FRAMMENTI

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Tornare a fare politica

 

Stelvio Dal Piaz      

 

Tornare a f are politica ovvero, riscoprire la passione del fare politica.

Dobbiamo fare piazza pulita di una classe dirigente che al posto delle idee si nutre di affari e di tangenti. Non ne possiamo più del teatrino di accuse e contro accuse, di ripicche e dispetti, di congiure e di agguati. Anche gli organi giudiziari e quelli istituzionali di garanzia hanno perso credibilità ed autorevolezza, occupati in massima parte da vecchi e rancorosi parrucconi concettualmente lontani dalla vita reale degli italiani.

Il nostro territorio sta correndo il rischio reale di una invasione straniera di cento razze e di tante etnie, incompatibili con i nostri usi e costumi tradizionali ed inconciliabili con il nostro modo di vivere e pensare. Nel momento in cui l'intero bacino del mediterraneo é in ebollizione con la prospettiva di divenire teatro di uno scontro epocale non ci possiamo permettere di essere guidati da un governo strutturalmente e moralmente debole e, fra l'altro, senza alternative credibili.

Dobbiamo cercare fra la nostra "gens italica" gli uomini e le donne disposti a farsi carico dei bisogni concreti degli italiani che lavorano, che soffrono o che, senza lavoro, si ritrovano emarginati nel limbo degli invisibili.

Il cinismo della casta al potere (di destra, di sinistra, di centro) ha demistificato tutto al punto che i rapporti politici sono ridotti a contrattazione di poltrone: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me.

La politica é divenuta un mestiere per fare soldi, una professione per garantirsi privilegi. Scomparsa la passione civile siamo passati alla fase del temporeggiare, del dire e non dire, della parola predicata che non é quella vissuta, del fraseggio in cui si può leggere tutto e il suo contrario.

Che tristezza, che squallore!

Solo calcolo, opportunismo, doppio gioco.

In questo contesto chi si occupa della gente che lavora, che fatica, che studia, che pensa, che paga le tasse e che, in definitiva, manda avanti la barca di questo paese che si chiama ancora Italia?

Fare politica dovrebbe significare prima di tutto difendere e tutelare la tua gente, sentire i bisogni degli uomini, di chi soprattutto soffre; capire i bisogni di una città, di una regione, di una nazione, avere la capacità di comprendere gli uomini che vanno nel campo, nell'officina, nell'ufficio, nella scuola, dovunque si lavora, si pensa, si soffre. Simpatia umana, soprattutto e sapersi rappresentare dentro di sé i bisogni e le aspettative della tua gente.

Attualmente si vive il tempo della demonizzazione, si criminalizza la storia patria per farne strumento di lotta politica. L'attuale classe dirigente potrà essere ricordata solo per il fascino della tangente. La tangente per i politici di oggi è l'occasione più gratificante di una grigia e mediocre vita politica. La tangente e il furto sono il surrogato di una storia che non si riesce più a scrivere,

Di oggi si può dire, con Luis Ferdinand Celine ("L'Ecole des Cadavres"): «Noi spariremo, corpi e anime, da questo territorio al pari dei Galli, questi folli eroi, i nostri grandi antenati in futilità, i peggiori zimbelli del cristianesimo. Non ci hanno lasciato neppure una ventina di parole del loro linguaggio. Di noi se si conserverà la parola "merda", sarà già una grande cosa».

 

Occorre ridare voce all'Italia degli onesti e della povera gente generosa, leale, coraggiosa, nemica di ogni sopruso, di ogni privilegio, stanca del servaggio atlantico che l'opprime, l'Italia nella quale dobbiamo credere fermamente, l'Italia che attualmente non ha rappresentanza a livello istituzionale. Ormai anche i capi della cosiddetta "sinistra" sono finiti per essere dei pallidi riformisti del neo liberalismo americano. Per loro il capitalismo usurocratico ha vinto e va accettato senza combattere. Il ruolo dei "sinistri" istituzionali di tutte le varie parrocchie é quello di guardiani del pluralismo, della NATO, del mercato, della disoccupazione di massa che ne è la conseguenza, ausiliari del capitalismo giudaico-massonico.

Abbiamo così questa Italia dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Viviamo il tempo del consumismo affascinante e perverso, dove c'è anche disperazione, noia, solitudine, svuotamento dei rapporti amorosi, affettivi e, in fondo al tunnel, lo sfibramento dei giovani nella droga.

Occorre tornare a fare politica nel senso alto e nobile del termine, bisogna risollevare la bandiera dell'eresia nazionale del socialismo, occorre riscoprire il mito della nazione che si sposa con il sociale, sfere ideali queste che l'esperienza ha dimostrato non essere raggiungibili con gli strumenti della ragione tipica dei "professorini" materialisti che, viceversa, sono riusciti a portare anche il marxismo nelle braccia del neo-riformismo made in USA.

Occorre riprendere il filo rosso della Storia scritta dalla generazione dei socialisti rivoluzionari che, davanti al costante, travagliato processo di socialdemocratizzazione del socialismo, all'elemento razionalistico del marxismo, opposero la fede, la passione inalterata ed inalterabile del MITO della RIVOLUZIONE SOCIALE.

 

Cosa ne consegue, sul piano storico e politico, alla vittoria del riformismo capitalista?

 

Può piacere, può dispiacere, può fare anche male a qualcuno, ma i fatti ci dicono che l'unica Rivoluzione d'Italia è quella che va dal Risorgimento al Fascismo o, per dare meglio il senso di incompiutezza e di dramma, dalla Repubblica romana di Mazzini, Garibaldi, Armellini, Saffi, Mameli, Pisacane, schiacciata da un esercito francese chiamato dal Papa, alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, Gentile, Marinetti Pavolini, Pound, Bombacci, schiacciata dalle armate angloamericane. Tornare quindi a far politica, come ebbe a scrivere a suo tempo Beppe Niccolai per:

«La costruzione di una Comunità che si riconosca nella difesa, davanti alla omologazione mondiale e ad un cosmocapitalismo senza anima e senza sale, delle identità minacciate che sono l'albero, il fiume, il mare, l'acqua, il castello, la cattedrale rinascimentale, l'aria, il campo, ciò che ci ha costruito popolo, che ci da un volto, che ci dice chi siamo. È il nuovo concetto di Patria, da difendere, voce di tutti ipopoli in sofferenza a favore dei poveri contro i ricchi, del sangue contro l'oro, del lavoro contro l'usura».

 

Stelvio Dal Piaz      

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