile?
Niccolai: Per l'esame di coscienza sono andato a sfogliare "il
Machiavelli". Il suo primo numero è del 1954. Ho trovato che le polemiche di
allora, anche aspre e che mi sono costate processi, condanne, amicizie spezzate,
ostracismo, sono oggi pane quotidiano. Di tutti, compresi gli avversari. Solo
che 25 anni fa, per quello che dicevo e scrivevo, mi minacciavano la galera.
* Degli avversari politici che ha incontrato nella sala delle Baleari chi
ricorda con maggiore stima?
Niccolai: Italo Bargagna, Attilio
Benedetti. Con Bargagna abbiamo vissuto nello stesso stabile. Spesso, alle
quattro della mattina, la luce della sua stanza era accesa. Si preparava,
studiava. E a mezzogiorno, una minestra. Ho avuto modo di ricordarlo nell'ultima
seduta del Consiglio Comunale. Poi sono venuti i manifesti. Lo avevano
dimenticato. In fondo è giusto: questi non sono tempi per "caratteri" come
quelli di Bargagna. Del resto se capovolgo la domanda è dagli avversari che sono
venute per me parole di stima. Nella seduta della Camera dei Deputati del 26
febbraio 1980, Leonardo Sciascia ha testualmente detto: «mi è stato chiesto di
riconoscere quello che avevo detto alla TV francese, cioè che la relazione di
minoranza sulla mafia dell'onorevole Niccolai è una cosa molto seria: l'ho detto
alla TV francese perché me lo hanno chiesto. Se me lo avesse chiesto la TV
italiana lo avrei detto ugualmente: non esito a ribadirlo qui.
* È opinione comune che molti voti missini, qui in città, siano stati dati a
lei personalmente. Rinunciando alla candidatura non pensa di «regalare» uno o
più seggi del suo partito alla DC o ai liberali?
Niccolai: Ne sarei addolorato.
Soprattutto perché ciò significherebbe che in questi 30 anni di vita politica
non sono riuscito a farmi intendere. Infatti, per me, prima di una «questione
comunista», esiste (ed è sempre esistita) una «questione democratica». È la DC
che ci ha sradicati rendendoci sconosciuti gli uni agli altri, facendoci perdere
ogni identità, togliendoci tutte le bandiere; rendendoci, in un effimero
benessere, infelici. Trenta anni di governo DC: abbiamo il paese meno cristiano
d'Europa. Pensi al dramma della madre quando vede uscire i figli di casa: dove
andranno? in quale scuola? su quale marciapiede? dove è la fede? Tutta la mia
modesta battaglia politica è stata indirizzata a far capire alla gente che non
si costruisce una società migliore votando per paura, per quieto vivere, con il
vomito alla bocca, per usare una espressione ormai famosa. Il prezzo della viltà
è sempre il male. E lo si vede. Dalla mia persona alla DC: un non senso.
Posso terminare con un ringraziamento? All'intervistatore. Perché mi ha posto
domande che (finalmente!) sono andate al di là di ciò che, comunemente, si
chiede ad un uomo della mia esperienza. L'umanità ha prevalso sul conformismo.
Ciò serve per conoscerci meglio e renderci, tutti, migliori.
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