"Secolo d'Italia",
28 gennaio 1989
Un'identità lacerata
Beppe Niccolai
Bisogna dare atto al
"Secolo" di avere aperto le porte a tutto il ventaglio delle convinzioni che,
all'interno della nostra Comunità, con pareri divergenti, esistono, per quanto
riguarda la politica estera. Fino a rasentare il rischio di superare il tetto
del buon senso quando, nel voler informare «compiutamente», sotto un titolo da
Far West «Wanted», ha pubblicato «la guida al terrorismo internazionale»,
predisposta da quel Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che, indicando
nel terrorista Abu Nidal «il più cattivo di tutti», dimentica il non
trascurabile fatto che Io stesso Abu Nidal; per le sue azioni terroristiche,
possa aver fatto uso delle armi che lo stesso Dipartimento della Difesa, tramite
il colonnello North, forniva copiosamente, consenziente Ronald Reagan, a
Khomeini, il destabilizzatore. Scherzi del destino!
* * *
Ma torniamo ai «pareri divergenti» che scuotono la Comunità missina, cercando di
individuarne le motivazioni, ragionandoci sopra con pacatezza, perfettamente
consapevoli che le convinzioni che esprimeremo non sono la verità assoluta, ma
opinioni, sia pure radicate, da mettere al vaglio del confronto critico.
* * *
A parere di chi scrive, ciò che sta accadendo oggi nel mondo, dimostra, con
evidenza palmare, che i rapporti fra l'Europa e gli Stati Uniti sono cambiati;
al punto che tutto il vecchio schema della politica estera, basato sul sistema
atlantico, da concepirsi come equilibratore della pressione sovietica
sull'Europa occidentale, non esiste più. Quel tipo di dialettica fra «Occidente»
e «mondo sovietico» appartiene al passato. Oggi le conflittualità sono molte, si
estendono a tutto il mondo, e, fra queste, giganteggia, su tutte, quella fra
Nord e Sud. Fra ricchi e poveri. Fra il sangue e l'oro.
* * *
L'Europa, voglio dire, non è più la posta in gioco come poteva essere una volta;
non è più un luogo di protezione, ma è una fortezza, una non pacifica piazza
d'armi, di cui l'America vuole disporre, a beneficio dei suoi interessi primari.
* * *
Cosa accade ora? Che l'Europa del 1945, sconfitta e distrutta, delega agli Stati
Uniti d'America la responsabilità della politica globale, anche per quella parte
non scritta dai Trattati e che va oltre l'atlantismo. Identificazione totale.
L'Europa del 1945 all'America: scrivi la storia anche per me.
L'Italia, per fare l'esempio a noi più vicino, concede la sua Terra per i
missili di Comiso, vedendo in questa scelta «anche un investimento di promozione
industriale» di una zona sottosviluppata!
Subordinazione quindi totale, e a priori, alla Potenza Imperiale; coinvolgimento
dell'Europa nella politica mondiale americana, sulla quale le singole Nazioni
Europee non possono esercitare alcuna forma di controllo, di condizionamento.
Persa ogni autonomia politica effettiva.
* * *
Ma gli interessi della Potenza Madre coincidono con quelli dell'Europa?
I movimenti («movimenti», non partiti, facciamo attenzione) che sono sorti
nell'Europa settentrionale, in Germania e in Inghilterra e che, sbrigativamente
e in senso dispregiativo vengono definiti «pacifisti», insieme a ciò che bolle
nella gioventù nazionale in Italia, quale significato hanno? Uno e ben preciso:
essi costituiscono l'iniziale presa di coscienza della differenza culturale e
geografica che corre ormai, inarrestabile, tra l'Europa e gli Stati Uniti. Sono
quanto meno l'indicazione viva che la questione esiste. E la forza di questi
movimenti è politica: perché essa fa emergere, in chiave religiosa, il problema
dell'identità nazionale; identità che, fatalmente, porta con sé la questione
della differenza europea. Siamo diversi.
Lo so. Per molti, questa è una presa di coscienza lacerante, abituati come sono
a sentirsi una cosa sola con l'America; a sentirla, l'America, salvatrice,
giustiziera, polizia del mondo.
Distaccarsi dall'unità-identità Europa-Stati Uniti, provoca in loro lacerazioni
vive che sono, senza dubbio, sincere, ma ahimé, senza sbocco costruttivo. Cade
l'illusione di beneficiare, attraverso l'America, di una immagine di potenza;
cade il piacere di mostrare i propri (inesistenti) muscoli quando l'America
mostra i suoi. Il distaccarsi, sotto la forza dei fatti, da questa identità
costa fatica, in tutti i sensi. Rivedere i propri schemi mentali, costruiti
lungo la linea grigia dei 40 anni che si snodano dal 1945; l'essersi assisi fra
le braccia della Potenza Madre, che ci ha liberati prima dal fascismo, poi dalla
Patria, che ci difende ora dal comunismo, e non solo, ma da tutte le altre
malvagità terrene, il dover ripensare tutto, prendendo coscienza che quella
Potenza, ieri Madre, ha interessi che non coincidono con i nostri, tutto questo,
lo so, è lacerante, è doloroso...
* * *
E lacerante, è doloroso perché il vero rapporto ineguale fra l'Italia e gli
Stati Uniti, non è esteriore, ma è dentro di noi, è penetrato in noi,
cambiandoci. La frattura fra ciò che eravamo e ciò che siamo oggi è avvenuta nel
profondo. Non si è limitata alle Istituzioni, è penetrata nei modelli di
umanità. Trasformati. Infatti, la grande operazione americana sul Continente non
è stata quella di far perdere alle Nazioni Europee le proprie radici, la propria
memoria storica?
Siamo diventati un non-popolo. Altri, in questi anni, hanno gestito la nostra
Terra. Dinanzi a ciò, per oltre 40 anni, siamo rimasti passivi, indifferenti,
anzi ci stava bene. Ora questo rapporto ineguale comincia a far male e, sia pure
ancora confusamente, ci rendiamo conto tutti che non è più possibile -pena la
nostra scomparsa come entità di popolo- delegare ad altri la propria storia. La
storia, piaccia o no, ci sta riprendendo alla gola. La vacanza è durata oltre il
consentito! Tornano le scelte...
* * *
Riappropriarsi delle chiavi di casa significa, innanzi tutto, far si che
l'Italia torni ad essere capace di responsabilità e di iniziativa. Significa
costruire sul serio l'alternativa. Perché la scelta è questa: o una Italia
libera e indipendente, o un'Italia sempre più decisamente estrema marca degli
Stati Uniti d'America.
* * *
Si risponda a questa domanda: l'Italia è un Paese indipendente? Se la risposta è
in senso affermativo significa che hanno ragione quegli Italiani che hanno
sentito nel fascismo l'errore-colpa e che vedono e vivono gli Stati Uniti
d'America come giustizieri e salvatori.
Se la risposta è «no, l'Italia non è un Paese indipendente», beh, allora il
discorso si fa diverso, prende tono, corpo, scopo. Ci sono motivi, prospettive,
speranze, sogni di metter su un'Italia diversa.
Giuseppe Niccolai
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