Intervento conclusivo
dell’On. Adolfo Urso,
già vice ministro per il
commercio con l’estero
e promotore di Alleanza Nazionale

ADOLFO URSO: Ha fatto bene la federazione provinciale a ricordare la nascita di
Beppe Niccolai (26 novembre – N.d.R.), forse ancora più importante della sua
morte. La sua vita è stata molto travagliata e sono certo che Giano Accame, Aldo
di Lello e gli altri l’hanno già esaminata. A me forse tocca in questa parte
finale del convegno ricordare qualche episodio della sua vita politica e
soprattutto dell’ultima parte, che mi ha visto in qualche misura fortemente
coinvolto nell’ascoltare spesso i suoi interventi problematici nel comitato
centrale del partito: così allora si chiamava. Nell’ultima fase della vita,
quest’uomo profondamente italiano ha puntato a ricucire il paese, dopo aver
vissuto per tanti anni orgogliosamente da una parte: sia durante gli anni della
guerra, sia nel campo di concentramento, certamente del dopoguerra travagliato.
Come “sinistra critica” condusse poi le battaglie nel Movimento Sociale
Italiano.
Beppe Niccolai -negli ultimi anni- si pone il problema di come ricucire il
paese, di come ricomporlo, di come trovare la sua anima profonda, la sua terra,
la sua tradizione ma anche come individuare il futuro. Guarda con attenzione al
socialismo tricolore e a tutti quei fenomeni che, possono far comprendere che vi
è bisogno in Italia di una ricomposizione culturale, di quello che potremmo
chiamare oggi il country party, il partito del territorio, della nazione. Sotto
questa luce esamina gli avvenimenti di quegli anni, ma anche gli avvenimenti
passati e ricordo che il comitato centrale del partito era sempre sferzato dai
suoi interventi: era la coscienza critica e coscienza morale al contempo nel MSI
che era un partito in cui si discuteva moltissimo e in cui la moralità era un
fatto fondamentale, inattaccabile. Eppure lui interveniva e i suoi interventi
erano estremamente seguiti ed applauditi.
Io vi racconto solo uno degli episodi personali, quando lui mi conobbe, per
dimostrare quale spessore morale animavano i suoi interventi all’interno del
Movimento Sociale Italiano. Eravamo in un comitato centrale che avrebbe dovuto
definire le candidature per le elezioni politiche. Allora spettava al comitato
centrale definire le liste delle elezioni politiche. Io ero un giovane
esponente, già giornalista al "Secolo d’Italia". Credo che fossero i primissimi
anni ottanta (1983 – N.d.R.). Conoscevo Beppe per i suoi interventi ma lui non
conosceva me, perché io ero uno dei tanti giovani di allora. Ci fu un intervento
di un ascoltato esponente politico allora, oggi presidente dell’assemblea
nazionale di AN, Franco Servello: allora si esaminavano regione per regione le
potenzialità elettorali e quali erano le prospettive. Si partì dal Piemonte e,
arrivato alla Lombardia, Franco Servello disse che in quella competizione
elettorale avremmo preso non due, ma tre senatori. Una prospettiva di successo.
Si discuteva chi candidare: certamente Pisanò in tutti i collegi possibili, poi
bisognava vedere chi dopo di lui. Allora io mi alzai, chiesi la parola senza
aver consultato alcuno e feci un intervento per sollecitare il Comitato Centrale
a candidare, dopo Pisanò, Beppe Niccolai in uno dei collegi che avrebbero
espresso il senatore. Ci fu un applauso da parte dell’assemblea quasi
liberatorio verso quest’uomo che non voleva nulla e dava soltanto, verso
quest’uomo che non era parlamentare ma che aveva molto più ascolto dei
parlamentari, verso quest’uomo che aveva un rapporto molto forte, umano e
travagliato, con Giorgio Almirante, verso quest’uomo tanto amato dal comitato
centrale e dal partito e nello stesso tempo un po’ osteggiato. Il comitato
centrale scoppiò in un applauso liberatorio alla mia proposta: «finalmente
troviamo come istituzionalizzarlo, gli ridiamo un posto in Parlamento». Ci fu
molto trambusto nella classe dirigente e qualcuno chiese, o cercò di capire, se
dietro c’era una manovra correntizia di qualche tipo. Qualcuno si chiedeva: «Chi
ha mandato a fare questo intervento questo sconosciuto?» E Almirante, che era
comunque il più grande conoscitore degli uomini del partito, chiamò a rispondere
Beppe Niccolai e gli chiese se accettava quel posto certo di senatore in
Lombardia. Beppe Niccolai intervenne e -come era nel suo carattere e nel suo
costume- rifiutò la candidatura. Io credo che pochi, non solo oggi ma anche
allora, avrebbero rifiutato una candidatura tanto richiesta e tanto osannata.
Lui lo fece come era suo stile: voleva essere soltanto -nella parte finale della
sua vita- una coscienza critica e culturale del nostro mondo. E questo ci diede
un grande insegnamento di vita. Ovviamente la classe dirigente di allora ne fu
quasi liberata da questo peso, sollevata. Niccolai tornò a posto, poi mi mandò
un biglietto molto bello e da qui iniziò la nostra amicizia anche politica.
Beppe Niccolai aveva compreso che la Destra doveva tornare nel proprio paese,
che doveva tornare a viverlo fino in fondo e io credo che comprenderebbe molto
quello che noi abbiamo fatto dopo di lui. Con questo suo andare oltre quello che
era stata la destra, con questa sua ricerca continua della ricomposizione
nazionale, con questa sua volontà forte di avere radici nel passato, andando
oltre il passato e guardando gli orizzonti del futuro, avrebbe capito.
Fu capace di scherzi terribili che tali non erano, alla direzione nazionale del
partito. Io ero con lui a cena quella sera assieme ad altri (febbraio 1988). Ad
un certo punto, mentre parlavamo della Direzione nazionale che si sarebbe svolta
l’indomani, lui scomparve, si alzò dicendo che doveva fare una cosa. Erano le 10
e mezzo, 11 e non tornò più a cena. L’indomani presentò alla direzione nazionale
del MSI, per far capire come erano saltate le differenze tra destra e sinistra,
un ordine del giorno. Oggi discutiamo: «cosa è la destra?» «cosa è la
sinistra?», ma allora era una cosa impensabile. Presentò in direzione un ordine
del giorno sulla politica economica, un ordine del giorno molto complesso, che
fu accolto dall’allora segretario del partito, Gianfranco Fini, e che poi noi
tutti lo votammo salvo poi scoprire l’indomani che era un ordine del giorno che
lui aveva copiato, con qualche accorgimento, dal partito comunista italiano.
L’allora direzione nazionale del MSI-DN non si accorse che era un ordine del
giorno già approvato dal partito comunista italiano. Perché lo fece? Per far
capire come su alcuni argomenti, su alcune questioni, la ricomposizione fosse
nei fatti. Le problematiche erano simili, e quindi ci poteva essere questa
contaminazione. C’erano stati gli anni di piombo, c’era un’Italia lacerata, si
profilava già la crisi della Democrazia cristiana e il socialismo tricolore fu
uno degli elementi di quella crisi e di quella ricomposizione tra socialisti e
nazionali. Oggi è facile dirlo. Oggi è facile mettere la bandiera dell’Italia, o
un tricolore in ogni ambiente anche a sinistra. Ma allora per la sinistra
riscoprire la nazione fu un travaglio enorme. E Bettino Craxi e chi con lui fece
questa operazione, apparvero degli eretici a sinistra: scoprirono la nazione. E
Niccolai ci invogliò a far capire come era importante che la sinistra scoprisse
la nazione, che poi scoprì tutta la sinistra, o quasi tutta.
Niccolai era un avanguardista più che un eretico, uno che cercava di andare
oltre e di capire il nuovo, ancorché ancorato ai valori di sempre. E io credo ci
abbia insegnato molto: alla nostra generazione e a chi è venuto dopo. E credo
possa insegnare molto ancora oggi, soprattutto su come riarticolare il dibattito
e il confronto politico sul governo del paese, sull’Europa, insomma sui problemi
che sono nuovi e diversi e coi quali noi dobbiamo confrontarci: insomma i
problemi della modernità e della globalizzazione. Il mondo di Niccolai era un
mondo in cui si combatteva ancora tra est e ovest, quando invece oggi il
confronto non è più tra oriente e occidente, ma tra nord e sud del mondo. Il
confronto non è più tra una visione materialista della realtà -quella comunista-
e una visione diversa, occidentale ed europea. come si manifestava negli anni
del dopoguerra e certamente ancora negli anni settanta e ottanta fino alla
caduta del sistema comunista, che cadde -non a caso- sulle religioni e sulle
nazioni; cadde, e non a caso, in Afghanistan, nel crinale islamico e in Polonia,
nel crinale cattolico contemporaneamente: nell’Afghanistan che voleva essere
nazione e islamico e nella Polonia che voleva essere nazione e cattolica. Oggi
il confronto è tra l’Occidente e un’interpretazione del mondo islamico che noi
sentiamo talvolta come vicina, lontana e in qualche misura anche come
aggressiva. I canoni di riferimento sono altri: il modo di interpretarli deve
essere lo stesso: quello di cercare di capire le ragioni dell’uomo e dei popoli,
le ragioni di chi viene mosso per costruire un progetto sempre migliore per
l’umanità. Beppe Niccolai è stato un esempio di vita, un esempio politico, un
uomo che ha saputo trasmetterci, anche in chi non condivideva all’interno del
partito quello che diceva, una forte tensione umana, culturale, politica. Ci ha
lasciato un segnale ben preciso: comprendere l’altro per poter capire meglio chi
siamo e dove vogliamo andare. Lui diceva: «insieme» perché la nazione che lui
sentiva profondamente unita dentro di sé, non appartiene ad una parte. La Patria
non appartiene ad una parte, non appartiene nemmeno alla Destra e la sinistra
italiana lo dovrebbe capire. Nel momento in cui riuscisse a capirlo può
diventare davvero una sinistra nazionale. La Patria appartiene a tutti e deve
essere interpretata a destra e a sinistra da tutti. Credo che questo è
l’insegnamento che Niccolai ha dato alla Destra e anche alla sinistra che lo ha
scoperto troppo tardi e in qualche caso lo ha anche ammirato.

Adolfo Urso
N.B. - L’intervento è stato sbobinato e
stilisticamente adeguato dal parlato da Giacomo Mannocci. Intervento non rivisto
dall’autore. |