FRAMMENTI

da  http://www.geocities.com/Colosseum/Stadium/6179/ignazi.htm
 

Dal polo escluso alla nuova Alleanza
Piero Ignazi, primo storico «scientifico» del MSI

Annalisa Terranova

Il MSI non è stato cancellato con la svolta di Fiuggi: molte delle spinte ideali che lo hanno animato e sorretto per oltre un quarantennio sopravvivono in AN, soggetto politico in evoluzione sul quale molti osservatori hanno sospeso il giudizio restando in attesa di una più chiara definizione dei progetti e dei programmi. Tra questi Piero Ignazi, politologo bolognese, il primo a scrivere una storia sistematica del MSI ("Il Polo escluso", Il Mulino 1989) e a stilare un pamphlet sulla trasformazione del partito operata da Gianfranco Fini ("Postfascisti?", Il Mulino 1994). A Ignazi abbiamo chiesto qual è l'eredità più consistente del MSI e quale l'uso che i quadri della nuova destra «sdoganata» e ormai pienamente legittimata dovrebbero farne.
 

Professore, lei ha letto la storia del MSI come continuo contrasto tra un'anima moderata, tesa all'inserimento nel gioco politico, e una contestatrice e rivoluzionaria. Queste due componenti si sono fronteggiate alla pari oppure una è stata prevalente rispetto all'altra?

Direi che senza dubbio è stata prevalente l'anima moderata. Lo stesso Almirante, quando nel 1969 divenne segretario, cercò di bilanciare le due componenti e di far rientrare nel partito quelli che avevano una connotazione più «rivoluzionaria». Allo stesso tempo presentò un'immagine moderata con il progetto della Destra nazionale: questo gioco di equilibri molto difficile non riuscì e quindi prese piede alla fine degli anni Settanta la componente rautiana, egemone culturalmente e soprattutto tra i giovani, senza però riuscire ad influenzare la leadership e la politica del partito.
 

Cosa resta di rivoluzionario nella segreteria di Rauti?

Rauti è stato segretario poco più di un anno e ha tentato inutilmente il progetto dello sfondamento a sinistra che era un progetto rivoluzionario perché si fondava sul presupposto di aggregare tutte le forze anti-sistema.
 

Il MSI avrebbe potuto sopravvivere nel mutato quadro politico del dopo-Tangentopoli, caratterizzato anche dalla caduta verticale delle ideologie, oppure la svolta voluta da Fini era necessaria?

Innanzitutto non vedo alcuna necessità storica nella svolta di Fini e poi non è vero che tutte le ideologie sono crollate, visto che assistiamo al trionfo dell'ideologia liberale. Certo Tangentopoli ha aiutato la crescita e lo sviluppo del MSI ma non è in relazione con la sua trasformazione. Il MSI avrebbe perciò potuto tranquillamente sopravvivere e beneficiare degli effetti di Tangentopoli.
 

Lo strappo di AN rispetto al passato non ha cancellato del tutto le origini missine. Quali sono gli elementi di continuità rintracciabili nel nuovo soggetto politico battezzato a Fiuggi?

Io sono stato uno dei pochi che non si è messo ad applaudire la svolta di Fini. Tra i tanti motivi che non mi hanno fatto unire al codazzo dei plaudenti c'è il fatto che considero il fascismo uno dei fenomeni più importanti del Novecento e poiché il MSI ha vissuto per quarant'anni con quell'eredità addosso, liberarsene avrebbe significato fare uno strappo di proporzioni drammatiche. Di tutto questo dramma io non ho trovato nessuna traccia. Mi sono chiesto allora: se i missini in buona fede hanno creduto fermamente in un'idea, nel momento in cui la abbandonano, perché non vivono drammi laceranti? La risposta è che quel passaggio non ha cancellato le origini missine e cioè l'ancoraggio con l'ideologia fascista che c'era dietro. Non a caso il 70 per cento dei delegati di Fiuggi dichiarava di considerare il fascismo un regime valido.

 

Uno dei limiti del MSI è sempre stato quello di identificarne le sorti con il leader, senza preoccuparsi troppo del progetto politico e della qualità della classe dirigente. Sono difetti che si ritrovano anche in AN?

Non è un limite del MSI o di AN. È una tendenza generale di tutti i partiti italiani ed europei, che nel MSI si è accentuata soprattutto in un certo periodo della segreteria Almirante, però non direi che sia una caratteristica propria del partito. Più che altro il nuovo statuto di AN, con i poteri di nomina affidati esclusivamente al presidente, secondo me fa fare dei passi indietro rispetto al livello di democrazia interna che c'era nel vecchio MSI.
 

Che cosa pensa della scissione di Rauti?

Secondo me il conflitto personale tra Fini e Rauti è una delle componenti che ha maggiormente inciso sulla scissione; la seconda componente è costituita dalla coerenza, nel senso che Rauti ha rifiutato il cambiamento dell'identità politica. L'esito della scissione ha avuto poi anche per me risultati sorprendenti.
 

In prospettiva la Fiamma di Rauti e l'Alleanza di Fini sono destinate a riavvicinarsi o a marcare le differenze?

Dipende dalla Lega. Se la Lega continua ad insistere sulla secessione allora i due gruppi della destra più connotati come partiti nazionali (e nazionalistici) potrebbero cercare di fare un fronte comune aspirando ad avere una grossa fetta di consenso. Altrimenti non credo che ci sia molto spazio per la Fiamma di Rauti.
 

Nelle sue ricerche sul MSI ha incontrato personaggi «minori» che l'hanno colpita per l'originalità delle posizioni e delle teorie espresse nel partito?

In termini di originalità teorica uno dei pochissimi che avesse un po' pensato era Adriano Romualdi, ma la sua vita è stata breve e la sua influenza limitata alla cultura giovanile. Sul piano dei personaggi politici si staglia su tutti gli altri la figura di Beppe Niccolai, per il suo grande spessore umano e intellettuale. Niccolai aveva una capacità di apertura nei confronti delle posizioni degli altri che affascinava. Dopo la pubblicazione del mio libro progettavo un incontro politico tra Niccolai e una personalità di prima grandezza del PCI ma purtroppo non se ne fece nulla.
 

Lei ha messo in luce il cambiamento di mentalità e di valori della base e dei quadri missini analizzando le risposte ad appositi questionari. Quanto hanno pesato le trasgressioni giovanili nel passaggio dal fascismo al post-fascismo?

Alla fine degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, con l'esperienza della Nuova Destra, c'è stato nel mondo giovanile un sommovimento che ha creato fermenti di modernizzazione non in linea con lo stereotipo dell'estrema destra. Questi mutamenti hanno fertilizzato l'ambiente del MSI e soprattutto i suoi quadri intermedi. Ma la tendenza non è arrivata al vertice e non è riuscita a mutarne l'immagine. C'è stato per anni un corto circuito tra una classe dirigente locale che stava maturando un visione del mondo diversa dagli stereotipi del neofascismo e un gruppo dirigente che manteneva intatta la fedeltà al passato. Proprio la mancanza di un'autocritica di tutto il partito faceva sì che molti dei giovani che si avvicinavano, finita l'epoca della Nuova Destra, erano attratti dai miti classici dell'estrema destra e non dagli aspetti trasgressivi dei Campi Hobbit che avevano contagiato gli ambienti giovanili dieci anni prima.
 

Annalisa Terranova

 

da  http://www.geocities.com/Colosseum/Stadium/6179/ignazi.htm
 

Dal polo escluso alla nuova Alleanza
Piero Ignazi, primo storico «scientifico» del MSI

Annalisa Terranova

Il MSI non è stato cancellato con la svolta di Fiuggi: molte delle spinte ideali che lo hanno animato e sorretto per oltre un quarantennio sopravvivono in AN, soggetto politico in evoluzione sul quale molti osservatori hanno sospeso il giudizio restando in attesa di una più chiara definizione dei progetti e dei programmi. Tra questi Piero Ignazi, politologo bolognese, il primo a scrivere una storia sistematica del MSI ("Il Polo escluso", Il Mulino 1989) e a stilare un pamphlet sulla trasformazione del partito operata da Gianfranco Fini ("Postfascisti?", Il Mulino 1994). A Ignazi abbiamo chiesto qual è l'eredità più consistente del MSI e quale l'uso che i quadri della nuova destra «sdoganata» e ormai pienamente legittimata dovrebbero farne.
 

Professore, lei ha letto la storia del MSI come continuo contrasto tra un'anima moderata, tesa all'inserimento nel gioco politico, e una contestatrice e rivoluzionaria. Queste due componenti si sono fronteggiate alla pari oppure una è stata prevalente rispetto all'altra?

Direi che senza dubbio è stata prevalente l'anima moderata. Lo stesso Almirante, quando nel 1969 divenne segretario, cercò di bilanciare le due componenti e di far rientrare nel partito quelli che avevano una connotazione più «rivoluzionaria». Allo stesso tempo presentò un'immagine moderata con il progetto della Destra nazionale: questo gioco di equilibri molto difficile non riuscì e quindi prese piede alla fine degli anni Settanta la componente rautiana, egemone culturalmente e soprattutto tra i giovani, senza però riuscire ad influenzare la leadership e la politica del partito.
 

Cosa resta di rivoluzionario nella segreteria di Rauti?

Rauti è stato segretario poco più di un anno e ha tentato inutilmente il progetto dello sfondamento a sinistra che era un progetto rivoluzionario perché si fondava sul presupposto di aggregare tutte le forze anti-sistema.
 

Il MSI avrebbe potuto sopravvivere nel mutato quadro politico del dopo-Tangentopoli, caratterizzato anche dalla caduta verticale delle ideologie, oppure la svolta voluta da Fini era necessaria?

Innanzitutto non vedo alcuna necessità storica nella svolta di Fini e poi non è vero che tutte le ideologie sono crollate, visto che assistiamo al trionfo dell'ideologia liberale. Certo Tangentopoli ha aiutato la crescita e lo sviluppo del MSI ma non è in relazione con la sua trasformazione. Il MSI avrebbe perciò potuto tranquillamente sopravvivere e beneficiare degli effetti di Tangentopoli.
 

Lo strappo di AN rispetto al passato non ha cancellato del tutto le origini missine. Quali sono gli elementi di continuità rintracciabili nel nuovo soggetto politico battezzato a Fiuggi?

Io sono stato uno dei pochi che non si è messo ad applaudire la svolta di Fini. Tra i tanti motivi che non mi hanno fatto unire al codazzo dei plaudenti c'è il fatto che considero il fascismo uno dei fenomeni più importanti del Novecento e poiché il MSI ha vissuto per quarant'anni con quell'eredità addosso, liberarsene avrebbe significato fare uno strappo di proporzioni drammatiche. Di tutto questo dramma io non ho trovato nessuna traccia. Mi sono chiesto allora: se i missini in buona fede hanno creduto fermamente in un'idea, nel momento in cui la abbandonano, perché non vivono drammi laceranti? La risposta è che quel passaggio non ha cancellato le origini missine e cioè l'ancoraggio con l'ideologia fascista che c'era dietro. Non a caso il 70 per cento dei delegati di Fiuggi dichiarava di considerare il fascismo un regime valido.

 

Uno dei limiti del MSI è sempre stato quello di identificarne le sorti con il leader, senza preoccuparsi troppo del progetto politico e della qualità della classe dirigente. Sono difetti che si ritrovano anche in AN?

Non è un limite del MSI o di AN. È una tendenza generale di tutti i partiti italiani ed europei, che nel MSI si è accentuata soprattutto in un certo periodo della segreteria Almirante, però non direi che sia una caratteristica propria del partito. Più che altro il nuovo statuto di AN, con i poteri di nomina affidati esclusivamente al presidente, secondo me fa fare dei passi indietro rispetto al livello di democrazia interna che c'era nel vecchio MSI.
 

Che cosa pensa della scissione di Rauti?

Secondo me il conflitto personale tra Fini e Rauti è una delle componenti che ha maggiormente inciso sulla scissione; la seconda componente è costituita dalla coerenza, nel senso che Rauti ha rifiutato il cambiamento dell'identità politica. L'esito della scissione ha avuto poi anche per me risultati sorprendenti.
 

In prospettiva la Fiamma di Rauti e l'Alleanza di Fini sono destinate a riavvicinarsi o a marcare le differenze?

Dipende dalla Lega. Se la Lega continua ad insistere sulla secessione allora i due gruppi della destra più connotati come partiti nazionali (e nazionalistici) potrebbero cercare di fare un fronte comune aspirando ad avere una grossa fetta di consenso. Altrimenti non credo che ci sia molto spazio per la Fiamma di Rauti.
 

Nelle sue ricerche sul MSI ha incontrato personaggi «minori» che l'hanno colpita per l'originalità delle posizioni e delle teorie espresse nel partito?

In termini di originalità teorica uno dei pochissimi che avesse un po' pensato era Adriano Romualdi, ma la sua vita è stata breve e la sua influenza limitata alla cultura giovanile. Sul piano dei personaggi politici si staglia su tutti gli altri la figura di Beppe Niccolai, per il suo grande spessore umano e intellettuale. Niccolai aveva una capacità di apertura nei confronti delle posizioni degli altri che affascinava. Dopo la pubblicazione del mio libro progettavo un incontro politico tra Niccolai e una personalità di prima grandezza del PCI ma purtroppo non se ne fece nulla.
 

Lei ha messo in luce il cambiamento di mentalità e di valori della base e dei quadri missini analizzando le risposte ad appositi questionari. Quanto hanno pesato le trasgressioni giovanili nel passaggio dal fascismo al post-fascismo?

Alla fine degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, con l'esperienza della Nuova Destra, c'è stato nel mondo giovanile un sommovimento che ha creato fermenti di modernizzazione non in linea con lo stereotipo dell'estrema destra. Questi mutamenti hanno fertilizzato l'ambiente del MSI e soprattutto i suoi quadri intermedi. Ma la tendenza non è arrivata al vertice e non è riuscita a mutarne l'immagine. C'è stato per anni un corto circuito tra una classe dirigente locale che stava maturando un visione del mondo diversa dagli stereotipi del neofascismo e un gruppo dirigente che manteneva intatta la fedeltà al passato. Proprio la mancanza di un'autocritica di tutto il partito faceva sì che molti dei giovani che si avvicinavano, finita l'epoca della Nuova Destra, erano attratti dai miti classici dell'estrema destra e non dagli aspetti trasgressivi dei Campi Hobbit che avevano contagiato gli ambienti giovanili dieci anni prima.
 

Annalisa Terranova