DOCUMENTI

Ecco una sintesi della lezione tenuta dall'on. Giuseppe Niccolai, componente l'Esecutivo del partito e giornalista, sul tema: «Le basi nazionali della alternativa».
Istituzioni pubbliche e comunità civile. Partitocrazia e nuovo modello istituzionale. Il «tiranno senza volto» e il «centralismo democratico». «La proliferazione cancerogena della pseudo partecipazione»

 

"Secolo d'Italia", 25 novembre 1977

Le basi nazionali dell'alternativa

Il dibattito e il confronto in una Scuola di partito, se vogliono essere producenti ed accrescere la maturità politica, devono essere capaci di fornire ai militanti (che, dopo la Scuola, tornando in periferia, diventano operatori della politica) indirizzi e direttive tali da determinare comportamenti concreti nella vita politica di tutti i giorni, sì da influenzarla. Altrimenti la Scuola si trasforma in Accademia e manca al suo scopo principale: che è quello di formare militanti che, proprio perché conoscono la società in cui operano, sono anche in grado di trovare le terapie adatte per trasformarla.
Capire la società per modificarla.
La mia analisi non sarà culturale ma politica e prenderà in esame l'ultimo trentennio di vita politica nel tentativo di delineare, in sintesi, ciò che è stato e ciò che ha determinato nella società italiana questo trentennio; per esaminare dopo, a diagnosi fatta, le terapie per combattere i «veleni» che si sono accumulati via via nel corpo della Nazione.
La domanda è questa: quale Italia è venuta fuori dai 32 anni di gestione del potere a due fra DC e PCI?
È nata l'Italia squilibrata, un Paese che concede, dopo 40 anni di lavoro, pensioni INPS di 90.000 lire mensili di fronte ad altri che percepiscono, come certi dipendenti della Camera dei Deputati, anche 51 milioni l'anno di pensione.
L'egemonia democristiana sul paese si è esercitata e si è estesa privilegiando le concessioni settoriali, categoriali, il senso del particolare a scapito della solidarietà nazionale, il parassitismo, il clientelismo; la falsa riforma populista rispetto alla rigorosa riforma di struttura.
Tutto ciò alla luce di quel «pluralismo», che non è una bandiera, ma il paravento dietro il quale ricucire ad unità, sotto il controllo del partito egemone (DC), tutti i momenti che tendevano a diversificarsi e a crescere autonomamente.
Il senso dello Stato ne è stato distrutto e si può dire oggi, alla luce di quello che gli Italiani vivono e soffrono, che se l'Italia del 1945 era sì distrutta nelle cose ma intatta nell'animo, quella del 1977, dopo 32 anni di egemonia democristiana e comunista, ricostruita nelle cose, e distrutta nelle volontà.

Il modo di governare
E non è affatto vero che la sinistra italiana abbia, in questi 32 anni, rappresentato l'antitesi del modo di governare democristiano. L'80 per cento della legislazione uscita dal Parlamento dal 1948 ad oggi porta l'assenso del PCI.
I sindacati non sono da meno. Invece di chiedere giustizia per il Mezzogiorno e per le categorie più umili in nome detta solidarietà nazionale, i sindacati hanno corso dietro a tutte le rivendicazioni, specie delle categorie più protette, contribuendo a creare l'Italia del privilegio e l'Italia degli emarginati.
Il quadro politico nelle sue strutture antiquate ha completato l'operazione: un Paese, nell'anno di grazia 1977, sfiduciato, frustrato, deluso, cinico.
Nel parassitismo e nel clientelismo il fungo «partitico» è cresciuto in modo anomalo. schiacciando il cittadino e comprimendo le sue libertà. Il cittadino è diventato suddito; tanto suddito che oggi, per ottenere perfino le briciole delle sue potestà costituzionali, deve ricorrere agli intermediari, ai tiranni senza volto che dominano, come principi, la scena politica: il partito, il sindacato, l'ente economico, l'ente locale. Senza l'intervento di costoro il cittadino è fuori gioco, non conta nulla, è perduto per la società nazionale.
Da qui la selezione alla rovescia. Non vengono premiati i cittadini onesti e competenti. Vengono premiati i cittadini che trovano negli intermediari (i principi moderni) coperture, aiuti, appoggi. Ed a pagare questa selezione alla rovescia è il cittadino, soprattutto quello che più soffre.
Infatti gli ospedali non hanno il miglior chirurgo, ma quello più ammanigliato. Nelle strutture pubbliche vanno i raccomandati, non i competenti. Ne soffre l'efficienza. il morale. la stessa tenuta della Nazione.
Nelle scuole, nell'università e nel campo della ricerca il clientelismo e il pressappochismo fanno disastri. Ne deriva una dequalificazione collettiva che pone l'Italia, per quanto riguarda la ricerca in genere, negli ultimi posti della graduatoria delle Nazioni.
L'economia va a rotoli: le aziende a partecipazione statale, affidate ai boiardi dei potenti perché servano i loro bassi scopi, accumulano perdite da capogiro. La finanza pubblica deborda, i servizi degradano, la lira salta, la qualità della vita si fa scadente e il fiscalismo impazza.
Occorre ripensare lo Stato. In termini di autentica libertà e di efficienza. Il confronto col comunismo si vince, o si perde, su questo terreno. I tradizionali argomenti anticomunisti hanno fatto il toro tempo. La paura del comunismo non fa farina. Occorrono speranze e passioni. Speranze e passioni che non possono certo suscitare gli spenti partiti italiani che, per reggere le proprie malguadagnate poltrone, hanno dovuto chiedere aiuto al PCI.
Realizzare dunque uno Stato libero, moderno, funzionale, ordinato, giusto. È su questa base di effettivo e civile anticomunismo che il PCI può essere sconfitto.
Il sistema demo-parlamentare è decotto. È un sistema impresentabile. È veicolo di infezione comunista.
Occorre costruirne un altro che vada molto al di là dei cosiddetti blocchi d'ordine di montanelliana memoria. Un sistema in cui il cittadino torni ad essere lui il portatore delle libertà costituzionali; in cui l'esecutivo, anziché vedersi impegnato a mediare la lotta delle correnti e delle cosche partitiche, sia mobilitato a risolvere i grandi problemi del mondo moderno; in cui il Parlamento, anziché stanza di compensazione e di ratifica delle decisioni prese dalle segreterie partitiche, torni ad essere il controllore rigoroso degli atti del Governo; un sistema, infine, che dia al popolo il diritto indiscutibile di eleggere il Capo dello Stato.

Un disegno rinnovatore
Si tratta di mobilitare intorno a questo disegno rinnovatore molti milioni di Italiani che è la cifra che non si riconosce affatto nell'arco cosiddetto costituzionale.
È un dovere tentare questa grande impresa. Ma perché essa riesca occorre bandire, nel partito e fuori, ogni residuo di contraddizioni non risolte, di inutili pose gladiatorie, di indulgenze alla demagogia comiziale, di confusioni concettuali e operative; l'improprietà del linguaggio.
Occorre rifarsi, nel dibattito più aperto, al metodo rigoroso delle analisi politiche; alla necessità di studiare la complessa personalità dei due partiti egemoni (DC e PCI); all'imprescindibile dovere di conoscere, nei più intimi meccanismi, la società italiana, di saperla interpretare e mutare in una grande nazione «popolare» in cui, al posto del parassitismo e del clientelismo, trovi posto l'onestà e la competenza. Una grande società, degna e preparata ad affrontare, per tutti gli Italiani, i problemi dell'era nucleare.


Beppe Niccolai

Tutto il materiale di questa pagina è stato inviato dal ricercatore Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info