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"Secolo d'Italia", 1 maggio 1977

 

A Mosca minarono irrimediabilmente il castello difensivo del leader comunista detenuto a San Vittore: le fece scrivere «Palmiro»
Gramsci accusa Togliatti
Un caso fra tanti, di cinismo e di intrigo in un partito cresciuto alla scuola leninista
 

Beppe Niccolai


Nel consegnare la lettera inviata da Grieco per conto di Togliatti, il giudice istruttore commentò: «Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera». Quattro anni dopo Gramsci spiegherà così il «mistero» della lettera: «Può darsi che chi scrisse [Grieco] fosse solo irresponsabilmente stupido e qualche altro [Togliatti], meno stupido, lo abbia indotto a scrivere»

Il quarantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci -avvenuta all'alba del 27 aprile 1937, due anni dopo avere acquistato la libertà piena- non ci induce a tentare di fare di questa figura di pensatore e politico coerente e vigoroso, un bilancio di maniera.
La sua vita i suoi scritti ormai tutti pubblicati ci inducono ad un altro tentativo, quello cioè di trovare, a quarantanni dalla sua morte, quando cioè l'analisi liberatasi dalle polemiche e dalle passioni si fa obiettiva, elementi che ci aiutino a capire meglio «quel PCI» che, senza ombra di dubbio, è il problema dinanzi al quale la società italiana, per ragioni di sopravvivenza, deve misurarsi.
Scrivendo di Antonio Gramsci, quindi, non tratteremo delle sue analisi speculative, nè della sua strategia ideologica, nè della sua via italiana o europea al socialismo. Scenderemo al pratico per lumeggiare con i documenti gramsciani (questo, si, doveroso) rapporti umani, comportamenti e vicende interne del PCI; rapporti, comportamenti e vicende che acquistano, nel contesto politico attuale, valore di vita e di insegnamento.
Solo in questo le commemorazioni servono ed hanno uno scopo. Si è detto: documenti. "Rinascita", la rivista culturale fondata da Palmiro Togliatti, pubblicò nel numero 32 del 9 agosto 1968 (Togliatti era già morto) alcune lettere inedite tratte dagli archivi di Stato e dall'archivio del PCI e scambiate, nel marzo 1928, fra Ruggero Grieco, che era a Mosca con Togliatti e Gramsci e Terracini che erano reclusi nel carcere di San Vittore in Milano in attesa di pro cesso.
Si tratta di questo: marzo 1928, a Mosca Stalin espelle dal partito Trotzki, Zinoviev e Kamenev, che lo avevano accusato di favorire il ritorno del capitalismo in Russia e per il comportamento seguito nei riguardi della questione cinese, sia nei riguardi dei contadini. Togliatti e Grieco erano a Mosca. Orbene a Gramsci e a Terracini, nel marzo 1928, arrivano nel carcere di San Vittore, si badi bene per posta normale e non per canali clandestini come il PCI era uso fare date le circostanze, due lettere inviate da Mosca. Le lettere portano la firma di Ruggero Grieco.
Il contenuto delle missive, salvo i convenevoli di uso circa la richiesta di notizie sulla salute dei destinatali, è poco e estremamente riservato soprattutto là dove, non solo giustificano le epurazioni staliniane, ma si esaltano in quanto, scrive Grieco «quelle epurazioni», che hanno eliminato l'opposizione e ogni forma di dissenso, erano inevitabili e necessarie perché la minaccia di guerra con l'URSS «è un fatto reale e, in questa situazione, non si può giocare all'opposizione».
Fermiamoci un momento sulla frase «non si può giocare all'opposizione».
Grieco, scrivendo in questi termini a Gramsci, intende semplicemente informarlo quanto accadeva a Mosca, o piuttosto il riferimento era diretto, di carattere personale?
Non ci sono dubbi: il riferimento era diretto alla persona di Antonio Gramsci. Infatti basta ricordare come due anni prima (1926) lo stesso Gramsci avesse inviato a Giuseppe Stalin la famosa lettera (mai consegnata da Togliatti) di dissenso sui suoi metodi interni di conduzione del partito, ed è evidente che la frase di Grieco «non si può giocare all'opposizione dati i tempi» assolve Stalin che elimina i dissidenti e condanna Gramsci, che di quel dissenso si era fatto portatore. Trotzki, Zinoviev e Kamenev hanno contribuito ad educarci per la rivoluzione, sono stati nostri maestri, non possono essere espulsi, aveva scritto Gramsci.
Ma Togliatti, nello scambio di queste missive, che ruolo gioca, come centra?
C'entra, eccome. Non solo perchè Togliatti, già schierato con Stalin, aveva, due anni prima, risposto seccamente a Gramsci «di tenere i nervi a posto», che «il problema era della giustezza o meno della linea seguita dalla maggioranza del comitato centrale del partito comunista sovietico» e che si trattava di scegliere: «o con gli uni o con gli altri» ma soprattutto perchè questa volta Grieco scrive per conto di Togliatti. Infatti, citandolo, lo scusa, per il fatto che non sia lui a scrivere, con questa frase. «la sua avarizia (nello scrivere - ndr) è degna di un rabbino». Al che Terracini, nella risposta a Grieco, dirà duramente e sarcasticamente che «per scrivere, oltre al francobollo, occorre un certo quid di sentimenti e di impulsi non cedibili e permutabili». Il tutto fa ritenere, senza ombra di dubbio, che i rapporti, non solo politici, ma umani e personali fra Togliatti e Gramsci e lo stesso Terracini, per quanto avveniva in quei giorni (Stalin vincitore dei suoi rivali, i vertici comunisti internazionali si schieravano al suo fianco), non erano dei più tranquilli.
Ma se quelle lettere di Grieco rappresentavano il chiaro invito a Gramsci e a Terracini di schierarsi con Giuseppe Stalin, quale altra finalità potevano avere in quel contesto politico, in cui si decidevano anche le sorti di chi doveva essere scelto a capo della segreteria del PCI?
Pensate la scena internazionale di allora. Stalin, vincitore, si apprestava a mettere in galera e ad uccidere in un secondo tempo, tutti i suoi oppositori. All'interno degli Stati europei la minaccia del comunismo internazionale tutt'altro che domata. Ci si difendeva. Per dirla con un termine molto di moda oggi, l'eversione «comunista» era in atto e veniva fronteggiata. Anche con leggi eccezionali. Ora Togliatti era a Mosca. Gramsci a San Vittore in attesa di processo. E quest'ultimo, non lo si dimentichi, concorrente con Togliatti alla segreteria del partito, nella sua difesa per ottenere la scarcerazione, aveva sempre sostenuto, pur non rinnegando la sua fede. di non far parte dell'esecutivo del partito. Ora che cosa rappresentavano quelle lettere di Grieco, inviate per posta normale al carcere di San Vittore (dove tutta la posta dei detenuti, qualunque sia il regime che governa, è controllata), e nelle quali Gramsci veniva indicato, per la stessa natura delle notizie che gli venivano fornite, come un alto dirigente internazionale del PCI, se non una vera e propria denuncia a coloro che lo ritenevano colpevole di eversione contro lo Stato?
Come è possibile ritenere così come scrivono gli storici del PCI a cominciare dallo Spriano che l'invio di quelle lettere per posta normale fu solo leggerezza?
No. Ha ragione Gramsci a pensarla diversamente. Infatti, scrivendo alla cognata Tania, tornerà più volte su quella «strana» lettera ricevuta nel carcere di San Vittore nel marzo 1928. E si chiederà se fu solo «leggerezza irresponsabile oppure un atto criminale, un atto scellerato», esprimendo il dubbio che chi la scrisse fosse «irresponsabilmente stupido» e «qualche altro», meno stupido, lo abbia indotto a scrivere».
Il riferimento di Gramsci è chiaro. E l'indirizzo pure: Palmiro Togliatti.
Gramsci è tanto sicuro di quello che afferma che, sempre alla cognata Tania, riferisce l'episodio della consegna di quella lettera da parte del giudice istruttore. Costui, congegnandola a Gramsci, aggiunse testualmente: «Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che Lei rimanga un pezzo in galera». È stato scritto che questo episodio, oltre che gettare sul PCI l'ombra «di tradimenti, provocazioni, cedimenti», accentuò l'isolamento morale di Gramsci dal partito stesso, fino ad esporlo all'accusa di essere un socialdemocratico, o quella più infamante (menzognera - ndr) di avere ottenuta la libertà (Gramsci mori nella Clinica Quisisana di Roma) per avere rinnegato.
Che cosa abbiamo voluto significare riportando questo squarcio di vita interna del PCI, sconosciuto ai più?
Forse la tesi di un Gramsci democratico che lotta e perde nei confronti di un Togliatti staliniano?
Chi scrive è concorde con quella parte degli studiosi che sostengono che non vi è nessuna differenza fra il termine «egemonia del PCI» usato da Gramsci nei confronti della società civile e quello di «dittatura del proletariato» usato da Lenin in quanto, è lo stesso Togliatti che ce lo spiega, «ogni stato è una dittatura e ogni dittatura presuppone, non solo il potere di una classe, ma di un sistema di alleanze e di mediazioni attraverso cui si giunge al dominio di tutto il corpo sociale». Ma ciò, come si è detto all'inizio, non è la ragione di queste modeste note.
La vicenda che si racconta altro scopo non ha se non quello di dimostrare, in un momento di collasso morale e mentale come all'interno di questo «principe», il PCI, che dovrebbe (come affermano, per dirla con Lenin, «gli utili idioti del comunismo») rigenerare la società italiana, la lotta per il potere si caratterizzi di crudeltà.
Da quei giorni la vita all'interno del PCI (e di tutta la società comunista) non è cambiata. Quaranta anni sono passati dalla morte di Gramsci. Il rispetto verso un uomo che ha saputo soffrire e morire per le sue idee c'è tutto. Non altrettanto per i suoi odierni agiografi che, nella foga di metterlo sugli altari del compromesso storico, hanno perfino parlato di una sua conversione, in punto di morte, al cristianesimo. Sono bestemmie.

Giuseppe Niccolai

Inviato da Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info