INTERVISTE

"Secolo d'Italia", 24 novembre 1984

 

A colloquio con Giuseppe Niccolai
Un lucido pensatore di respiro europeo

 

Rischia di diventare un «caso» letterario. Da quando l'editore Ciampico ha mandato in libreria "Lo scrittore italiano", di Berto Ricci non si fa che parlarne fra l'ammirato e lo stupito. Questo secondo atteggiamento deriva dalla constatazione dell'indiscutibile valore di uno scrittore inspiegabilmente dimenticato per oltre un quarantennio. Scrivendo di lui negli ultimi mesi, numerosi critici si sono fermati sulla sua figura di intellettuale-«combattente» mettendone in risalto la coerenza morale e la limpidezza dello stile letterario. Gerosa, Giordano Bruno Guerri, Gatta, Bernardi Guardi, solo per limitarci ai più attenti, non hanno fatto altro che sottolineare «l'appassionata tempra morale» dell'intellettuale fiorentino. Come mai questa tardiva riscoperta di uno degli uomini di cultura più importanti di questo secolo?

 


Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Niccolai da sempre attento e «solitario» studioso dell'opera di Berto Ricci
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G. M. - Con la pubblicazione de "Lo scrittore italiano" si è tornati a parlare di Berto Ricci. A fronte della riscoperta grandezza di questo giovane intellettuale non si può fare a meno di chiederci come mai per un quarantennio lo si è tenuto relegato in soffitta?
B. N. - Perchè i tempi non erano maturi per «capire» Berto Ricci. Finché trionfava la politica della mediazione, della fuga dalla storia e dalla vita, per Berto non c'era possibilità di resurrezione. Berto torna con il tornare dell'inquietudine fecondante. Che fare? Se lo chiedono tutti. Sono impazzite le bussole. E Berto torna ad essere maestro di carattere, lui «coscienza senza sonno» e «uomo di viventi e cocenti passioni». Lui e gli uomini delle tangenti. Questo è il confronto.

G. M. - Con Berto Ricci e "L'Universale" le giovani avanguardie intellettuali fasciste tentarono una «correzione» della rivoluzione rivendicandone lo spirito originario di fronte alle deviazioni del gerarchismo. Come giudicare oggi quel tentativo?
B. N. - Rispondo con Montanelli: «A quella grande epopea mancata che fu il fascismo, "L'Universale" di Berto Ricci forni un contributo, la cui inutilità non toglie nulla al suo valore. Quando un giorno si farà, al di fuori della polemica, la storia di quel regime e dei tentativi che pel suo interno furono fatti da alcuni giovani per impedirne la mummificazione, quel piccolo quindicinale apparirà più importante del "Popolo d'Italia"». (Indro Montanelli, "Il Borghese" di Leo Longanesi, 4 febbraio 1955).

G. M. - Riproporre la figura di Ricci che senso, può avere per una cultura di orientamento antiprogressista?
B. N. - Riproporre la figura di Berto Ricci oggi ha un solo significato: che la rivoluzione italiana (di caratteri e di volontà) sarà tale solo se riuscirà a costruire un nuovo tipo di italiano.

G. M. - Dagli inediti di Berto Ricci che tu hai avuto la possibilità di consultare cosa emerge dell'intellettuale che ancora non si conosce?
B. N. - Le carte inedite sono straordinarie. Fra l'altro una serie di quaderni con appunti, considerazioni, raffronti, postille che riguardano praticamente tutto: letteratura italiana e straniera, poesia, filosofia, filologia, pedagogia, arte, teatro, scienza, geografia, buddismo. Dallo studio, lui matematico, delle eresie fiorentine e delle fonie straniere (dal catalano al russo, all'ebraico), all'uso del «gli» per «loro»; «li» per «i»; «suo» per «loro»; «suoi» per «loro» in Filostrato, Poliziano, Savonarola, Machiavelli e nei moderni, minuziosamente analizzati. Sì, Berto Ricci ebbe una cultura di respiro europeo: i testi stranieri letti nella lingua originale, l'attenzione a tutte le novità mondiali. Al riguardo si veda il suo studio sul Giappone moderno. Ringrazio la famiglia di avermi permesso l'accostamento a queste carte. È stata una gioia.

G. M. - Una domanda personale. Cosa deve la tua generazione a Berto Ricci?
B. N. - Torno all'articolo di Montanelli già citato: «Quando decisi di voltar le spalle al fascismo», racconta Montanelli, «e andai a parlarne con Berto Ricci questi mi disse: "Pensaci bene. Per non arrossire di fronte all'altro, se imbocchi quella strada, devi batterla fino in fondo, sino al confino o sino all'esilio. Questo solo ti chiedo: di poter continuare a stimarti come avversario, visto che devo cessare di stimarti come amico". Lì per lì, scrive Montanelli, "quando Ricci mi disse che se imboccavo una nuova strada, era mio dovere di batterla fino in fondo, mi parve di essere ben deciso a farlo, ma poi mi accorsi che, per battere fino in fondo una strada, bisogna sapere almeno quale è. Ed io non lo sapevo. Anticipavo solo di qualche anno quella melanconica cosa che è l'Italia d'oggi, l'Italia smaliziata e utilitaria degli italiani che non ci credono più. È cosi che diventai scanzonato ed entrai nella compagnia dei grandi scettici, cioè, di coloro a cui si deve il bel capolavoro dì questa Italia. Mi ero illuso di aver trovato una bandiera: ora so benissimo che di bandiere non posso averne altre e l'unica che seguiterà a sventolare nella mia vita è quella che disertai, prima che cadesse. Fummo giovani soltanto allora, amici miei!». Così Indro Montanelli, ricordando Berto Ricci, trent'anni fa. Fummo giovani solo allora. Non è vero. Non abbiamo mai appartenuto alla famiglia dei grandi scettici. Si torna giovani tornando a Berto Ricci.
 

Gennaro Malgieri