da "Orion" n. 234 (marzo 2004)
Da Almirante a Tel Aviv
L'impostazione inequivocabilmente occidentalista e filo-sionista che da sempre
caratterizza Alleanza Nazionale trova le sue radici nella svolta reazionaria
intrapresa dal Movimento Sociale a partire almeno dal 1969. Svolta che comunque
non nasce dal nulla, trovando anzi un suo prologo ideale in alcuni avvenimenti
chiave accaduti già nel biennio 1967/68. Nel 1967, con la "Guerra dei Sei
Giorni", si ha innanzitutto la presa di posizione inequivocabilmente
filo-israeliana del partito. In quel momento la dirigenza missina abbandona
l'opzione filo-araba ereditata dal Fascismo e sceglie di parteggiare per
l'esercito sionista contro il nemico "arabo-comunista" (così viene liquidato il
nasserismo, che pure in precedenza si era non poco corteggiato). [1] Sul
versante della situazione socio-politica italiana, intanto, vediamo l'emergere
della contestazione giovanile che, contrariamente a ciò che si pensa, ha
connotazioni esclusivamente sinistrorse solo al nord, mentre ben diverso è lo
scenario nel centro-sud: se a Perugia e a Napoli le occupazioni degli atenei
sono guidate dal FUAN, infatti, a Roma vediamo addirittura Lotta di Popolo,
Avanguardia Nazionale e parte delle organizzazioni studentesche missine
collaborare con il Movimento Studentesco. È in questo contesto che ha luogo la
disastrosa e demagogica spedizione punitiva organizzata da Almirante, Caradonna
e Turchi per cacciare la "canaglia rossa" dall'università. Risultato: la
contestazione torna in mano alle sinistre, Giovane Italia e FUAN si polverizzano
ed il partito ottiene alle elezioni dello stesso anno il peggior risultato dal
1948 (4,5 %).
Inizia l'era di Almirante (1969)
Ecco a cosa è ridotto il MSI nel 1969, anno in cui il segretario Michelini
muore. Suo successore viene nominato Giorgio Almirante, «l'unico in grado di
assicurare la continuazione del progetto di inserimento e di defascistizzazione
e, contemporaneamente, la mobilitazione convinta e partecipe della base». [2] Lo
stile si fa più vivace e battagliero, ma gli obiettivi politici divengono
scopertamente reazionari. Si ritorna ad invocare un «blocco d'ordine»
piattamente conservatore, un blocco che -testuali parole- «vuole il servizio
militare obbligatorio, il matrimonio indissolubile, il celibato dei preti, la
morale non bacchettona ma nemmeno prostituta, i pederasti alla gogna ed i treni
in orario»; un blocco composto da «quei milioni di mamme che la mattina mandano
a scuola i loro figlioli puliti, coi compiti fatti, il timore di Dio e l'amore
della patria nel cuore». [3] Tale opzione prevede il raggruppamento di tutte le
forze anticomuniste -«fasciste» o antifasciste che siano- in un unico
schieramento; Almirante ci proverà prima col "Fronte Articolato Anticomunista",
poi con la "Destra Nazionale" ed infine con la "Costituente di Destra". Tutti
progetti destinati al fallimento. Nel medesimo disegno vanno inquadrati il
tentato inserimento nel movimento di «contromobilitazione moderata» della
"Maggioranza Silenziosa" accanto a monarchici, liberali e socialdemocratici e le
adesioni al partito di personalità come l'ammiraglio Birindelli, ex-comandante
delle forze NATO del Mediterraneo, o il generale De Lorenzo, noto antifascista
approdato al MSI nel 1971 dopo lo scandalo per il presunto golpe del '64. Sempre
nel '71 il MSI avvia dei contatti col PDIUM (il partito monarchico), contatti
che sfoceranno nella presentazione di liste comuni alle elezioni del 1972, e
nell'unificazione dei due partiti, votata all'unanimità dal Consiglio Nazionale
monarchico del 8-9 luglio 1972. Esponenti di spicco del PDIUM come Lauro e
Covelli andranno inoltre ad occupare importanti cariche all'interno del partito
missino. Nel frattempo il MSI corteggia apertamente le frange moderate e
conservatrici deluse dalla DC e dal PLI. Nel Congresso del 1973 Almirante può
dichiarare profeticamente: «noi stiamo diventando il centro-destra». L'anno
successivo, col referendum sul divorzio, il MSI abbraccia definitivamente la
linea del perbenismo moralista sposando la linea anti-divorzista della DC, che
pure sopporta i neofascisti a malapena. La consultazione referendaria è vista
dai missini come un puro e semplice «plebiscito anticomunista» -«non votate come
i comunisti, con i comunisti, per i comunisti»- destinato a sancire la nascita
di un fronte unico clerico-conservatore. Il «plebiscito» fallirà clamorosamente,
e con esso le speranze almirantiane di un'apertura a destra della DC. Due
ulteriori elementi altamente significativi relativi allo statuto del partito:
nel 1973 scompare la clausola che qualifica l'appartenenza alla massoneria come
incompatibile con l'iscrizione al partito [4] ed in più viene affermata la
«missione occidentale, europea, mediterranea» del Movimento (si
inserisce, cioè, il termine «occidentale» che nello statuto originario era
assente, come noterà amaramente Beppe Niccolai). [5] Sempre in questo
periodo, durante una "Tribuna Politica" televisiva, Almirante proclama
l'accettazione della democrazia e della libertà come «valori prioritari ed
irrinunciabili», e giunge ad esaltare i valori della «resistenza» in quanto
valori di libertà.
«Israele è il nostro futuro»
Nel frattempo la posizione missina in politica estera è del tutto coerente con
la svolta di cui si è detto: innanzitutto si afferma l'abbandono di ogni
velleità anti-occidentalista, tanto che Almirante può dichiarare al congresso
del partito del 1970: «noi siamo l'Occidente; lo rappresentiamo, siamo la punta
avanzata dell'Occidente. Non esistono, non esisteranno mai, si pone fuori dal
partito chi lo sostiene, posizioni terzaforziste in seno al MSI». [6]
Conseguentemente, anche la guerra del Kippur (1973) trova la dirigenza missina
entusiasticamente schierata su posizioni filo-israeliane. In una rivista
giovanile di destra non ci si vergognerà nello scrivere: «Israele si espande
perché è la Storia dell'Uomo che
lo chiama a compiere quell'opera di civiltà e di guerra che altri popoli, altre
nazioni (…) rifiutano di compiere. Israele è anche il nostro futuro». [7]
Almirante, intanto, si reca negli USA portando a garanzia della propria
legittimità democratica una lettera scritta dal Rabbino Capo di Roma, Elio
Toaff, a Giulio Caradonna, indefesso sostenitore della politica israeliana e
divulgatore di discutibili tesi storiche su di una presunta politica
filo-sionista del Fascismo. Anche l'ambiente «culturale» si dà da fare: se da
una parte dalle colonne de "Il Borghese" Giano Accame propaganda fin dal 1962
l'idea di Israele come piccolo stato eroico e nazionalista, avamposto
d'Occidente assediato dai comunisti arabi, dall'altra Giuseppe Ciarrapico,
editore «cerniera» tra la destra della DC andreottiana ed il MSI, comincia a
pubblicare testi apologetici delle gesta delle armate sioniste: nel 1973
pubblica "L'Haganah. L'armata segreta d'Israele", di Thierry Nolin, nel 1976
"Missione a Entebbe", di Yehuda Ofer, mentre nel 1981 toccherà addirittura alle
memorie di Begin.
Esperimenti e ricadute (1977/88)
La strategia dell'inserimento nel Sistema fallisce però miseramente.
Il successo elettorale del 1972 è importante ma effimero, ed il partito continua
a trovarsi più isolato che mai. Nel 1977 si decide un timido cambiamento di
rotta. Almirante si convince a dare maggior spazio all'opposizione rautiana
nella definizione della linea politica. Qualcosa sembra cambiare, allorché
alcune delle posizioni più retrive vengono effettivamente abbandonate. [8]
Ciononostante, Almirante non sa esimersi, nel 1980, dal tentare l'ennesima carta
demagogica e reazionaria: la raccolta di firme in favore dell'istituzione della
pena capitale per i terroristi. La proposta è allucinante, se solo si pensa che
essa viene espressa in un contesto in cui per essere dichiarati «terroristi»
-meglio se «terroristi neri»- basta veramente poco. Né ci viene risparmiata la
vergogna dell'ennesima genuflessione di fronte all'occupante americano: quando,
infatti, Craxi -che aveva tra l'altro già tentato timide aperture nei confronti
dei missini- invia i carabinieri a Sigonella (1985) a fronteggiare i marines,
nell'unico ed isolato bagliore di dignità che la repubblica antifascista abbia
saputo proporci da quando fu fondata, la segreteria missina mantiene un
atteggiamento filo-americano che ha del disarmante.
L'era post-almirantiana
Nel 1988 Giorgio Almirante muore. Suo successore è già stato nominato Gianfranco
Fini, da sempre pupillo dello storico segretario missino. Giorgio Bocca lo
definirà in seguito «l'inglese di Bologna», riecheggiando, involontariamente ma
significativamente, le invettive di Berto Ricci contro gli «inglesi di casa
nostra». Il nuovo segretario si presenta vagheggiando, con scialba retorica
nostalgica, di un ambiguo "Fascismo del 2000". Ma il ragazzo è ancora inesperto,
e si vede, tanto da esser sostituito da Pino Rauti già nel Congresso di Rimini
del 1990. La storica anima critica del partito ha finalmente l'opportunità di
confrontarsi con la concreta direzione politica. Tutto fa sperare nell'inizio di
una nuova era. In realtà, però, la segreteria rautiana dura solo fino al luglio
del 1991. Nel frattempo, l'ideologo «nazional-rivoluzionario» ha fatto in tempo
ad approvare la Guerra del Golfo ed a portare il partito al 3,9%. Al peggio,
evidentemente, non c'è mai fine. O forse è ancora presto per dirlo. Dopo Rauti,
infatti, viene rieletto segretario Gianfranco Fini.
Alleanza Nazionale
Siamo agli inizi degli anni '90. Periodo di grandi sommovimenti politici.
Improvvisamente il partitello missino vede cadere dal cielo la legittimazione
che da anni cercava. Le inchieste della magistratura milanese, le «picconate» di
Cossiga, le esternazioni pro-finiane di Berlusconi portano il MSI al centro
della scena politica. Per cogliere l'occasione al volo, però, occorre dare una
riverniciata generale. È così che nel 1994 nasce Alleanza Nazionale. Per capire
di cosa si tratti basterebbe citare la famosa battuta di Publio Fiori, ex-DC e
neo-affiliato alla truppa di Fini: «ecco la DC che volevo!». Grazie all'isteria
anticomunista berlusconiana, AN può finalmente realizzare il vecchio sogno
almirantiano: «la strategia dell'Alleanza Nazionale lanciata da Fini non (è) che
la riedizione della formula della Destra Nazionale progettata da Giorgio
Almirante nel 1972, riproposta stavolta sulla base di diversi rapporti di
forza». [9] Nel 1995 la nascita del nuovo partito viene formalizzata con il
congresso di Fiuggi. È qui che -oltre alle lodi di rito all'antifascismo
«portatore di libertà»- verrà approvata l'allucinante mozione in cui
antisemitismo e antiebraismo sono condannati anche se «camuffati con la patina
propagandistica dell'antisionismo e della polemica anti-israeliana».
Probabilmente nessun altro partito italiano o europeo è mai giunto ad equiparare
di principio antiebraismo e critica ad Israele. Ci si tiene inoltre a precisare
che gli ebrei sarebbero «nostri fratelli maggiori» - espressione che può al
limite avere un senso dal punto di vista della teologia cattolica, ma che
risulta grottescamente ruffiana se presentata in un documento politico.
Coerentemente con tali tesi, tra i dirigenti di AN (da Maurizio Gasparri a
Francesco Storace, da Adolfo Urso a Gustavo Selva, dai parlamentari Marco
Zacchera e Andrea Ronchi a Gianni Alemanno) [10] comincerà presto ad essere
trendy il pellegrinaggio in Israele. Del resto numerosi esponenti del partito
[11] parteciperanno persino all'Israel Day (sic!) organizzato dal quotidiano "Il
Foglio" il 15 aprile 2002 a Roma o manifesteranno pubblicamente il proprio
sostegno per l'iniziativa. Nel frattempo la linea politica del partito rasenta
l'inconsistenza assoluta nel momento in cui viene a mancare persino l'opzione
«legge & ordine», resa improponibile da un alleato ingombrante come Forza
Italia, giudiziariamente piuttosto «disinvolto», come sappiamo. Né la patina
«sociale» che AN cerca di darsi può ingannare chicchessia; pensiamo solo ad
uscite finiane del seguente tenore: «sono deliranti le vociferazioni del
Sessantotto -poi passate alle BR, anche nel documento sull'assassinio di
D'Antona- contro la "Trilaterale" e il "potere delle multinazionali"». [12] Chi
denuncia i disegni criminali della Trilaterale è quindi: un folle, di sinistra e
un terrorista (con buona pace della sedicente destra «sociale» interna ad AN che
continua a dichiararsi ostile ai «poteri forti»). A ciò si aggiungano il
sostegno a tutte -dicasi tutte- le guerre intraprese in questi anni dagli USA,
le proposte antinazionali sul voto agli immigrati, l'azione costantemente
antieuropea in politica estera ed avremo il quadro completo. Fini, ormai,
ragiona in termini di tecnocrazia post-democratica: ha capito che oggi sono le
oligarchie, non il popolo, a conferire legittimità e potere. Ne ha preso atto e
si è adeguato, tentando la sua personale scalata al vertice sfruttando i
contatti giusti. [13]
Per adesso sembra riuscirci, sempre che qualche censore progressista non gli
rovini tutto, protestando perché il pedigree antifascista di AN non è abbastanza
puro. Poveracci: non hanno capito che loro fascisti non lo sono stati mai?
Adriano Scianca
Note:
[1] Tutto questo quando i nazionalisti europei più
consapevoli stanno facendo altrove ben altre scelte di campo: il 3 giugno 1968,
viene ucciso in Palestina Roger Coudroy, militante di Jeune Europe, primo
europeo a cadere martire nella lotta antisionista.
[2] Piero Ignazi, "Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano", Il
Mulino, Bologna 1989
[3] Nino Tripodi, "Viva il blocco d'ordine", in "Il Secolo d'Italia" del
16/7/69, citato in Piero Ignazi, op. cit.
[4] L'esplicito divieto di adesione alla massoneria per gli iscritti al partito
era stato sancito già nel II Congresso Nazionale e verrà poi riaffermato nel
1980.
[5] Giuseppe Niccolai, "Europa e
occidentalismo", termini inconciliabili, in "L'Eco della Versilia", n° 8-9 Anno
XV 31/12/86
[6] Cit. in Gianni Scipione Rossi, "La destra e gli ebrei. Una storia italiana".
Rubbettino 2003
[7] Ugo Bonasi, Addio ai padroni, in "Il Principe", novembre 1970 (cit. in
Gianni Scipione Rossi, op. cit.)
[8] Si veda, ad esempio, il rinnovamento della polemica anticomunista: non più
appelli all'ordine contro la «sovversione rossa» ma critica del PCI come partito
conservatore complice del dominio democristiano. Oppure si pensi all'inedita
attenzione per temi come quello dei diritti civili (contro la repressione
antifascista), dell'ecologia ecc.
[9] Annalisa Terranova, "Planando sopra boschi di braccia tese", Settimo
Sigillo, Roma 1996
[10] Cfr. Gianni Scipione Rossi, op. cit.
[11] Su "Il Foglio" verranno citati i seguenti nomi: Gianfranco Fini, Maurizio
Gasparri, Giorgio Bornacin, Ugo Lisi, Pietro Armani, Adolfo Urso, Enzo Fragalà,
Silvano Moffa, Marco Zacchera, Enzo Lo Presti, Italo Bocchino, Ignazio La Russa,
Gustavo Selva, Giampaolo Landi di Chiavenna, Mario Landolfi, Stefano Losurdo,
Nino Strano, Andrea
Ronchi, Cristiana Moscardini, Franz Turchi jr.
[12] Gianfranco Fini, "Un'Italia civile. Intervista con Marcello Staglieno",
Ponte alle Grazie, Milano 1999. In tema di «poteri forti» si ricordi la
recentissima presenza di Fini ad un convegno italiano del B'nai B'rith, nota
«associazione benefica» -così l'hanno definita i telegiornali- ebraica.
[13] Per cogliere la relazione tra le recenti vicende riguardanti AN e la
politica anti-europea delle oligarchie sioniste e statunitensi cfr. Gabriele
Adinolfi, "Se questo è un uomo", in "Orion" n° 231, dicembre 2003.