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"Avanguardia", n° 53, Anno VII. Novembre 1989

 

Quelle lacrime

Giuseppe Niccolai

 

«Capita che le aquile volino

più basse delle galline»

 

Nessuno lo ha colto. C'è stato, dentro la passionalità e le tensioni forti che hanno animato, come non era mai accaduto prima, il XV Congresso del MSI, un confronto che, se ci si pensa bene, è la morale che sostanzia i quattro giorni sofferti nel catino del grande albergo di Sorrento: il confronto fra Giorgio Almirante ed i giovani.

Nel confronto Giorgio Almirante è risultato perdente. E per due motivi: perchè Giorgio Almirante, più che amarli, i giovani li ha considerati come «strumento» della sua grande o piccola, secondo le opinioni, politica. Più che un elemento di disturbo che una componente viva da costruire, da educare, da far valere nel partito, nella Comunità. Il secondo perchè i giovani si possono amare e capire se si è capaci di un'amicizia quelle che vanno fino in fondo. Costi quello che costi. Meraviglierà, sarò tacciato di spergiuro, ma Giorgio Almirante non ha mai avuto amici.

Le amicizie valutate e pesate sul metro della cortigianeria. Non più di tanto. Se si è tali si «vola in alto». E la dimostrazione è che coloro che ne hanno voluto fare l'idolo dei loro «sogni» (ideali), o sono stati, ieri, i suoi più implacabili avversari, tanto da lasciare il partito e rientrarne per vie non certo almirantiane; o devono a lui, oggi, favori, alcuni dei quali riguardano perfino le casse del partito. Salvo poi, alle spalle, dirne di tutti i colori. I traghetti d'oro e la desiderata nomina di Vitalone, amico di Andreotti, a Presidente della Commissione Inquirente sono vicende di piccolo taglio di fronte ad altre; ma io, su questi non secondari «impatti», ci ho perso, insieme alla salute, amici per i quali avrei dato tutto: anche l'anima.

Ci vuole tutta una vita per costruirsi, ma bastano pochi attimi per distruggere tutto. Il motivo almirantiano, di sapore forte, e che tante volte ce lo siamo sentito ripetere fino alla noia, è stato: l'unità del partito. Ebbene, nel suo discorso del riprodursi a capo del partito, quando ha visto che il riprodursi poteva non riuscirgli, non ha esitato un attimo: ha cercato deliberatamente la rissa. E l'ha cercata là dove riteneva che il suo proposito potesse essere facilmente raccattato: nella «passionalità» dei ragazzi accorsi a Sorrento per delle idee, giuste o sbagliate che fossero.

I ragazzi -che non ha mai saputo educare- gli hanno risposto con un senso di responsabilità che ha dell'incredibile.

Al richiamo della spaccatura fra buoni e cattivi, fra figli prediletti e figli gobbi, al non aver saputo tacere quando aveva solennemente promesso di farlo; all'aver tentato, nel momento più difficile e più caldo del Congresso, lo scontro (c'è in questa sala, chi ha l'ardire di contestare il mio carisma: puniteli!); i «ragazzi» gli hanno dato la risposta più alta: accogliendo la sua provocazione per quella che era: un falso addio recitato male, soprattutto nei sentimenti; poi lasciandolo ai suoi prudenti plauditori quando hanno capito che, alle idee, le stellette, gli organigrammi, i posti promessi, ancora una volta, avevano avuto il sopravvento. E mentre nella sala il Segretario dichiarava: sì, questa è la scelta che volevo, sono soddisfattissimo, fuori i ragazzi piangevano. Non si è preoccupato di quelle lacrime. Non una parola.

Mi chiedo se quanto scrivo sia duro, ingiusto, ingeneroso. Se lo sono stato anche in altre occasioni. Se sono divenuto talmente fazioso da respingere anche la verità più palmare. Mi chiedo come sia stato possibile passare da una amicizia carica di passione e di stima a non rispettare «l’altro», nemmeno come avversario; mi sono chiesto se sono nell'errore più imperdonabile, senza appello. No, non credo di essere nel torto. Ci sono quelle lacrime. E dell'altro i «padri» del partito che, appena pochi giorni prima, davanti a tutti, in Comitato Centrale, si erano dichiarati, vicendevolmente, la propria reciproca disistima, fino ad accusarsi di «storiche» fughe nei momenti cruciali della propria vita; eccoli lì, sul palco del "Palace Hotel" di Sorrento, sorridersi, abbracciarsi, baciarsi, scambiarsi, non-parole di circostanza, ma addirittura di sempiterna, reciproca, storica riconoscenza. Per sè e da consacrare alla storia del partito. Non solo, ma l'intera classe politica del MSI, accusata nella sua totalità appena un mese fa, di malcostume e peggio, tanto dal prendere la decisione «io non verrò più fra voi se non vi inchinerete ai miei voleri», ora portata sugli altari come la classe politica più pura, più pulita che fosse mai esistita. Chi è che bara, chiese Romualdi, allora? Non se lo è chiesto più, dopo.

Quello spettacolo, quelle lacrime. Ma sono quest'ultime a dire e a testimoniare che il MSI è vivo, e vivrà. Per e grazie ai suoi ragazzi. Che sanno piangere, non solo chiedere.

 

Giuseppe Niccolai