"Secolo d'Italia", 10 giugno 1977
Né pessimismo né rassegnazione
Rifondare lo Stato
Beppe Niccolai
«Vengo alle (illeggibile) più (illeggibile) di oggi per cui non vorrei entrare
in una giuria e specialmente in una giuria chiamata a giudicare quelli che si
usano dire delitti contro le istituzioni, contro lo Stato. Così come non capisco
che cosa polizia e magistratura difendano, ancor meno capirei che io, proprio
io, fossi chiamato a fare da cariatide a questo crollo di disfacimento di cui in
nessun modo e minimamente mi sento responsabile. Salvare la democrazia,
difendere la libertà, non cedere, non arrendersi -e cosi via, coi titoli che
vediamo ad ogni avvenimento tragico accendersi sui giornali- sono soltanto
parole. C'è una classe al potere che non muta e che non muterà se non
suicidandosi. Non voglio per nulla distoglierla da questo proposito o
contribuire a riconfortarla; che sarebbe come scegliere per sempre, per me,
quella che i medici hanno diagnosticato ai giurati di Torino come «sindrome
depressiva».
Cosi Leonardo Sciascia ("Corriere della Sera", 12 maggio '77), considerato il
più grande fra gli scrittori italiani viventi. Non è un intellettuale
disimpegnato. È iscritto al PCI e nel '75 è stato eletto nelle liste del PCI
consigliere comunale di Palermo.
Sciascia dichiara dunque la sua assoluta indisponibilità a qualsiasi rischio per
la sopravvivenza dell'attuale regime italiano. È dichiaratamente contro il
sistema che considera in fase di crollo e di disfacimento.
Caso isolato? Non diremo. Gli fa eco un poeta, premio Nobel, senatore a vita:
Eugenio Montale.
«Se fosse stato estratto, avrebbe accettato di fare il giudice popolare?» gli è
stato chiesto ("Corriere della Sera", 5/5/77).
«Credo di no. Sono un uomo come gli altri e avrei avuto paura come gli altri. Lo
Stato è veramente in grado di difendere questi giudici? Personalmente penso di
no... La sconfitta dello Stato viene da lontano... I mass media, con la
televisione in testa, hanno distrutto la morale in un modo mai visto prima. C'è
stata una specie di sotterranea strage nucleare. I mass-media fanno una continua
apologia di reato, lo presentano come facile e attraente. Le conseguenze sono
sotto i nostri occhi, proprio quando non riusciamo più a distinguere fra
criminalità politica e criminalità comune ...».
Norberto Bobbio, scienziato della politica e filosofo del diritto, dichiara:
«È impossibile che la fine della prima Repubblica possa essere evitata».
È a questo punto che Giorgio Amendola taccia da disfattisti e da vili gli
intellettuali italiani. Norberto Bobbio replica: «Se ubbidire alle leggi dello
Stato diventa un pericolo. significa che lo Stato non funziona. Il rimprovero va
all'impotenza dallo Stato. Si è formato un nucleo di violenza tale che i
cittadini si sentono minacciati. La prima funzione dello Stato è la protezione
dei cittadini. Se i cittadini hanno paura, vuol dire che lo Stato manca alle sue
funzioni. Fa paura lo Stato troppo forte, ma fa paura lo Stato troppo debole».
Ad Amendola ieri ha replicato lo stesso Sciascia con brucianti ritorsioni -e
richiami ai suoi trascorsi stalinisti- sull'abilità con la quale il parlamentare
del PCI confonde «coraggio» con «conformismo» e «paura» con «anticonformismo».
Potremmo continuare con le citazioni, ma ce ne è abbastanza per chiederci: ma
che sta accadendo? Come è possibile che intellettuali di questo stampo, che
vengono da molto lontano, che hanno tradizioni resistenziali, che militano nei
partiti di sinistra, possano esprimersi così, cioè con analisi dure e crude
contro il «sistema», contro il «regime» nato dalle doglie del 1945? Come è
possibile che contestino la loro creatura con accenti e considerazioni che la
destra politica porta avanti da anni? Questa caduta della fede come si spiega?
Libertà, democrazia, ordine, tutte parole, afferma Sciascia. La realtà è
diversa: il sistema genera corruzione, degradazione, sfiducia, criminalità. Ed è
qui che nasce la paura: vaga, indefinita, penetrante. È dal sistema degradato
che i terroristi partono e agiscono. E come si fa a difendere una creatura
abbrutita, i cui stessi Padri ripudiano?
Allora, tutto finito? Non c'è più nulla da fare? No, tutto non è finito.
Occorre, con coraggio, ripensare e rifondare lo Stato. in termini di libertà e
di efficienza. Pensate un po': in trenta anni l'Italia ha avuto 35 governi, 981
giorni di crisi. La Germania federale, nello stesso periodo, ha avuto 5 governi.
Come è possibile, in queste condizioni, nell'era nucleare e della tecnologia più
avanzata, tenere il passo? Come è possibile difendere le libertà con la fede dei
cittadini, quando il sistema che ci delizia esclude il cittadino dalle scelte
rendendolo suddito di Sua Maestà la corrente che, a sua volta, espropria lo
Stato di tutte le sue prerogative? Non l'onestà, non la competenza, non il
sacrificio premiati, ma la camorra, l'intrigo, l'inganno, il doppio gioco,
spesso il delitto: ingredienti tutti che occorrono per fare carriera.
Montale: la crisi viene da lontano, è una crisi di valori. D'accordo. Ma se è
cosi come pensare di risolverla con gli incontri collegiali, le consultazioni
bilaterali, i colloqui preliminari, le intese quadripartite? Pazzie. Il ministro
Cossiga vola in Spagna. A coordinare la lotta contro il terrorismo. Perché così
lontano? Bastava recarsi a Taurianova e chiedere chi c'era al «summit della
mafia» quando altri due figli del popolo in divisa sono stati assassinati. Il
ministro Cossiga lo ignora? Glielo diciamo noi: c'era l'amministratore regionale
dello scudo crociato; c'era il sindaco comunista di Canoto, c'era il socialista,
fratello del capo ufficio stampa del consiglio regionale calabro. Erano riuniti
per concordare la spartizione di 39 miliardi stanziati per il centro siderurgico
di Gioia Tauro.
È stato scritto: la mafia cardine del potere politico in Italia. Cossiga lo
ignora. Gli piace questo sistema mafioso che consente a lui di volare. Onde
stemperare nel «nero» il «rosso» che uccide.
Giuseppe Niccolai
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