CONVEGNI

 


 

Resoconto del Convegno organizzato dal
FRONTE SOCIALE NAZIONALE

www.frontenazionale.it

Venerdì 8 febbraio si è tenuto a Roma, al Ripa All Suites Hotel di Via Orti di Trastevere un incontro organizzato dal Fronte Sociale Nazionale sul tema:

 

Da "l’Eco della Versilia" a "Tabula Rasa"

Beppe Niccolai e Antonio Carli
Il maestro di pensiero e l’eretico per una nuova sintesi sociale e nazionale

 

Adriano Tilgher - Pietrangelo Buttafuoco - Giampiero Mughini
Domenico Mennitti - Paolo Signorelli

 

Perché parlare di Beppe Niccolai oggi, a diversi anni dalla sua morte e perché riproporlo come maestro di pensiero, per iniziativa, poi, di chi fu, nei «tempi giusti» per conoscerlo e frequentarlo, impegnato su posizioni altre o sequestrato nelle galere del sistema?

Per l’attualità del suo pensiero, che non ha certo perso di smalto con l’andare degli anni ma dimostra di aver saputo cogliere il «prima», le avvisaglie di situazioni politiche che si sarebbero poi puntualmente delineate.

Parlare di Niccolai oggi non ha e non deve avere il sapore cinereo di una commemorazione: fu lo stesso Beppe Niccolai a sostenere che la vera morte per un uomo politico interviene quando di lui si parla con il rispetto ipocrita che si ha per gli assenti, per coloro che non contano più niente.

Niccolai è vivo e vegeto nei suoi scritti, nel suo pensiero, nella sua storia di vita che gli vince il rispetto anche dei nemici. E vive nel suo passare il testimone a quanti, in questo Paese, hanno ancora la voglia e l’entusiasmo di ricercare una nuova sintesi sociale e nazionale.

La centralità di quest’incontro proposto dal Fronte è proprio nel riprendere dalla via tracciata da Niccolai prima e da Antonio Carli poi -da "l’Eco della Versilia" a "Tabula Rasa", per intenderci- per marciare ancora più convinti lungo quei sentieri che già sono delineati innanzi a noi.

Dalle parole del giornalista Pietrangelo Buttafuoco emerge il ritratto a tinte forti del Beppe Niccolai riferimento degli eretici, «Fascista Impossibile» che «aveva la capacità di vedere la realtà senza l’affanno elettorale». Raccoglieva intorno a sé il «mondo degli umili e degli indifesi e diede alla militanza un senso ed un imperativo etico».

Buttafuoco lo racconta nel suo carisma, nel suo esser stato «senso e imperativo di un impegno politico costruito con il cemento del progetto».

Al suo fianco furono sempre i più moderni, i ragazzacci irriducibili insofferenti -come lui- ad ogni forma di compromesso e di ipocrisia.

Un uomo «difficile da raccontare», lo chiama Buttafuoco. Fascista di un fascismo impossibile.

Intellettuale, giornalista, uomo di pensiero ma sopratutto «uomo di carattere», «fascista di sinistra» sin dal primo MSI, al quale aderisce al ritorno dalla terribile esperienza del "Fascist’s criminal camp" di Hereford nel Texas, nel quale era stato internato dopo la cattura da parte degli alleati. L’esperienza della prigionia, nella quale –a differenza di tanti– mai si piega e mai collabora, lo segnerà comunque per tutta la vita. Dandogli però ancora più forza per le sue battaglie politiche, che Paolo Signorelli ripercorre per noi: la relazione di minoranza alla Commissione antimafia, che gli valse anche l’elogio di Leonardo Sciascia. L’interrogazione parlamentare che fece esplodere il caso dell’Argo 16 «sabotato» dagli agenti del Mossad. Il suo elogio al Vietnam vittorioso sull’imperialismo americano.

E, singolare per un deputato (due legislature, dal ’68 al ’76), il rifiuto di una terza candidatura, del «gusto del Palazzo», preferendo alle poltrone la militanza, quella vera.

Fu collaboratore di Almirante ma ne divenne nei primi anni ’80 indomito antagonista, avviandosi in una dura autocritica che cercò, senza risultati, di estendere a tutto il partito in una rilettura puntuale e feroce degli errori compiuti verso la contestazione giovanile ed in politica estera.

Nel 1984 è l’unica voce fuori dal coro al Congresso missino di Roma, con la mozione "Segnali di Vita", sottoscritta con entusiasmo dalle componenti giovanili e creative del partito.

Sono anni in cui con la rivista "L’Eco della Versilia" costituì il più forte punto di riferimento per il dissenso interno e di dialogo con l'Area delle forze antagoniste al sistema di potere.

Muore a Pisa nel 1989 e sarà Antonio Carli, divenuto direttore di "Tabula Rasa" (già "L'Eco della Versilia") ad essere l’erede spirituale del suo Fascismo rosso, rivoluzionario ed anarchico.

Carli è un altro a non aver mai cercato il potere, ad aver fatto sempre e comunque quel che sentiva giusto, al servizio dell’Idea, rivendicando per sé e per la sua gente quel «diritto alla follia» di cui ebbe a scrivere sull’Eco. Muore nel 2000 con la stessa riservatezza con la quale era vissuto.

Carli l’erede e Niccolai il maestro, che rivive nella sua irresistibile esuberanza negli aneddoti di Domenico Mennitti, che ancora sorride ricordando la zuffa di Beppe Niccolai con un servizio d’ordine missino (correva il 1963) diciamo «eccessivo» e intollerabile per Niccolai. Che «... difatti, non tollerò». Mennitti ricorda il suo carattere da «toscanaccio», il suo odio per il conformismo e la mediocrità. Le sue contraddizioni, gli odi e gli amori profondi e viscerali che hanno segnato la sua vita. E, nelle sue contraddizioni, la sua capacità di mutare d’avviso se si scopriva in errore, in accordo alla sua profonda onestà.

Con Beppe, racconta Mennitti, si sono in qualche modo sempre intesi, anche quando erano in polemica e su posizioni opposte, perché sentivano comunque di voler raggiungere gli stessi obiettivi finali.

Nel proprio intervento Mughini, caro amico e caro «nemico» di Niccolai , parla di lui come di una delle figure più adamantine mai incontrate.

Ricorda il comizio di Niccolai del 1972, a Pisa, quando Lotta Continua era disposta a mettere a ferro e a fuoco la città perché l’oratore missino non parlasse. E, in quell’occasione l’assurda e inutile morte del giovane anarchico Serantini, massacrato dalla Celere. Niccolai lo conobbe soltanto molti anni dopo, racconta Mughini, e ancora ricordava con commozione la sorte di Serantini, morto soltanto per aver cercato di togliergli la parola. Mughini ricorda la parola che, invece, diede Bilenchi a Niccolai sulle pagine del "Nuovo Corriere", quotidiano del PCI, dove a lungo si confrontarono comunisti e giovani fascisti.

L’incontro si conclude, dopo averci offerto un ritratto umano di Niccolai oltre che politico, con l’intervento conclusivo di Adriano Tilgher, Segretario del Fronte, che riprende il filo del pensiero politico di Beppe Niccolai nella sua profonda attinenza al nostro tempo e nella continuità della battaglia politica.

Niccolai aveva ben chiaro il nemico, aveva ben compreso come tanti siano i tentacoli appartenenti alla testa della stessa piovra. Come sia necessario lottare per costruire una forza politica in grado di modificare le situazioni e di produrre cambiamenti nell’interesse del Popolo italiano. Che è adesso intrappolato tra finte alternative, tra una «maggioranza» e una «opposizione» che allo specchio sembrano gemelli monozigoti: stessa faccia, stesso sorriso falso, stessi occhi ipocriti.

Ecco perché ripartire dalle radici per andare verso una nuova Alternativa Sociale e Nazionale.

«NON È IMPORTANTE LA VITA.
IMPORTANTE È CIÒ CHE SI FA DELLA VITA»

Beppe Niccolai

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