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"Secolo d'Italia", 16 settembre 1977

 

Dal «suicidio» del colonnello Rocca alle bombe
Catena di sangue

Beppe Niccolai


Nell'agosto 1975 il presidente del Consiglio dei Ministri, Giulio Andreotti, così mi scriveva: «Caro Niccolai, il periodo estivo consente, attraverso i ritagli di stampa, di essere informato anche di ciò che è sfuggito nei mesi precedenti. Mi riferisco specificatamente ad un passo di un tuo discorso alla Camera riportato dal "Secolo d'Italia" nel quale fai cenno a esistenti rapporti tra me e il defunto colonnello Rocca. Poiché so che sei preciso nelle documentazioni, ti prego di prendere nota che nella mia lunga permanenza al Ministero della Difesa non ho mai avuto occasione di conoscere il colonnello Rocca e lo stesso vale per il periodo precedente e per quello che lo ha seguito. Se non vado errato, una sola volta il Colonnello, in assenza del capo del suo Ufficio, venne a portarmi una rassegna stampa, ma non sono sicuro che si trattasse effettivamente del colonnello Rocca e che non fosse invece altro ufficiale superiore del Servizio. Cordiali Saluti.
Giulio Andreotti.

Risposi ringraziando per l'attenzione che un uomo di Stato come Giulio Andreotti poneva nei riguardi di note di un modesto deputato di periferia quale era il sottoscritto ma, nel contempo, precisavo al presidente del Consiglio che il colonnello Rocca, nella sua lunga carriera che lo vide al servizio del SIFAR dal 1950 al giorno del suo «assassinio» avvenuto in Roma il 27 giugno 1968, aveva l'abitudine di presentarsi, non con il suo vero nome, ma via via come Alberto Revelli, Pino Renzi, Roberto Riberi, Carlo Bernini.
Ieri il presidente del Consiglio è stato a Catanzaro per essere ascoltato nel processo per la strage d piazza Fontana.
Non se ne dolga se, con queste mie note, riprendo con lui un discorso interrotto quando, quale membro della Commissione Difesa, alla sua persona (allora Ministro della Difesa) mi rivolgevo dicendogli, con tutto il garbo che Andreotti merita, che non lo ritenevo «credibile» quando affermava la sua nitidezza politica e morale nei riguardi delle sconcertanti vicende relative alla gestione democristiana del SIFAR-SID.
Ho ricordato la morte del colonnello Rocca: 27 giugno 1968. I giornali scrissero; «Un pensionato militare si suicida per esaurimento nervoso».
Era e resta una bugia, una bugia intrisa di sangue. Un anno e mezzo dopo quella morte, esplodono le bombe di Piazza Fontana È il 12 dicembre 1969.
Il lettore si chiederà: ma che relazione può esserci fra la morte di Renzo Rocca e le bombe di Milano? C'è. La degenerazione dei Servizi segreti è al centro del processo di Catanzaro e la vicenda «Rocca» ne è la spiegazione. Facciamone un po' la storia.
Il colonnello Renzo Rocca dirigeva fin dal 1950 l'ufficio SIFAR-REI, un ufficio creato formalmente per occuparsi del controspionaggio industriale, sostanzialmente per gestire, in nome del partito di governo, i traffici politico-finanziari diretti ad espandere il potere democristiano.
1950-1968: nelle mani di Rocca passano centinaia di miliardi. Questo ufficio nel 1960 prende una fisionomia ben netta: utilizzare le cospicue risorse finanziarie al fine di facilitare l'operazione centro sinistra. Quando si parla, si scrive, si teletrasmette che i Servizi segreti, anziché occuparsi dei compiti di istituto loro assegnati, si sono trasformati in strumenti di ricatto, di pressione, «fino ad uccidere», e ciò in ossequio al potere clientelare e partitocratico che ci… delizia, si faccia attenzione a ciò che scrivo, e chi dissente senta la dignità di chiamarmi a rendere ragione.

La «gestione» delle bombe
Chi è delegato a gestire il servizio ai fini del potere democristiano è Paolo Emilio Taviani, ministro della Difesa dal 1953 al 1958, dell'Interno dal 1962 al 1968 e dal luglio 1973 all'ottobre 1974. Ed è Taviani che designa Rocca all'ufficio REI, grazie alla collaborazione, sia dell'ammiraglio Henke -che dal «gabinetto» di Taviani passa nel 1966 a dirigere il SIFAR e nel 1970 diventa capo di Stato maggiore della Difesa- sia del generale Aloia, capo di Stato maggiore dell'Esercito dal 1962 al 1966 e Capo di Stato maggiore della Difesa fino al febbraio del 1968.
Fateci caso: è in questo arco di tempo che si comincia a gestire le bombe per condizionare la situazione politica. Le maggioranze non servono più. Si ricorre al tritolo.
Piaccia o no, il processo di Catanzaro è chiamato a sciogliere questo nodo già chiaro alla pubblica opinione: i servizi segreti, chiamati a tutelare la sicurezza dei cittadini, da chi sono stati distolti dal loro compito, fino a trascinarli in azioni delittuose?
Ipotesi azzardata, fuori misura? E perché mai, allora, il presidente del Consiglio viene ascoltato dalla Corte di Assise di Catanzaro? Perché mai la stessa sorte viene subita dai ministri della Difesa?
Ed ora alcuni episodi caratterizzanti l'attività del colonnello Rocca,
Si è parlato dei 150.000 fascicoli che, custoditi dal SIFAR, contenevano notizie «intime» sui personaggi della vita politica e industriale italiana. Politici, prelati, industriali, magistrati, militari, professionisti, tutti schedati. Il fuoco dell'inceneritore di Fiumicino li ha distrutti. Così ha riferito la stampa. La notizia è falsa. Identica fascicolazione, per ordine di Taviani, venne istituita presso il Ministiro degli Interni Ed è ancora là.
A proposito: vi ricordate le sdegnate dichiarazioni del senatore Merzagora? Quando a causa della malattia di Segni, nell'agosto del 1964, assunse la reggenza provvisoria di Capo di Stato. Taviani lo informò che, se avesse voluto, tutte le mattine avrebbe avuto sul suo tavolo notizie riservate sul conto del mondo politico-affaristico italiano. Merzagora, sdegnato, rifiutò.
Ebbene quelle notizie provenivano dall'ufficio SIFAR-REI del colonnello Rocca.
Ricordate l'operazione che nel Dicembre 1961, ispiratori Fanfani e il generale Aloia, fu tentata per corrompere i delegati partecipanti al Congresso del PRI di Ravenna, congresso decisivo per il centro sinistra e di cui La Malfa, contro Pacciardi, era il paladino?
L'operazione materialmente venne curata dal colonnello Rocca con i fondi dell'ufficio SIFAR-REI.
Ricordate l'incontro di Pietro Nenni, allora vice presidente del Consiglio del Governo presieduto da Moro, con il generale Viggiani, capo del SIFAR, incontro che avvenne presso il ministro Corona al Ministero del Turismo?
Il SIFAR ha chiamato quella operazione, che si concretizzava nel finanziamento del giornale "l'Avanti!", «operazione N 42». Ebbene chi era l'operatore se non il duo Taviani-Rocca?
Pensate un po': quattrini raccolti da Rocca tra gli industriali e nei fondi delle Forze Armate che andavano a finanziare "l'Avanti!"!!! E il padrino: Pietro Nenni!!! Roba da sprofondare per la vergogna.
E tutto ciò avveniva il 24 febbraio 1964, ore 13,30. Potremmo continuare. Ma che cosa dimostrano questi «fatterelli» se non che il SIFAR era divenuto, fin dal 1962-64, strumento della corruzione democristiana verso tutti e tutto?
E se nel 1964, e anni seguenti, il «denaro» era l'arma preferita per incollare le maggioranze, meraviglia che «dopo» si sia passati a gestire le bombe?

Morte sospetta
IL colonnello Rocca muore nel giugno 1968. È in piedi, fresco di nascita, il governo balneare Leone, ma soprattutto vigoreggia, come una tormenta, la polemica se fare o no l'inchiesta sul SIFAR per i giorni caldi dell'estate del 1964. Guardate cosa accade
Il 23 giugno è nominato ministro della Difesa Scalfaro, un ex magistrato, uomo integerrimo.
Il 25 giugno viene sostituito. Ed è Gui che lo rimpiazza, un fedelissimo di Aldo Moro, quell'Aldo Moro che, in fatto di… SIFAR, è tutt'altro che limpido.
Perchè questa sostituzione? Si è forse avuto paura che Scalfaro mettesse le mani in vicende poco pulite?
Due giorni dopo muore Renzo Rocca.
«Militare pensionato muore per esaurimento nervoso», scrissero. Non è così. E che non sia così lo dimostra il fatto che si è affossata l'inchiesta per indagare su quella morte.
Bugie imbrattate di sangue. Si tratta di assassinio.
Esagerazioni? Fantasie? Fantapolitica?
Il corpo del colonnello Rocca è ancora caldo, e sul posto piombano tre ufficiali dei SIFAR e il dott. Provenza, capo dell'Ufficio politico della Questura di Roma. L'autorità giudiziaria è assente e quando si muove, tutto stato rimosso e sistemato.
Militare in pensione suicida per esaurimento nervoso.
Non facciamo ridere. Quando il magistrato Ottorino Pesce, incaricato dell'indagine, chiede di mettere le mani sui documenti dell'Ufficio, l'ammiraglio Henke pone il veto di visionare quelle carte fino a quando non ottiene (ed è il 29 luglio!) che la Procura Generale avochi a sé tutto «per affossare la vicenda».
27 giugno 1966: poche ore prima di morire Renzo Rocca cerca disperatamente Taviani. Il ministro non si fa trovare. Fa dire che è fuori, e non è vero
L'ultima volta che lo vidi, dichiarerà Taviani, è stato il 16 giugno, sulla spiaggia di Santa Severa. Alcuni correggono la data: 23 giugno anziché 16. La borsa che l'autista di Rocca (un ex carabiniere assunto dalla FIAT e che è alle dipendenze di un ufficio del SIFAR; anche questa della FIAT è una componente costante nella storia bombe-servizi segreti) testimonia che era colma di documenti, ma è stata trovata vuota.
C'è di più. Quel giorno il Rocca preleva tutti i fondi da due banche. E anche altri oggetti, non meglio precisati. Si parla di bobine.
C'è quanto basta perché la Magistratura chieda, interroghi, vada in fondo ai molti «perché» che la vicenda reca con sé. E soprattutto una domanda: «Rocca vivo cosa avrebbe potuto rappresentare per coloro che si opponevano all'accertamento della verità circa la degenerazione delle attività del SIFAR?»
Quel colpo di rivoltella fuga ogni cosa: miliardi adoperati per mettere insieme maggioranze, per corrompere ministri, presidenti del Consiglio, politici; per manipolare commesse industriali, traffici di armi, favori, finanziare giornali… proletari. Tutto in fumo Vivo il colonnello Rocca avrebbe sepolto per sempre l'aspirazione di Moro a diventare Presidente della Repubblica. Morto, tante tante... coscienze ritornano alla tranquillità.
Rocca, per anni gestisce centinaia di miliardi. Conosce Presidenti della Repubblica, ministri, parlamentari, industriali, uomini importanti e potenti. Solo Giulio Andreotti lo evita, ma per lui tratta il segretario particolare dottor Bernabei. C'è fra i due un'ampia corrispondenza.

Cala il sipario
Rocca muore. Non ci credereste. Al suo funerale è un deserto. Solo i familiari e qualche raro amico sono presenti. E gli altri?
Prudentemente dietro le finestre. Quanti sospirosi di sollievo!
Se ne andava. Al Cimitero. Finalmente! Con il SIFAR (che si tramutava in SID) si poteva riprendere la vecchia danza. Prima il denaro, ora le bombe.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri si reca a Catanzaro.
Insieme ai Ministri della Difesa del tempo.
Si è tanto parlato della strategia della destabilizzazione delle istituzioni democratiche.
E che cosa, più di questi fatti, «destabilizza», nel cuore del popolo, il sistema che, nel momento in cui arresta i Carabinieri, prepara una bella amnistia per i ladri di Stato?
Il PCI, naturalmente, acconsenziente.

Giuseppe Niccolai

Inviato da Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info