DICONO

da "Percorsi"

 

Beppe Niccolai, il riferimento degli eretici
Fascista impossibile

 

Aveva la capacità di vedere la realtà senza l’affanno elettorale. Raccoglieva intorno a sé il «mondo degli umili e degli indifesi», e diede alla militanza politica un senso e un imperativo etico

Pietrangelo Buttafuoco

 

In quella storia perfetta nei suoi incastri umani di passione e contraddizione qual è la storia del Movimento Sociale Italiano, Beppe Niccolai, deputato di Pisa, carismatico galantuomo del garbo, recita il ruolo più difficile, quello di essere stato il migliore. Parlamentare nella fase più difficile della prima Repubblica, quella della emarginazione e del conflitto tra gli opposti estremismi, diventò il riferimento degli eretici fascisti proprio sul finire della stagione terroristica.

 

GRANDE CARISMA

Se la politica, la militanza politica, ha mai avuto un senso, un imperativo etico, Beppe Niccolai per la fiamma tricolore fu il senso e l’imperativo etico. Aveva la capacità di vedere la realtà senza l’affanno elettorale. Odiava la «pesca delle occasioni», non avrebbe mai cavalcato la «protesta del popolo delle tasse», la «guerra dei tassinari», la «sollevazione dei bottegai». Con lui vivo, nessuno si sarebbe permesso di infoiare il dibattito con l’orgia cartacea dei manifesti dove ognuno gareggia per avere il cognome in grassetto.

Niccolai fu innanzitutto il senso e l’imperativo di un impegno politico costruito con il cemento del progetto. A lui, infatti, un uomo già monumento per stile e dirittura morale, si rivolsero gli inquieti e tutti quelli che dopo avrebbero lasciato la Destra alle loro spalle. Non c’è oggi in circolazione un fascista che non abbia avuto da Niccolai un regalo: la fotocopia di una pagina importante, un libro sottolineato nei punti giusti, una lettera.

Di grande carisma, ebbe al suo fianco i più moderni e, paradossalmente, i più socialisti. Parlava di quel parlare che ognuno tra i fascisti aveva strappato dall’officina di Alessandro Mussolini, dunque parlava di quel parlare della generazione di Benito Mussolini, quello dei figli che, del socialismo, avevano scelta la trasfigurazione di riscatto e Nazione. Parlava il parlare della modernità. Lo intuirono gli avversari, e Niccolai contaminò la mistica della fazione facendosene gioco. Una volta alla riunione di direzione del MSI presentò un ordine del giorno approvato all’unanimità. Non ci sarebbe stato niente di straordinario se non fosse che il documento era stato da lui volutamente ricopiato da un altro or dine del giorno di un’altra direzione, quella del PCI. Quando Francesco Merlo sul «Corriere» raccontò questo episodio, il clima attorno a Niccolai era diventato rovente. L’almirantismo aveva punte esasperate di insofferenza e i missini di più stretta obbedienza avevano già maturato un fastidio totale verso Niccolai, ne subivano certamente l’intransigenza, qualcuno poi, coltivò l’insulto cercando a poco a poco di trovare nella sua vita privata un qualche elemento per di struggere il mito. Fu inutile. Niccolai non andò neppure ai funerali di Giorgio Almirante, ma se oggi qualcuno chiede ad Assunta Almirante di Niccolai, lei dice la più orgogliosa delle verità: «Niccolai fu un grande, un galantuomo».

 

"L’ECO DELLA VERSILIA"

Certamente ci sono formule che non reggono l’agguato della retorica, ma dire che Beppe Niccolai è stato quanto di meglio quella storia abbia potuto offrire nel suo svolgersi, è già meno di quello che si vorrebbe dire. Fu grande anche negli errori. Quando, nel 1981, lui che di Giorgio Almirante era stato amico e fedelissimo, si reimmerge nella lettura degli "Avvisi" di Berto Ricci, Niccolai si scarnifica leggendo, ridiscutendo innanzitutto se stesso. «Si sente in colpa per avere egli qualche volta in passato, accettato e subito passivamente direttive e comportamenti della nomenclatura del Partito che in cuor suo rifiutava». Antonio Carli, il suo più grande amico, oggi custode dell’archivio Niccolai e direttore di "Tabula Rasa", la rivista che è figlia diretta de "L’Eco della Versilia", lo ricorda innanzitutto in ragione di questa «sofferenza». E spiega: «Andrebbe giudicato sul piano umano. Infatti egli faceva politica a mo’ di interprete degli umili e degli indifesi». quando Niccolai non è più un deputato, ma semplicemente Niccolai, «da non-deputato -ricorda ancora Carli- si mise a percorrere tutta la Penisola, da missionario. Il suo linguaggio non era forbito. Era semplice, come semplice era allora la nostra comunità. Nella quale lui non aveva la pretesa di portare il Verbo, bensì vivo il desiderio di scambiare con essa i propri sentimenti e, con essa, poter condividere l’amore per questa dannata nostra terra e l’orgoglio di appartenervi».

 

GLI ITALIANI IMPOSSIBILI

Niccolai appartiene alla categoria degli italiani improbabili, di quelli che vengono difficili anche da raccontare. Arrivato da una prigionia, recluso dagli americani in un campo di concentramento, si rifiutò per un moto della psiche di parlare una sola parola di inglese. Vestito di un’eleganza disadorna, raccoglieva intorno a sé un mondo fabbricato con la fatica «degli umili e degli indifesi». Se ne accorse Leonardo Sciascia quando, rovistando tra i documenti della commissione antimafia, ritrovò in Niccolai «una natura diversa e introversa». E diverso e introverso fu infatti Niccolai. Di quella introversità e di quella diversità con cui la generazione ultima del MSI bruciò un ultimo comitato centrale. Per qualcuno, infatti, il MSI non è morto a Fiuggi, ma in quell’ultima riunione dove, già morto Niccolai, le porte si erano chiuse alle spalle di alcuni che erano solo spaesati, estranei, eretici senza più Chiesa. Niccolai è stato anche l’ultimo grande fascista. Fascista di un fascismo impossibile.

 

Pietrangelo Buttafuoco

http://www.ladestra.net/riviste/percorsi/protagon/testi/niccolai.htm