Rosso e Nero
(seconda serie)

Rubrica curata da Beppe Niccolai sulle pagine di "Pagine Libere"

Anno 1989

 

 

"Pagine Libere", Anno IX n° 1, gennaio 1989

Gelli, un caso irrisolto

Giuseppe Niccolai

 

Licio Gelli. Andiamo per ordine. Ricapitoliamo. Come scoppia il suo caso? Per quale via? Il falso rapimento di Michele Sindona. Si arriva alle carte di Gelli e della P2 per questa strada. E sono i giudici di Milano che, indagando su Sindona e interrogando nel carcere dell'Ucciardone il medico italo-americano Joseph Crimi, sul perché avesse aiutato, fra l'agosto e il settembre del 1979, Michele Sindona, fuggito dall'America, a simulare un rapimento, gli chiedono il perché dei suoi continui viaggi ad Arezzo. I due magistrati di Milano sono Giuliano Turone e Gherardo Casini. Risposta di Joseph Crimi: «in verità ad Arezzo andai perché là c'era il mio fratello in massoneria Licio Gelli e grande amico di Michele Sindona». Quando Crimi fa questa dichiarazione è il 14 marzo 1981. Tre giorni dopo, il 17 marzo 1981, un drappello di finanzieri compie una perquisizione a Castiglion Fibocchi, nelle proprietà del Venerabile Licio Gelli. Vengono fuori gli elenchi completi degli 848 iscritti alla Loggia P2. Ma, fra quelle carte, cosa spunta di esplosivo, per cui i giudici di Milano, dovranno trasferire la competenza ai giudici di Brescia? Qui sta il punto ... critico. Per cui, a parere mio, è da riscontrare il fallimento della Commissione di inchiesta parlamentare sulla P2.

Spunta una busta intestata: «Roberto Calvi, vertenza Banca d'Italia», e dentro una ricevuta bancaria dell'UBS di Ginevra, con l'indicazione che il 14.10.1980 un anonimo riceve un accredito di 800 mila dollari. Accanto il nome: Ugo Zilletti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Di che si tratta, in specifico? Del procedimento in mano ai giudici milanesi relativo al rilascio del passaporto ritirato a Roberto Calvi, allora Presidente del Banco Ambrosiano, poi trovato morto sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Presto detto: il dott. Zilletti, avvalendosi del suo alto ufficio, aveva messo sotto pressione i giudici di Milano perché restituissero il passaporto a Calvi. In particolare: Mauro Gresti, Procuratore della Repubblica del Tribunale di Milano, Carlo Marini, Procuratore Generale della Corte d'Appello di Milano.

Quando i giudici di Milano visionano i documenti sequestrati, dai quali emerge che nella vicenda vengono coinvolti i vertici inquirenti della magistratura milanese, altro loro non resta fare che trasmettere la «bollente» e «clamorosa» pratica ai giudici di Brescia, competenti in materia. I quali, atto senza precedenti, ordinano alla Guardia di Finanza di perquisire immediatamente l'ufficio del dott. Zilletti, sito nel Palazzo dei Marescialli, a Roma, sede del Consiglio Superiore della Magistratura. Riflettete bene: perquisizione nella Sede del CSM! E che trovano nel cassetto del più alto membro del CSM, dopo il Presidente della Repubblica, allora Sandro Pertini? Dicono le carte della Commissione di inchiesta sulla P2: «un singolarissimo dattiloscritto». Che roba è? Semplice: notizie riservate sulla vita del dott. Mauro Gresti, Procuratore di Milano, e della sua famiglia, specie della moglie e della figlia. A cosa servivano quelle notizie? A compiere un ricatto: «o dai il passaporto a Calvi, o io ...», con quello che segue. Questo nel Palazzo dei Marescialli, nella sede del CSM che sovrintende l'attività della Magistratura italiana!

Lo scandalo è enorme. Viene, più volte, informato Pertini, si raccomanda prudenza. Le Istituzioni possono averne un ulteriore colpo. E che si fa? La Corte di Cassazione sentenzia: tutte le indagini, riguardanti la P2, a Roma; e così i giudici di Brescia, che indagavano sul caso «Zilletti-Calvi», vengono espropriati ed il tutto passa agli «insabbiatori» romani. E chi si è visto si è visto! Però quelle carte parlano, e parlano ancora. E si viene a sapere che nella vicenda della restituzione del passaporto a Calvi sono coinvolti il Quirinale, il suo Segretario Generale dott. Antonio Maccanico, il Governatore della Banca d'Italia, dott. Ciampi. La prova? È nelle carte, rimaste inevase, della Commissione di inchiesta parlamentare sulla P2. Sono le domande preparate per l'interrogatorio (mai avvenuto) di Ugo Zilletti. Eccone alcune:

a) Banca d'Italia: vuole il dott. Zilletti essere più esplicito sul punto e chiarire i termini dell'asserito intervento della Banca d'Italia perché a Calvi fosse restituito il passaporto? Fu il dott. Ciampi a prendere l'iniziativa di recarsi nel suo ufficio per trattare la questione (come ella avrebbe asserito al dott. Gresti); oppure fu lei a convocare il dott. Ciampi (come quest'ultimo avrebbe dichiarato al dott. Gresti)?

b) È vero -come riferisce il Procuratore Generale dr. Marini ai giudici di Brescia- che lei gli raccomandò telefonicamente di adottare la massima cautela perché il procedimento del passaporto a Calvi interessava il Quirinale?

C) È vero, come dichiara il dr. Marini, che lei inviò al suddetto Procuratore Generale, come suo messaggero, il dott. Giacomo Caliendo, magistrato componente il CSM, per raccomandare al medesimo dott. Marini di non affidare l'istruttoria del «passaporto» né al sostituto Urbisci, né al sostituto Ambrosio? Quali furono le ragioni di una così pesante interferenza?

d) Conferma la circostanza, riferita dal dr. Gresti ai giudici di Brescia, relativa ad una sua telefonata al medesimo Procuratore della Repubblica, con la quale, subito dopo il sequestro delle carte di Gelli, raccomandava al suo interlocutore la massima discrezione, affermando che gli aveva telefonato anche il dott. Antonio Maccanico? Quindi, nella vicenda P2, anche il Consiglio Superiore della Magistratura, lo stesso Quirinale, la Banca d'Italia. La Commissione Parlamentare di inchiesta aveva, fra le sue carte, anche queste. Ma si è guardata bene dallo spulciarle e dal fare chiarezza in proposito. È stata zitta. Eppure Gelli era arrivato ad inquinare della sua presenza perfino il Quirinale, la Banca d'Italia, il Consiglio Superiore della Magistratura. Altro che complotto contro lo Stato democratico! Questo è lo Stato democratico. O non è questo Stato attualmente al servizio di Gelli che, accusato dei delitti più infamanti, se ne gira, fra una bicchierata e l'altra, fra grandi alberghi, lussuosi ristoranti, trattorie alla moda, scortato da polizia e carabinieri? Chi sta meglio di lui? È giusto tutto ciò? Penso di si. Dopo tutto, questo Stato gli appartiene.

 

 

"Pagine Libere", Anno IX n° 2, febbraio 1989

 

Centomila banditi all'assalto dell'Italia

Giuseppe Niccolai

 

Il responsabile della Segreteria politica della DC, on.Giuseppe Gargani, si è trovato nei guai per la vicenda delle lenzuola d'oro delle FF.SS. Se la caverà, ma non è la prima volta. Per carità, anche a quei tempi fu tutto chiarito, ma l'on.Giuseppe Gargani conobbe, anni fa, quando ricopriva l'incarico di Presidente dell'Amministrazione provinciale di Avellino (terra fatale!), anche il carcere ... Sempre per questioni inerenti ad appalti e tangenti ...

 

* * *

A concedergli la libertà perduta fu il giudice Misasi, fratello (ma guarda le combinazioni come sono bizzarre!) del sottosegretario Riccardo Misasi che, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è, fra i consulenti e gli amici di De Mita, uno dei più vicini, se non il più vicino. Tanto che sta per andare ad abitare nello stesso appartamento «miliardario», in Via Arcione 71, in cui già abita il nostro Ciriaco. Ad equo canone anche lui. Per il cittadino «qualunque» non sarebbero sufficienti 200 milioni l'anno ...

 

* * *

E il partito della tangente dove è finito? Tenuto fuori dalla Giunta, ha scoperto che in Consiglio i suoi voti hanno un valore. E tenta di cambiarlo in moneta corrente. Venerdì notte gli è bastato disertare la seduta per far mancare il numero legale a una delibera per la costruzione di 12 scuole, finanziate con un interesse di appena l'1,75%. «Sperano che qualche imprenditore vada a comprare i loro voti, spiega il Sindaco. Ma io li avverto: se proveranno a sbarrarci la strada, io li denuncerò in pubblico, nomi e cognomi». ("Enzo Bianco, sindaco sceriffo nella tana dei corrotti. A Catania arriva l'era della glasnost", "la Repubblica", 22.11.1988). Sono passati più di due mesi, ma le denunce non sono ancora avvenute. Chi è in difetto: il Sindaco o i consiglieri?

 

* * *

«I consiglieri della Provincia di Trento sono "speciali" come lo è lo Statuto dell'autonomia. Hanno diritto ad uno stipendio di circa dieci milioni al mese, annessi e connessi; a una buona uscita di circa 100 milioni alla fine della legislatura e ad una fetta di pensione che cresce con il numero delle tornate passate sui banchi del Consiglio. Si racconta che, qualche anno fa, un consigliere si è detto disposto a cedere il seggio al collega primo dei non eletti per una cifra aggirantesi attorno ai 200 milioni ...» ("la Repubblica", 20.11.1988).

 

* * *

I calcoli sono fatti per difetto. Perché gli «annessi e connessi» sono vari, sostanziosi, imprevedibili, nelle loro formulazioni. C'è anche una indennità riservata all'accrescimento della propria cultura. Comunque le indennità dei consiglieri regionali sono uno dei tanti misteri di questa Italia democratica e repubblicana. Cosa si mettano in tasca, nessuno riesce a saperlo. Così gli europarlamentari. Non si parli poi dei siciliani. Quando ci parli, o sviano il discorso o, fra una serie di distinguo e di minuziose precisazioni, arrivi alla fine che ne sai meno di prima ... Comunque, è presto detto: guadagnano di più dei tanto bistrattati parlamentari nazionali, i più fessi di tutti ...

 

* * *

«Il convento è povero, ma i frati sono ricchi». Sì, troppi frati della politica sono diventati ricchi, spudoratamente ricchi. Certo, conosciamo, in tutti i partiti, politici dalla vita modesta. Però quel che sbalordisce è lo scarto fra certi tenori di vita e certe dichiarazioni al fisco: denunce fiscali magre, vita grassa. Sento dire: ma non si comportano così milioni di italiani? Perché i politici dovrebbero essere diversi?» (Giampaolo Pansa, "la Repubblica", 1 aprile 1988).

 

* * *

No, i politici dovrebbero essere diversi. Devono esserlo, perché dettano le regole del gioco sulla pelle di tutti. E poi debbono essere onesti anche nel loro interesse. Intendo l'interesse a sopravvivere come ceto professionale, come classe. Nessun sistema politico si salva se cade nella più lurida delle fogne.

 

* * *

«I banditi sono 100.000. Dalla Campania l'allarme dell'Antimafia». Così "la Repubblica". Ma, ahimé, questo titolo è del 10.11.1983, cioè di sei anni fa. Quanti sono oggi i banditi?

Risponde, sia Pure indirettamente, l'alto Commissario dell'antimafia Domenico Sica: «Nelle province siciliane, calabresi e napoletane, la situazione è veramente grave. In talune di queste regioni il possesso del territorio da parte delle Organizzazioni mafiose è totale. La mia affermazione è temeraria? Si faccia caso al soffocante apparato di scorte, blindature, e protezioni che lo Stato assicura ... Ciò è la dimostrazione che è lo Stato che deve, in ogni modo e con tutta l'energia possibile, tentare e riuscire ad infiltrarsi nel territorio ...». Gesù, Gesù a quali punti siamo giunti!

 

 

"Pagine Libere", Anno IX n° 3, marzo 1989

 

Le cattive compagnie di Giulio l'ingenuo

Giuseppe Niccolai

 

Andreotti ("la Repubblica", 16.2) scrive che è stato «un assurdo dare la solennità di carta stampata, per di più con l'etichetta congiunta di Camera dei Deputati - Senato della Repubblica, a migliaia di foglietti privi di paternità pervenuti a suo tempo alla Commissione Antimafia». Si tratta delle ormai famose schede. E Andreotti si rifà alla sua. Ridicola la definisce. E cita Lima. Mi accusano, scrive Andreotti, di essere suo amico. Contro Lima, prosegue, emergono tante denunce anonime tutte smontate da successive inchieste e procedure giudiziarie contro terzi.

 

* * *

Mi ricordo, perché ero membro della Commissione, che in data 7 maggio '75, il Presidente dell'Antimafia, il senatore DC Carraro, incaricò l'on. Cesare Terranova (poi assassinato dalla mafia), già Giudice Istruttore, di ritirare dal Tribunale di Palermo i fascicoli riguardanti i seguenti processi:

Fascicolo 13772/A: falsità in atti pubblici

Fascicolo 7578/70: peculato continuato

Fascicolo 10047/68: interesse privato in atti di ufficio

Fascicolo 965/A: tentato peculato aggravato.

I fascicoli riguardavano il deputato Salvo Lima, l'amico di Giulio Andreotti, appunto. Tramite Terranova arrivarono in Commissione Antimafia il 17 maggio 1975. Per il primo processo l'autorizzazione a procedere contro Salvo Lima venne chiesta al Parlamento il 4 dicembre '68 e venne concessa il 30 maggio '73. Cinque anni dopo. Del secondo processo l'autorizzazione a procedere venne chiesta al Parlamento il 15 giugno '70 e venne concessa il 7 gennaio '75. Cinque anni dopo. Del terzo processo l'autorizzazione a procedere venne chiesta al Parlamento il 6 agosto '71 e concessa il 26 novembre '74. Tre anni dopo, Del quarto processo l'autorizzazione a procedere venne chiesta nel 1971 e concessa il 9 gennaio '75. Quattro anni dopo. Come siano andati a finire quei processi non lo so. So soltanto che Giulio Andreotti afferma il falso quando scrive che le denunce contro Lima «furono smontate da inchieste e procedure giudiziarie contro terzi». No, le denunce contro Lima, in prima persona, c'erano e, almeno in Parlamento, godevano di favorevole trattamento. Ritengo anche a ... Palermo. Comunque veniamo a cose meno impegnative, riguardanti l'on. Lima e il suo amico Andreotti. Mario Scelba, già Presidente del Consiglio, già Ministro di ferro agli Interni negli anni '50, anni fa, a scrutini già avvenuti per il Parlamento Europeo, venne intervistato, e gli fu chiesto quali erano i motivi per i quali «era stato trombato». «Io non possiedo i miliardi che ha Salvo Lima», fu la risposta.

Ora ci aiuti Giulio Andreotti. Quando Salvo Lima decise di dedicare tutte le sue ... energie alla politica, aveva le toppe al sedere. Oggi è miliardario. Il Ministro degli Esteri, visto che di Lima è amico, può domandargli come ha fatto da «pezzente» a diventare «miliardario»? Gliene saremmo molto grati.

 

* * *

Continuiamo nell'andreottiana. Un lettore de "la Repubblica", o meglio del suo settimanale, scrivendo a Scalfari, chiede: come mai Andreotti resiste a tutto, al tempo, alle amicizie equivoche, alle denunce, e non cessa di governare crescendo in politica (e forse in ricchezza)?

Lasciamo stare la arci-prudentissima risposta di Scalfari. Rifacciamoci ad una definizione di Montanelli: «Andreotti è un uomo politico, la cui segreteria va a metano. Infatti non lascia tracce». Eppure, tempo fa, tracce ne lasciò. Vistosissime. Non parlo di Sindona, di Ciancimino, di Lima, di Giudice, di Gelli. Si tratta di una vicenda di spessore meno forte ma significativissima: quella che venne chiamata dei falsi danni di guerra.

Una banda di autentici falsari, in un sottoscala di Firenze, fabbricò una serie di documenti facendo apparire che la ex-fabbrica di aeroplani Caproni era debitrice dello Stato per i danni subiti a causa dei tedeschi, in relazione a forniture belliche ... Intanto, quasi in contemporanea, era stata presentata e approvata una leggina in Parlamento che riconosceva, a coloro che, ricevuto un danno economico dai tedeschi, avendo dovuto fornire loro materiale bellico, il diritto ad essere risarciti. Ora quei fogli erano tutti falsi. Ebbene, Andreotti era Presidente del Consiglio; e dato che l'allora Ministro del Tesoro, on. Malagodi, tergiversava nel dare avvio alla pratica "Caproni", il Presidente del Consiglio si mise a tempestare il ministro perché la pratica fosse conclusa e fossero sborsati i soldi ai richiedenti (tutti falsari!). Quelle lettere di Andreotti furono pubblicate.

Ebbene quando, scoperto il ... trucco, ad Andreotti si chiese ragione del suo comportamento, quale fu la sua risposta? «Sapete? Può capitare a tutti di raccomandare dei lestofanti!» E la vicenda si chiuse lì. Nessuno andò oltre ... Direte che c'è di peggio. Può essere. Ma sta il fatto che, in quella circostanza, Andreotti fu sorpreso ad aiutare una banda di falsari che cercavano di truffare il Governo, di cui lui era Presidente del Consiglio dei Ministri! C'è da giurarlo: lo avremo Presidente della Repubblica. E, a pensarci bene, quale altra scelta migliore, date le circostanze, ci sarebbe?

 

 

"Pagine Libere", Anno IX n° 4, aprile 1989

 

Benedetto Croce fascista

a cura di Giuseppe Niccolai

 

*   *   *

«Benedetto Croce utilizzò contro l'ideologia liberal-radicale anglofrancese tutti gli argomenti che il fascismo utilizzerà poi per assaltarla»

(Arrigo Cajumi) n° 5 di "Occidente" (1955)

 

*   *   *

«Fin dagli inizi della guerra, e purtroppo oggi ancora, molta, troppa gente si è data (e v'insiste) alla ricerca del "responsabile", del "gran colpevole", del "delinquente", che ha acceso la guerra nel mondo; e questo è stato agevolmente ritrovato in un individuo, il quale, sebbene sia un imperatore, non è meno un uomo, un pover uomo, inetto a muovere sì vasta mole e far accadere tanto sconvolgimento quale nemmeno Giove avrebbe saputo, girando il supercilio ... Ma anche quando la ricerca è stata trasferita dal singolo individuo alla classe sociale, e meglio ancora a un popolo tutto o a un gruppo di popoli, il responsabile non è stato scoperto o logicamente dimostrato; perché un popolo non è responsabile della situazione geografica in cui è collocato, e non è responsabile del proprio passato, che gli assegna questo e questo presente, e delimita e configura in questo o quel modo la sua azione».

 

(Benedetto Croce, "Postille politiche", giugno 1918)

 

* * *

«Ora che cosa è la ricerca del "responsabile degli avvenimenti storici"? È un vecchio errore ben noto, esattamente definito, e convenientemente dialettizzato, critico e riportato alle sue origini ideali da chiunque si sia mai travagliato negli studi storici: è segnato nel catalogo dei metodi falsi e da evitare: è ciò che, in metodologia storica, si chiama la concezione individualistica o prammatica della storia, culminante appunto nel Settecento, e confutata, rigettata e scansata con vigile cura dalla storiografia dell'Ottocento».

 

(Benedetto Croce, idem)

 

* * *

«Nella più parte dei casi quei ricercatori di responsabilità non sono altro che sfuggitori di responsabilità, quei moralisti non sono altro che esseri sordi alla schietta morale. Col proseguire la ricerca di una responsabilità immaginaria, i primi si risparmiano di ricercare la propria e personale, che l'uomo probo prima di ogni altra ricerca; e, per esempio, applicando le categorie della criminologia al sire di Hohenzollern, stordiscono sé e gli altri, e si tolgono di dosso l'obbligo di applicare la sentenza e la pena a se medesimi, che per anni ed anni hanno protestato e votato contro le spese militari e hanno concorso a disarmare il loro Paese. E del pari i secondi, col raddrizzare la santa moralità nella storia politica degli Stati delle varie parti del mondo, si liberano per intanto dalla noia di adempiere a quei piccoli doveri verso la verità, verso la propria Patria, verso la propria professione di mestiere, che sono i soli doveri esistenti, perché sono i soli che sorgono su basi reali e non su basi immaginarie. Allorché odo o leggo le gesticolate declamazioni di codesti accusatori di responsabilità e moralistici politici, sento allentarsi in me il freno del Galateo; e rimormoro le parole che Francesco d'Assisi consigliò a frate Leone di gettare sul viso del diavolo, che gli si presentava in forma di Crocefisso: "Apri la bocca, ecc"; e rimastico i versi del nostro Carducci: "O idealismo umano, affogati ..." (il Carducci dice dove, e indica il posto giusto per quella gente)».

 

(Benedetto Croce, idem)

 

* * *

«Del pari, durante la guerra, si è accresciuto in Italia e altrove il numero di coloro che si sono dati a pronunziare giudizio morale degli Stati e popoli combattenti, attribuendo diritti a chi non se li sa conquistare o non li sa difendere, e limiti e doveri a chi, tendendo la propria mente e spargendo il proprio sangue, a ragione non riconosce altro limite e dovere fuor di quelli che la propria mente e la propria forza gli consigliano e pongono».

 

(Benedetto Croce, idem)

 

* * *

«Lamenteremo noi le stragi di San Bartolomeo o i roghi dell'Inquisizione e le cacciate degli ebrei e dei moreschi, o il supplizio del Servet? Lamentiamoli pure, ma serbando chiara coscienza che, a questo modo, si fa poesia e non già storia. Quei fatti sono avvenuti e nessuno può cangiarli; come nessuno può dire che cosa sarebbe avvenuto se non fossero avvenuti. Le espiazioni che la Francia e la Spagna avrebbero fatto o dovrebbero fare per pretesi "delicta maiorum" è frase di vendicativo giudaismo, da lasciarla ai predicatori, priva di qualsiasi significato. La direi persino immorale, perché da quelle lotte del passato è nato questo nostro mondo presente, che pretenderebbe, ora, levarsi di fronte al suo progenitore per insultarlo o, per lo meno, fargli il sermone».

 

(Benedetto Croce, "Cultura e Vita morale")

 

* * *

«Aveva ragione Diocleziano o i cristiani? Innocenzo III o gli Albigesi? Gustavo Adolfo o Wallestein? I cattolici o i protestanti? Bruno o i suoi carnefici? Né gli uni, né gli altri, e gli uni e gli altri insieme; se è vero che la storia posteriore del pensiero li nega e li include tutti. E ciascuno lottava come poteva e doveva. Clericalismo e anticlericalismo (secondo il Luzzatti) sono il prodotto psicologico della stessa deformità morale: l'intolleranza. Ahimé, a questa stregua tutta la storia sarebbe un prodotto di "deformità morale", perché tutta la storia è intollerante».

 

(Benedetto Croce, "Cultura e Vita morale")

 

* * *

«La massoneria ... è uno dei prodotti più schietti dello spirito del secolo decimottavo. Il socialismo è, invece, uno dei più schietti prodotti dello spirito del secolo decimonono ... La prima vagheggia la libertà, la giustizia, la fratellanza, la scienza, e tutte le altre Dee che operarono al modo che è noto nella Rivoluzione francese. Il secondo, indifferente anzi irriverente verso quelle Dee, muove da una considerazione di dialettica storica, e procura di intensificare e di garantire il portato della nuova storia, la società dei Lavoratori ... L'inconciliabilità fra i due sistemi fu profondamente sentita da Marx, ed il motivo dominante che guida l'opera del più grande, perché più vivo, rappresentante odierno del marxismo, di Giorgio Sorel».

 

(Benedetto Croce, "Il Giornale d'Italia", 6 ottobre 1910)

 

* * *

Commenta Paolo Vita Finzi ("Le delusioni della libertà"): «Il parere sulla Massoneria del senatore "ricco di censo, di cultura e di ingegno" venne citato con compiacenza al XIV Congresso del PSI (Ancona, aprile 1914) e fu proprio con l'approvazione dell'ordine del giorno di Benito Mussolini contro la setta, dichiarata incompatibile col socialismo, che il futuro Duce ottenne uno dei suoi maggiori trionfi. In tal modo, partendo da luoghi opposti dello spazio e del pensiero, il Palazzo patrizio di Napoli e la casupola di Predappio, l'alta speculazione sui testi originali della filosofia europea e la cultura abborracciata sugli opuscoli e sui giornali di classe, i due uomini giungevano a una stessa condanna di quegli infelici princìpi dell'89».

 

 

"Pagine Libere", Anno IX n° 6 - 7, giugno - luglio 1989

 

La guerra fra bande

Beppe Niccolai

 

Sui muri un manifesto elettorale, in occasione del voto europeo. È del Comitato pro Vittime della Mafia. Dice:

Gennaio 1983 - Settembre 1988 = 3534 morti di mafia

La guerra italiana deve finire.

Così il manifesto. Ahimé, è doveroso aggiungere, o correggere: la guerra italiana continua.

 

* * *

Scrive Giorgio Bocca ("la Repubblica", 10.6.89): «Chi non si è ancora convinto -e ci rendiamo conto che convincersene è dura- che nell'Italia reale partiti politici e malavita organizzata cogestiscono i lavori pubblici come le elezioni, i sussidi statali come i profitti illeciti ma ormai da tutti considerati normali, non capisce. Ma che hanno fatto questi grandi partiti di governo per essere premiati? Hanno fatto decollare l'industria nel Sud? Hanno rimesso in ordine le Amministrazioni, ristabilita la legge, difeso gli onesti? No, all'evidenza. E, allora, perché li votano?». Già, perché li votano?

 

* * *

Ci sono candidati della DC e del PSI che spendono per propaganda elettorale individuale decine e decine di milioni (ci si riferisce alle elezioni amministrative di Terlizzi, N.d.R..). Come li spendono? Le istruzioni per l'uso recitano: prendi un giovane, ti fai dire il nome, cognome e numero del seggio in cui voterà, gli dai 50.000 lire subito e gliene prometti altre 50.000 per dopo, gli dai una quaterna di preferenze da segnare sulla scheda, lo intimidisci un po'. Domenica 28 maggio la mattina un voto vale cento o duecentomila lire, a sera c'è come una svendita, non c'è ragazzo che non si sia ritrovato per mano un diecimila o un buono di benzina. Ai tossicodipendenti invece una dose in cambio di un voto (Michi Vendola, "l'Unità" 31.5.89). Ecco come si vota in tante parti d'Italia. Lo attesta "l'Unità", quotidiano di quel PCI che di «questa» Repubblica è un fondatore. Non dimentichiamo: Torino, oggi, non è meno palermitana di Palermo.

 

* * *

Ma ha ragione Achille Occhetto a dire che i voti nel Mezzogiorno non sono andati, in sede amministrativa, al PCI perché molti elettori non sono liberi di scegliere, in quanto la malavita li controlla? Il PCI è davvero estraneo a questo sistema voti-malavita? Sentiamo cosa ne pensa Nando Dalla Chiesa, figlio del generale assassinato dalla mafia, iscritto al PCI e dal PCI portato, come una reliquia, in processione tutte le volte che di mafia si parla nella penisola. «La mafia», scrive Dalla Chiesa, «diventa più potente nel decennio in cui cresce, e non poco, la sinistra. C'è un interrogativo più inquietante: quali sono i princìpi che regolano tattiche, strategie, formule, e soprattutto alleanze della sinistra in quel periodo? Forse le leggi della politica che essa sinistra pratica sono le stesse in cui può navigare il potere mafioso? Il fatto è che è cresciuta la compenetrazione della mafia col potere e per questo si possono colpire le Istituzioni. Non ci sono cadaveri eccellenti senza assassini eccellenti. Se ciò è vero, ed è vero, che il salto qualitativo si realizza nel decennio, c'è a sinistra un approccio al potere e alla politica che va criticato impietosamente. Senza di che la denuncia delle responsabilità democristiane resterà sacrosanta quanto inefficace». (Nando Dalla Chiesa, "Pax mafiosa", "la Repubblica", 19.12.82).

 

* * *

A Reggio Calabria il PRI e il PLI hanno festeggiato il loro successo nelle elezioni amministrative. Il PRI è passato dal 6,5% al 9% e il PLI ritorna, in Consiglio Comunale dopo 20 anni con tre consiglieri. Lo storico Gaetano Cingari commenta: «Per capire che significato ha la crescita dei liberali basta leggere le dichiarazioni del loro capolista, Amedeo Matacena. Frasi del tipo "La delinquenza, l'omicidio, la rapina non sono mafia. I grandi capi mafiosi non fanno di questi lavori, i pescivendoli li fanno". Che dire? Certamente Matacena non ha nulla da spartire con la tradizione classica del liberalismo a meno che... A meno che Matacena non stia già pagando il prezzo della sua elezione. Il che è più grave».

 

* * *

E i repubblicani? «È fuor di dubbio», prosegue Cingari, «che il PRI si è rafforzato. Qualche candidato ha coagulato consenso grazie alla sua attività economica, altri in parti oscure della struttura sociale».

 

* * *

"la Repubblica", 1.6.89: «il contrabbando dei petroli è il più grave scandalo finanziario che la storia italiana ricordi». Così Bruno D'Alò, pubblica accusa al processo di appello. E in mezzo a questo processo, che ha visto il Comandante in capo della Guardia di Finanza essere in contemporanea, il capo dei contrabbandieri, Aldo Moro, con la sua segreteria, i suoi contributi, i suoi conti svizzeri ...

 

* * *

Ma, allora, che giudizio dare di questa Italia 1989? Rifacciamoci a Norberto Bobbio, il santone della democrazia. Non sapevamo che era stato Lui a parlare «di una Italia preda di una guerra fra bande». Ascoltiamolo: «Ma bisogna pur dirle e ripeterle, almeno sino a che non cominceranno a vergognarsene gli stessi protagonisti, soprattutto perché siamo molti a essere convinti che la degenerazione del dibattito politico in una sorta di guerra fra bande, di tutto interessate tranne che dell'interesse del Paese, continui a ritmo sempre più rapido, in forme sempre più frenetiche e urtanti, e non possa avere altra conseguenza che quella di portare presto o tardi alla rovina una democrazia già così fragile come la nostra» Norberto Bobbio scriveva queste considerazioni il 13 novembre del 1982, su "la Stampa". Sono passati sette anni. Nessuno si è «vergognato». Anzi, se ne gloriano. E la democrazia italiana?