da Ffwebmagazine
(31
ottobre 2009):
:
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A vent'anni dalla scomparsa del leader del MSI
Beppe Niccolai, un eretico
per ortodossia
Michele De Feudis
«Una Comunità che si
è costruita in quaranta anni di sofferenze è la più vicina a capire la
sofferenza di chi, per fame, emigra. Gli italiani, la strada della emigrazione
per fame, la conoscono. È lastricata dalle loro lacrime miste a sangue. La
dedichiamo a coloro che, nella nostra famiglia politica, per agguantare qualche
voto in più, si sono scoperti in questi giorni, dopo avere pochi attimi prima
sentenziato sulla "sacralità della vita", paladini dell'anti-immigrazione.
"L'Italia agli italiani", hanno gridato. Dimenticando che la filosofia di quel
grido gli italiani dell'emigrazione selvaggia se la sentirono buttare in viso,
contro di loro. Più di cento anni fa. E furono massacrati, fra sofferenze
incredibili. È memoria storica, ed è un delitto dimenticarla. Nell'albero di
famiglia degli italiani quel "dolore" è incancellabile»: questa citazione di
Beppe Niccolai, riportata su un opuscolo militante del Fronte della Gioventù nel
1990, costituisce una testimonianza di quanto profonda nella destra italiana sia
la vocazione solidarista e da dove provenga la sensibilità per l'integrazione
mostrata dal presidente della Camera Gianfranco Fini con le recenti proposte
sull'estensione del diritto di voto.
Ecco, se il dibattito politico di queste settimane registra una progressiva
polarizzazione dello scontro, la ricorrenza del ventennale della scomparsa di
Niccolai -parlamentare del MSI eretico per ortodossia, già volontario in guerra
e poi prigioniero nel Fascists' criminal camp di Hereford, un lager americano
nel quale fu recluso insieme a Giuseppe Berto e Alberto Burri- offre l'occasione
per riscoprirne l'attualità insieme al suo sogno di ricomporre «le fratture tra
le grandi culture del novecento», volano di una modernizzazione dell'Italia.
«Nessuno è erede di un'idea, ma nel filone culturale e politico dell'attuale
destra dei diritti rappresentata da Gianfranco Fini, con una vocazione
unificante e repubblicana, c'è una conseguenzialità con il pensiero di
Niccolai»: Umberto Croppi, assessore alla Cultura del comune di Roma è stato uno
dei giovani negli anni Ottanta più vicino al leader missino. E la lezione di
Beppe Niccolai è una stella cometa per il "Secolo d'Italia" di Flavia Perina e
Luciano Lanna. Sullo sfondo resta, come ben spiegato da Gennaro Malgieri in uno
scritto di vent'anni fa, la missione indicata dal parlamentare pisano: «Il "bene
comune", quale fine della sua concezione della politica».
«Beppe, per noi un modello di integrità e passione, era stato un eretico
-racconta Croppi- ma su posizioni almirantiane, mentre io facevo parte dei
giovani della Nuova Destra attivi nel partito. Nel 1983 mi scrisse una lettera,
ci fu un incontro e da lì si consolidò una comunanza ideale. L'anno prima aveva
assistito al convegno che avevamo promosso a Firenze con Marco Tarchi (ai tempi
giovane studioso, espulso dal MSI, ma protagonista della corrente delle "Nuove
sintesi" - N.d.R.) e il filosofo Massimo Cacciari. Ne apprezzò lo spirito
intravedendo la praticabilità di strade oltre la destra e la sinistra. Con il
suo carisma e la sua lucidità contribuì a fornirci gli strumenti per dialogare
in quegli anni con i primi interlocutori che superavano l'arco costituzionale,
come Bettino Craxi». Alle fanfare della retorica e dell'identità, Niccolai
replicava ridicolizzando genialmente la nomeklatura del MSI. Nel 1989 raccontò a
Francesco Merlo sul "Corriere della Sera" che aveva fatto votare alla Direzione
nazionale un documento politico integralmente copiato da una mozione del PCI di
qualche mese prima. Una beffa bella e buona per i santoni dell'anticomunismo...
Fu uno dei maggiori divulgatori in quel periodo (insieme a Marcello Veneziani
-curò l'edizione de "Lo scrittore italiano" per le Edizioni Ciarrapico- e Giano
Accame) dell'opera di Berto Ricci, lo scrittore fascista eretico che era stato
un maestro di Indro Montanelli. Scompaginò le vecchie certezze, riabilitando la
centralità della libertà attraverso le parole del fondatore de "l'Universale":
«Affogare nel ridicolo chi vede nella discussione il diavolo; chi non capisce la
funzione dell'eresia; chi confonde unità e uniformità [...] muoversi, saper
sbagliare. Sapere interessare il popolo all'intelligenza [...] libertà da
conquistare, da guadagnare, da sudare [...] una libertà come valore eterno,
incancellabile, fondamentale». Pietrangelo Buttafuoco ne traccia un ritratto
solare: «Era un politico fuori moda e anche fuori luogo, per come possa essere
immaginato in un ambito di nostalgia. Rispetto ad altri esempi di probità, come
Alcide De Gasperi ed Enrico Berlinguer, Niccolai ci aggiungeva il sorriso. Aveva
un amore sincero non solo per il luogo istituzionale della politica, lo Stato,
ma anche nei confronti del popolo, al punto che definì la tragedia di Piazzale
Loreto, "l'ennesimo atto d'amore degli italiani per Mussolini"».
Antidogmatico, immaginava un "partito dialettico" (un modello per il PDL dei
nostri giorni), nel quale il dibattito fosse sulle idee e non su banali schemi
correntizi. L'abitudine a scompaginare gli schemi predefiniti lo portava a
definirsi «più a sinistra di Ingrao», ma senza mai perdere di vista «la
prospettiva di modernizzazione nazionale». Peppe Nanni, intellettuale vicino a
Gianfranco Fini, considera eredità di Niccolai anche una educazione alla
"mistica della politica", paragonando gli interventi del deputato pisano «alle
rappresentazioni di Eschilo nei teatri della Grecia antica». Altro che i
dialoghi per slogan dei dibattiti nei talk show politici.
Michele De Feudis
è giornalista e scrittore, redattore di "Epolis" e collaboratore di varie
testate tra cui il "Secolo d'Italia". Scrive di libri, cinema, politica e calcio
per quotidiani nazionali. Ha curato il libro "Tolkien, la Terra di Mezzo e i
miti del III millennio", edito da "L'arco e la corte" (Bari).
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