Trattato per la non proliferazione delle armi nucleari
(intervento alla Camera dei Deputati il 26 luglio 1968)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo sul trattato per la non proliferazione delle armi nucleari.

 

È iscritto a parlare l'onorevole Giuseppe Niccolai. Ne ha facoltà.

 

NICCOLAI GIUSEPPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se dovessimo definire la storia politica mondiale di questi ultimi venti anni cercando di caratterizzarla con un elemento fondamentale, diremmo che questa storia è stata scritta dal fattore nucleare. La storia di questi anni è la storia degli sforzi compiuti da vari Stati di mantenere o spezzare il monopolio degli armamenti nucleari; monopolio ieri, oligopolio oggi. Il fattore nucleare condiziona i destini del genere umano; non solo, la rivoluzione introdotta dall'era nucleare modifica le stesse strutture del pensiero politico. La nuova terminologia nucleare pesa sul pensiero, sulla programmazione, sulle scelte politiche, almeno quanto pesavano un tempo la forma delle scomuniche, la legge del profitto, della domanda e dell'offerta. Un nuovo realismo è alle porte. Chi non se ne accorge resta tagliato fuori, resta fuori giuoco, rischia di non capirne più nulla; oggetti da museo, come le vecchie ideologie ottocentesche che ancora pascolano qui dentro e che non sono certo in grado di dare una risposta ai problemi dell'era atomica.

Prima domanda: è consapevole il Parlamento che su temi di questo tipo sono in giuoco non tanto i destini nazionali dell'Italia quanto i destini di un continente, il continente europeo? È consapevole il Parlamento che l'atto sul quale siamo chiamati a dare il nostro assenso decide del tipo di società che noi lasceremo ai nostri figli? Sta a noi scegliere se questa società dovrà essere una società arretrata o una società di progresso e di avanguardia. Noi diremo che il Parlamento non è consapevole, ci riteniamo protagonisti di storia e niente, come in questo dibattito, prova il contrario. Narcotizzati dalle piccole quotidiane miserie della nostra vita interna abbiamo perso a tal punto il senso della realtà che ci circonda, da apparire ridicoli; il ridicolo, signor Presidente, signor ministro, di forze politiche che impegnano settimane di discussione sul «governo balneare», lasciando poi che sul trattato di non proliferazione nucleare, che decide dell'avvenire dell'Europa, si discuta quanto basta per tacitare la cupidigia di servilismo che scuote certi personaggi della variopinta vita politica, abilissimi nel parlar difficile e colto, ma, nei fatti, ricattatori di basso conio. Ecco una delle tante perle del sistema. Quanti dei 630 deputati che popolano questa Assemblea, quanti dei 46 sottosegretari che affollano i banchi del Governo conoscono l'esatta portata di quanto si discute? Quanti vagamente contrari a questo trattato soggiaceranno al ricatto pur di rimanere a galla domani quando si dovranno rimescolare le carte del Governo? Che dire di un sistema che non riesce a sensibilizzare se stesso su un tema di fondo di questo tipo, quando di riflesso manca alla sua fondamentale funzione di rendere edotta l'opinione pubblica su un tema che decide in modo drammatico dell'avvenire di tutti? C'è di più. Ha scritto l'ambasciatore Fenoaltea: «L'adesione ad un trattato che impegna l'Italia per generazioni è stata data al Senato con un dibattito che si è esaurito in sei ore». Noi abbiamo l'impressione, onorevole ministro -e ci perdoni la durezza e la franchezza del linguaggio- che quanto il ministro Medici ha letto non sia frutto di riflessione sua né del Consiglio dei ministri. Le preoccupazioni, le perplessità, diremo le angosce che traspaiono evidenti nelle dichiarazioni che il ministro Medici ci ha letto non sbocciano indubbiamente dal seno preoccupato del Governo. Se così fosse, il vostro comportamento sarebbe diverso. Non si invita il Parlamento a dire «sì» con il pessimismo che trasuda dal testo governativo. Quel pessimismo non è vostro, è della diplomazia, è dei funzionari, è delle persone competenti che vi stanno a fianco e che hanno steso le dichiarazioni che il ministro Medici ha letto qui dentro. È chiaro: la diplomazia, i funzionari, i tecnici vi dicono «no» a questo trattato. Voi non ne tenete conto, non ve ne preoccupate, non vi rendete nemmeno esatto conto di quello che leggete. Il domani dell'Europa è fatto secondario, quello che conta è di ubbidire ai ricatti che provengono dai margini del Governo, è durare, restare a galla, inchinarsi agli squallidi documenti firmati da scienziati del gruppo Puywosh. Avete sentito ieri, onorevoli colleghi della democrazia cristiana (purtroppo molti sono assenti), quello che l'onorevole La Malfa si è permesso di dire nei riguardi di Achille Albonetti che pure vedo relazionare al convegno della democrazia cristiana lombarda a Cadenabbia sulla politica estera? Albonetti -ha detto l'onorevole La Malfa- è un piccolo funzionario, piccolo e assai improvvido. Noi -ha continuato a dire l'onorevole La Malfa- citiamo il nome del professor Arnaldi, scienziato nucleare, non di funzionari intrallazzatori da strapazzo.

Che ne dite di questo linguaggio?

Quanto agli scienziati, onorevole ministro, amici dell'onorevole La Malfa, basta sfogliare la relazione di indagine sulla gestione amministrativa del segretario generale del Comitato nazionale per l'energia nucleare: e ci sono tutti, e hanno le mani e la bocca sui contributi del CNEN distribuiti a "La Voce repubblicana", a "la Nuova Resistenza", all'agenzia "Radar"; c'è anche un contributo di 45 milioni alla Società italiana di fisica, alla cui testa dovrebbe proprio essere uno scienziato che l'onorevole La Malfa ieri si compiaceva di citare.

Ecco il clima in cui noi si discute questo trattato intorno al quale, dalla Nigeria alla Cina, da Cuba all'Abissinia, dalla Germania al Giappone, dall'India al Brasile, le classi politiche sono state responsabilmente tutte chiamate a raccolta. Nella democratica Svizzera vi sono stati addirittura due referendum popolari, con i quali il popolo ha respinto le proposte di rinuncia unilaterale dell'armamento nucleare.

È stato scritto, signor ministro, che il mancato ingresso dell'Italia nell'era della polvere da sparo ebbe come conseguenza il fatto che per 300 anni il nostro paese dovette trastullarsi con le litanie, l'Arcadia e il melodramma. E chi può rimproverare, allora, quegli spiriti illuminati, purtroppo solitari, che parlano, per ciò che accade, di protettorato italiano e di nuovo Seicento?

Ma sul trattato di non proliferazione nucleare c'è un altro silenzio da registrare, signor ministro, ed è quello dei militari. Si sono resi conto i militari in Italia di ciò che significa apporre la firma a tale trattato? Hanno proprio deciso di non rappresentare più nulla, di non avere più responsabilità né compiti di fronte alla società civile del nostro paese? Si sono ormai arresi alla partitocrazia che, unico caso del mondo, dopo averli utilizzati anche per i più bassi servizi, li ha esclusi da ogni influenza determinante sui problemi del paese, trascinandoli come elementi decorativi nelle parate, o addirittura ricattandoli?

Chi, se non i militari, è in grado di suggerire ai programmatori la necessità di inserire nel piano, tra gli indilazionabili obiettivi di una nazione decentemente difesa, l'energia nucleare? Chi, se non i militari, dovrebbe sottolineare come un impianto di separazione isotopica, costando qualche cosa di meno, renda infinitamente di più delle regioni? E il ministro, che pure rappresenta le competenze e le esigenze dei militari, non ha proprio nulla da dire al riguardo di questo trattato? È in grado, il ministro della difesa, di portare in Parlamento una relazione di massima che i tecnici avrebbero dovuto pur preparare? Ecco la cornice estiva in cui questo dibattito così fondamentale si svolge: un Parlamento scarsamente sensibilizzato e scarsamente informato, un'opinione pubblica del tutto ignara del problema, e i militari in silenzio, fuori causa, nell'angolo dei cattivi e dei puniti.

E veniamo al trattato. È stato scritto che occorre firmarlo senza indugio per onorare l'impegno alle Nazioni Unite. E chi ha fatto dichiarare a New York che il Governo è pronto a firmare? Scrive l'ambasciatore Sergio Fenoaltea, che certamente non era ambasciatore in Nigeria ma era ambasciatore a Washington: «Si è incorsi in un lapsus, sia perché non c'era -con le elezioni imminenti o appena avvenute- un Governo che potesse validamente impegnarsi, sia perché il Governo stesso ancora in carica aveva promesso al Parlamento di non impegnarsi senza preventivamente consultarlo».

È stato scritto che l'assenso partito dalla Farnesina in un momento in cui l'Italia era praticamente senza Governo e senza Parlamento ha amareggiato lo stesso onorevole Moro e ha colto di sorpresa lo stesso Presidente della Repubblica. Perché questa fretta? Si aveva l'interesse a mettere il Parlamento dinanzi al fatto compiuto? E perché mai? Ricordate, onorevoli colleghi, la celebre invocazione di Riccardo III: «Il mio regno per un cavallo»? Dobbiamo ritenere che la più grave rinuncia della nostra storia sia stata consumata non per un cavallo ma per un seggio senatoriale, trampolino necessario per una poltrona più alta? Conta il cavallo e la storia può attendere! Dimenticato è il coraggioso monito del ministro per la ricerca scientifica, il socialista Arnaudi; messe nel dimenticatoio le lucide analisi di Aldo Garosci su "l'Avanti!" e di Gambino su "L'Espresso", le riserve sollevate dalla rivista "Astrolabio": «condizionare l'approvazione del trattato al congelamento e alla riduzione degli arsenali atomici delle forze nucleari»; accantonate le eccezioni di incostituzionalità velatamente ma chiaramente sollevate dal Capo dello Stato nei confronti del trattato per violazione della nostra sovranità. Carta straccia! La grande, soporifera stampa di opinione -"il Messaggero", "il Corriere della sera"- che pure ebbe, tempo fa, accenti di fierezza nazionale ed europea contro il trattato, è muta; anzi c'è di peggio: è impegnata in manovre di addormentamento e di aggiramento. Muta tutta la sinistra democristiana, dal gruppo di "Europa 70" al settimanale "I Giorni", che giorni fa volle riportare e sottolineare contro il trattato le fiere rampogne del delegato cubano, rampogne e argomentazioni, signor Presidente, onorevole ministro, sulle quali in gran parte possiamo ritenerci concordi soprattutto per la fierezza e la dignità nazionale che le ha animate. Che bella occasione sarebbe stata questa per la sinistra democristiana, per Donat Cattin e per i suoi amici, di scavalcare a sinistra la supina, diremo la bovina, acquiescenza al trattato dell'estrema sinistra! Invece no, anche loro nel mucchio, nel gregge, nella mandria, che dice sì ai grandi monopoli commerciali americani, produttori dei reattori nucleari; muti i fautori del rilancio tecnologico europeo, coloro che volevano accorciare le distanze tecniche tra l'Europa e gli Stati Uniti. Tutti applaudono alla quarantena dell'Europa.

Scrive sempre l'ambasciatore  Fenoaltea: «I divieti e le restrizioni relative alla disponibilità di esplosivi nucleari civili sono tutte rimaste in piedi». Mi dispiace che non sia presente il signor ministro...

 

OLIVA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il ministro si è scusato per un impegno che lo trattiene al Ministero. Sarà qui tra poco.

 

NICCOLAI GIUSEPPE. Me ne duole perché ieri questo argomento ha fatto oggetto di appassionata discussione.

Vi siete fatti dire, signori del Governo, il programma che gli Stati Uniti hanno elaborato nel settore della utilizzazione pacifica delle esplosioni nucleari? Secondo le affermazioni dei più qualificati esperti americani, d'altra parte confermate ieri dal ministro Medici, le esplosioni nucleari pacifiche rappresenteranno il metodo più economico e più rapido per tutti quei progetti che prevedano movimenti di terra quali canali, porti, attraversamento di montagne o laghi artificiali.

Fra i principali punti del programma americano c'è il progetto del dragon trail. Si tratta di due progetti tramite i quali potrebbe essere possibile sfruttare ulteriormente circa 30 mila pozzi americani di gas naturale al fine di raddoppiare le riserve accertate e produrre circa 300 trilioni -dico 300 trilioni- addizionali di piedi cubi di gas naturale. Il successo di tale iniziativa potrebbe valere oltre 40 miliardi di dollari. Il progetto Bronco: si tratta di un esperimento tramite esplosioni nucleari sotterranee che deve trasformare gli schisti bituminosi in una forma estraibile. Il successo di tale esperimento potrebbe portare alla utilizzazione di riserve petrolifere stimate a circa 3-4 trilioni di dollari. Il progetto Slop: dovrebbe permettere di estrarre mediante esplosioni nucleari sotterranee rame da depositi a basso tenore. Tale tecnica raddoppia la riserva di rame negli Stati Uniti d'America. Progetto Thunderbìrd citato anche ieri dal collega Delfino: prevede la gasificazione di strati densi di carbone povero in un'area che ha un'estensione di circa 200 chilometri quadrati. È stato stimato che tale tecnologia potrebbe rendere disponibile l'energia di circa 20 miliardi di tonnellate di carbone, pari allo sviluppo dell'energia contenuta nelle riserve petrolifere americane accertate.

Questi i principali progetti americani. Noi siamo famosi, signor ministro, per avere tirato su la diga di Kariba. Ma d'ora innanzi chi si accaparrerà i lavori pubblici mondiali? Lo ha detto con molta chiarezza -ecco perché sarebbe stata necessaria la presenza del ministro- il presidente della commissione per l'energia nucleare al Senato americano. Egli ha detto: «Il servizio esplosioni sarà messo a disposizione su basi commerciali, di tutti quei paesi che firmeranno il trattato e che saranno disposti a pagare in base a tariffe stabilite. Gli Stati Uniti -fate attenzione, onorevoli colleghi- produrranno l'ordigno, lo trasporteranno nel luogo del suo impiego e lo faranno esplodere, mantenendo su di esso un ininterrotto controllo».

Avete compreso bene, onorevoli colleghi? Faranno tutto da loro. Lo faranno esplodere mantenendo su di esso un ininterrotto controllo. Dopo di che, che ci staranno a fare i tecnici, gli scienziati, i lavoratori italiani? E quali imprese, onorevole ministro, verranno più chiamate a compiere questi lavori? Quelle americane che garantiscono l'esecuzione dell'intero ciclo di lavoro o quelle europee che nella fase più delicata dovranno arrestarsi e fare intervenire il servizio esplosioni americano?

Onorevole ministro, in queste condizioni come si fa ad esprimere il fondato auspicio che con l'applicazione del trattato si procederà alla diffusione delle tecniche che hanno permesso lo sviluppo della propulsione navale e delle esplosioni a scopi pacifici? Quali le prospettive per noi europei? È facile la previsione, onorevole ministro: diventeremo il serbatoio della manodopera non qualificata, una specie di Mezzogiorno bisognevole di una «614», di una legge cioè sulle aree depresse.

Scrive sempre l'ambasciatore Fenoaltea: «Soprattutto l'esigenza che il trattato non fosse tale da ostacolare in qualsiasi campo l'integrazione europea che un anno fa sembrava una nostra esigenza inderogabile e costituire la nostra più grossa riserva nei confronti del progetto -ma della quale abbiamo poi sentito parlare sempre meno- è stata espressa invano».

Il ministro è certamente al corrente del fatto che la Germania federale ha dichiarato che non firmerà il trattato fino a quando i russi non abbiano accettato l'interpretazione data da Rusk, secondo cui il trattato non dovrà essere inteso in modo da ostacolare l'integrazione europea.

«Nulla in esso fa ostacolo -queste sono parole del ministro Medici- alle aspirazioni e all'unificazione dei paesi dell'Europa occidentale, e allo sviluppo del processo unitario del nostro continente».

E dovremmo prenderlo in parola, il Governo, per queste parole che ha pronunciato? Ma non vi pare che se noi firmassimo prima che i russi abbiano accettato l'interpretazione di Rusk, potremmo in tal modo perdere ogni arma contrattuale, arrecando in tal modo danno alla causa europea?

Scriveva Aldo Garosci su "l'Avanti!" del 5 marzo 1967: «La via paziente, la via seria è quella di discutere, di emendare il trattato, il quale ha il difetto degli accordi tra le grandi potenze, conclusi senza il concorso degli altri. È, in piccolo, concluso, 20 anni dopo la guerra, sul modello di Yalta e di Potsdam».

Perché si lascia la via paziente della discussione, che ci ha già dato qualche risultato positivo, e ci si precipita a firmare? Perché vogliamo indebolire la nostra posizione nei negoziati per una più conveniente interpretazione del trattato? Eppure questo avviene, e noi stiamo dimostrando al mondo, con questo dibattito, e con il voto che lo seguirà, di essere disponibili comunque, alle peggiori condizioni.

Scrive Fenoaltea: «Abbiamo sentito dire che l'Italia deve correre a firmare perché già 63 paesi hanno firmato». Ma si guardi l'elenco di quei paesi! Nessuno, diciamo nessuno, di quelli per i quali il trattato implica rinunce effettive, e cioè di quelli che avrebbero capacità nucleare vi figura, ha ancora firmato; non c'è l'Argentina, non c'è il Brasile, non c'è la Germania, non c'è Israele, non c'è l'India, non c'è il Giappone. Questo non vuol dire che tali paesi non firmeranno; ma per ora hanno preso tempo, se non altro per riflettere ed approfondire il problema, oltre che per illuminare la propria opinione pubblica. All'infuori dei paesi del blocco sovietico, che hanno firmato insieme allo Stato guida, il maggiore dei paesi non nucleari europei finora firmatari non supera gli 8 milioni di abitanti. Mancano finora i più importanti paesi dell'America latina, dell'Asia e dell'Europa. E manca la Francia; ci dicano ora gli apologeti del trattato, gli antigollisti, i mangia De Gaulle ciò che accadrà quando noi firmeremo, e la Francia no. È molto facile la previsione: la Francia diventerà, grazie agli antigollisti, il rifugio della tecnologia nucleare, una Mecca atomica, il porto di tutti i cervelli europei nucleari, e la calamita, soprattutto dei capitali che vogliono liberamente lavorare in questo settore.

Il signor ministro Medici ha terminato le sue comunicazioni elevando, al Senato in ispecie, un inno alla pace contro i nefasti miti del nazionalismo. Il trattato secondo il ministro, è un atto fra i più lungimiranti e tempestivi -ha detto al Senato- che ricordi la storia di questo secolo. Leggo su "Europa '70", una rivista molto vicina alle simpatie del Governo, una rivista intorno alle cui tesi si raccolgono molte energie giovanili: «Non è possibile svolgere una politica estera efficace né influenzare sostanzialmente la politica estera di altri, se non si hanno gli strumenti e la potenza per sostenere tale politica e tale influenza. Allorché si parla di potenza tutto è in gioco: dal livello politico, economico, scientifico, industriale e culturale fino alla potenza militare. Finché le armi nucleari non saranno distrutte, non contano soltanto il reddito nazionale, le divisioni, i carri armati, ma anche il numero dei missili, degli aerei, dei sottomarini nucleari». «Non riusciamo a credere» -scrive la rivista degli onorevoli democristiani Ciccardini e Zamberletti- «che sia possibile aumentare l'attuale influenza dell'Europa all'interno e all'esterno dell'alleanza atlantica rinunziando definitivamente alla potenza nucleare».

«I nefasti miti» di cui parla il signor ministro albergano allora anche in casa democristiana. E scrive l'ambasciatore Roberto Ducei (questi sono i vostri tecnici): «Tra gli Stati che diventano atomici e quelli che restano non atomici, passa una differenza di natura; e i secondi assumono una condizione quasi coloniale, inaridiscono, sfioriscono. Si veda l'esempio dell'Italia. A metà degli anni '50 la sua classe politica non essendosi ancora resa conto della realtà, nutriva ambizioni di politica internazionale che dieci anni dopo non vengono più menzionate. E per converso l'azione internazionale della Francia ha ripreso vigore parallelamente agli sforzi che da essa vengono compiuti per assicurarsi un proprio armamento nucleare. Una società umana incapace di svolgere una sua azione all'esterno, che sia assente dalle competizioni internazionali nelle sue forme estreme e che quindi debba poco alla volta assoggettarsi alle altrui decisioni, scade di forza e di valore anche all'interno. Così accadde all'Italia dopo il 1530; lasciata che avemmo a Francia e a Spagna la cura del nostro destino salvammo la nostra quiete, i principi, il papato, ci permettemmo il lusso estremo di un Galileo e di un Vico e per il resto fu la notte della umiliazione e della vergogna. Guerra e pace, politica internazionale e una certa politica commerciale sono nella nostra epoca decise da chi ha in possesso il controllo dell'armamento nucleare».

Così parlano ambienti vicini alla democrazia cristiana, ambienti della democrazia cristiana; così parlano i vostri ambasciatori, signori del Governo. E si diventa protettorato o come Formosa o come uno staterello dell'America centrale. E non ci danno l'uranio, promesso fin dal 1957 con cerimonie roboanti e sonanti; l'uranio per il sottomarino nucleare già allestito nel 1957. Non ci danno l'uranio per la "Enrico Fermi", la nave a propulsione nucleare. Ci regalano, sì, un frammento di uranio, ma è un frammento di uranio che Fermi usò per il suo primo esperimento nucleare. Ma, signori del Governo, è un uranio da museo che non serve praticamente a nulla. Se hanno detto no ieri, che avverrà domani quando l'alleato avrà fra le mani le pesanti bardature di questo trattato? Siamo un protettorato e ci dobbiamo mettere in fila, attendere. Questo è lo status che ci attende. Ci pare troppo. È la pace? Siete d'accordo con l'onorevole La Malfa quando sostiene che l'equilibrio del mondo è affidato alle superpotenze e guai a chi tocca il loro ordine? La pace è affidata a questa capacità dei due blocchi di rompere le situazioni anomale, ha detto ieri l'onorevole La Malfa in quest'aula. Consiglierei la Cecoslovacchia di comprendere i limiti di autonomia nel sistema!

Ma avete inteso bene? E i poveri ungheresi massacrati dal piombo sovietico? Siete stati dei disgraziati! E ben vi sta! Macchè ribellione, dacché rivoluzione! Il vostro sangue è acqua! Voi eravate solo dei guerrafondai, sporchi seminatori di guerra! I verbali del Parlamento -ancora non ne facevo parte, allora- dovrebbero raccogliere le commosse litanie degli uomini politici italiani che si commossero e solidarizzarono con l'eroico popolo magiaro. Mai più! Cancelliamole tutte, quelle pagine! Lo ha detto La Malfa! Quelli intendevano rompere il sistema, il blocco, non conoscevano i limiti: è giusto che abbiano pagato! Hanno osato toccare l'ordine, l'ordine stabilito a Yalta, l'ordine di sua maestà la santa alleanza fra l'Unione Sovietica e l'America. È giusto che siano morti come cani. Facciano attenzione i cecoslovacchi, ora, a non fare la stessa fine. Anzi, diamo ordine al nostro ambasciatore che consigli i cecoslovacchi ad avere prudenza. Cancelliamo tutto, anche dalle nostre vite personali, tutto ciò che è fierezza, dignità, ribellione. Cancelliamo anche il sacrificio dell'onorevole Pertini -mi dispiace che non sia presente, perché volevo rendere al nostro Presidente un omaggio da questi banchi- che sofferse per le sue idee. Cancelliamo tutto! Bisogna essere piccoli e vili, perché lo dice l'onorevole La Malfa; dobbiamo rispettare i limiti, il sistema, aspettare a venir fuori nel momento opportuno, cioè quando l'avversario è a terra: quello è il momento opportuno per la gente che è stata dietro la Treccani, protetta da Giovanni Gentile, o dietro i banchi della Banca Commerciale. Ce lo dice La Malfa: la felicità consiste nell'essere piccoli e un po' conformisti. E noi dobbiamo obbedire. Ecco l'uomo ai cui piedi sospira il Parlamento italiano; ecco l'uomo coccolato da "il Corriere della Sera" e dall'ambasciata americana. Parla La Malfa, il concentrato dei cervelli, e tutti ascoltano; ascoltano e tacciono anche quando questo azionista tutto cervello, privo di ogni afflato umano, vorrebbe cancellare, anche dal ricordo, le pagine cariche di sangue -e perciò di storia- come quella ungherese e come quella cecoslovacca (il rifiorire delle patrie, signor ministro, al di là della cortina di ferro) che sono tra le più belle e le più rispettabili di questo nostro purtroppo squallido e deserto dopoguerra.

Crede veramente ella, onorevole ministro, che il trattato difenda la pace? È una eresia sostenere che l'armamento atomico possa servire solo nel momento in cui è usato e che quindi, come sostiene La Malfa, non servirà mai perché il suo impiego sarebbe la catastrofe del genere umano. La realtà è che l'armamento atomico serve nel momento in cui esiste, perché muta lo status della nazione che lo detiene. Chi lo detiene è Stato sovrano, chi ne è privo è un protettorato, quasi una colonia. Una Europa debole, divisa e disarmata non è garanzia di pace.

Come all'interno i vuoti di potere determinano situazioni anomale e gravi, così nel settore internazionale tutti i vuoti di potenza sono fonte di squilibri. Voi presupponete che un vuoto di potenza, in una zona nevralgica del mondo, in una zona che fino a vent'anni fa -malgrado La Malfa- è stata il centro della storia umana, possa rappresentare un fattore di stabilità e di pace. È una eresia. Uno squilibrio non crea mai un equilibrio, onorevole ministro. Lo scrive anche Achille Albonetti (questo piccolo uomo, secondo La Malfa) in "Europa '70": «Il miglior invito all'aggressione ed alla guerra è dato dal fatto che al centro dell'Europa vi sono paesi deboli e divisi». I vuoti determinano il risucchio. E si è travolti. Il trattato non serve la pace. L'appello alla pace del ministro Medici, o meglio il pacifismo di maniera, altro non è che sterile evasione intellettuale. Non lo dico io. L'hanno detto tutti i settori che vanno dall'estrema sinistra addirittura a "il Giornale d'Italia". Scrive Accame su "il Giornale d'Italia" del 19 luglio 1968: «Si tratta di posizioni ingenuamente retrive, di battaglie di ritardo destinate a nuocere a chi, pigliandole sul serio, ad esse si conforma. Chiudere gli occhi di fronte alla realtà, sognare di fermarla, desiderare che non siano avvenuti dei progressi odiosi, ma che condizionano, dal momento in cui ci sono, il presente e l'avvenire dei popoli, è una sterile evasione intellettuale. Eppure questi casi si sono sempre ripetuti, queste tentazioni hanno toccato in ogni momento della storia anche uomini di eccezione. L'atteggiamento del nostro Parlamento che si propone di arrestare l'Italia alle soglie dell'era nucleare, facendone alla lunga un protettorato, una colonia, un paese sottosviluppato, ha illustri precedenti nella storia militare e in quella letteraria. Non solo contro la balestra» (contro la quale, signor ministro, vi è stata la scomunica) «ma ovviamente anche contro la proliferazione delle armi da fuoco vi furono a suo tempo violentissime invettive e reazioni, con il risultato che tutti constatiamo: qualcuno può a suo danno ritornare indietro, ma può essere certo che non sarà seguito dalle correnti più spregiudicate e vitali del suo tempo». Le correnti più spregiudicate e più vitali del suo tempo! E ci mettiamo la Cina, signor ministro.

Combattete perciò, signori del Governo, una battaglia di retroguardia. Gli anatemi contro la balestra e le armi da fuoco abbiamo visto che fine hanno fatto. Si è parlato di protettorato, di colonia. E mi sovviene una reminiscenza storica. Al tempo di Roma vi erano popolazioni che non venivano annesse all'impero romano. Avevano però l'obbligo di fornire truppe che disponevano di armi leggere e avevano il privilegio di combattere ai lati dello schieramento imperiale.

Ecco, anche noi ai margini, nella retroguardia. Massacrati, atomizzati ma ai lati dello schieramento imperiale.

L'ambasciatore Fenoaltea ha ancora detto: «Per fare l'Europa, è stato detto dal ministro, non è necessario che essa abbia la bomba. Giustissimo. Anche se si potrebbe osservare che togliere agli europei la prospettiva di poter divenire gli eguali degli americani, dei russi, dei cinesi, è mortificare la dignità, l'orgoglio e la speranza, che sono il lievito necessario dell'europeismo».

Prima di chiudere, un breve codicillo. Per la prima volta (non so se la Camera se ne sia accorta) i comunisti sono tornati a schierarsi, quasi con rabbia, al fianco degli americani, richiamando il nostro Governo alla sua posizione dì satellite e al conseguente obbligo di sottoscrivere senza fiatare il diktat anglo-russo-americano sulla non proliferazione nucleare. Fanno corona ai comunisti tutti gli ex azionisti, i capintesta dei comitati «pro Vietnam». Battono le mani, come nel 1945. E se nel 1945 (non ve l'abbiate a male, onorevoli colleghi, perché Tombolo è purtroppo vicino a Pisa, la mia città), ai tempi di Tombolo, l'applauso era diretto agli aviatori e ai soldati americani (esistono ancora dei comunicati che conservo gelosamente), che, con le bombe, portavano anche sigarette e cioccolato, oggi, anno di grazia 1968, l'applauso è diretto alla General Electric, alla Westinghouse, al grande monopolio commerciale americano produttore dei reattori nucleari.

Si prospettano affari d'oro, ma per gli americani, onorevole ministro. Come mercenari di Yalta, i comunisti si vengono a collocare al servizio della più grande egemonia capitalistica del mondo.

Ebbene, che cosa chiediamo, onorevole ministro? Sono, le nostre, follie nazionaliste? Non lo diremmo. Chiediamo che l'Italia difenda in sede internazionale la dignità, la responsabilità dei destini nazionali, la libertà, i propri interessi vitali, alla stessa stregua di quanto fanno il Brasile, la Nigeria, l'India, Israele, l'Algeria, l'Albania, Cuba. Non crediamo di indicare obiettivi estremisti. Quel terzo mondo, che tanto commuove vasti settori di questo Parlamento, ci sia d'esempio, almeno per la sua fierezza.

Discutiamo. Perché tanta fretta? Si è fatto bene ad aspettare, ad avere pazienza. Perché precipitarsi a firmare? Ci si ricordi di quella che mi sembra essere una costante della nostra storia unitaria. Noi abbiamo sempre avuto troppa fretta ad entrare nelle guerre e troppa fretta a firmare le paci, in caso di sconfitta.

L'Italia si concerti con i paesi del MEC, prenda iniziative per colloqui con i paesi vicini: Israele, Algeria. Il trattato avrebbe un senso se firmassero tutti. Altrimenti resta un trattato capestro, una nuova Santa Alleanza fra Stati Uniti e Unione Sovietica con uno spruzzo di benedizione vaticana. Volete andare avanti? A tutti i costi, perché i ricattatori interni premono e non si può dire di no? Dio voglia che il Capo dello Stato non consenta! Dio voglia che il Presidente della Repubblica non promulghi la legge di ratifica per incostituzionalità, rinviando tutto alle Camere. Almeno fino a quando si costituisca un Governo -chiamiamolo- normale, certo non esposto ai ricatti. Ce lo auguriamo.

Le vacanze premono, specialmente qui dentro. Si ha fretta di concludere. Che è questo trattato sulla non proliferazione che ci fa perdere tempo, qualche ora di sole, di montagna o di collina? È triste, signor ministro, ma è così. Ed è la triste realtà di questo Parlamento scarsamente sensibilizzato. Non si avverte da tragedia. Le nazioni guida, quelli che venti anni fa arrivarono fra noi, portando sulle loro insegne molti ideali, stanno gettando la maschera. L'inganno pesa, signor Presidente, sulle generose illusioni di tanti patrioti europei, che venti anni fa, credendo alla crociata si schierarono sotto quelle bandiere. Che delusione!

La vicenda che viviamo ci ricorda un precedente storico. Il 17 ottobre 1797: trattato di Campoformido. La Francia rivoluzionaria, per accordarsi all'Austria reazionaria in una pace che rispettava, sì, i rapporti di forza, ma non certo i valori ideali, tradì i patrioti che avevano creduto in lei cedendo la libera repubblica di Venezia all'Austria.

Dalla ribellione a quel tradimento ha origine la prima grande opera letteraria del nostro Risorgimento, Le ultime lettere di Jacopo Ortis. «Il sacrificio della patria nostra è consumato... Vuoi tu ch'io per salvarmi da chi mi opprime, mi commetta a chi ha tradito? Italia, terra prostituita, premio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agli occhi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, e non piangere d'ira? Devastatori de' popoli, si servono della libertà come i Papi si servivano delle crociate... E perché farci vedere e sentire da libertà e poi ritorcerla per sempre? È infamante...! Che vuoi tu imprendere fra due potenti nazioni che nemiche giurate, feroci, eterne, si collegano soltanto per incepparci; e dove la loro forza non vale gli uni c'ingannano con l'entusiasmo di libertà, gli altri col fanatismo di religione; e noi tutti, guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza, gemiamo vili, schiavi, traditi...». Così Ugo Foscolo dall'esilio.

Da Campoformido comincia, però, signor ministro, il Risorgimento italiano. Voglia Iddio che dall'infame sopraffazione che è questo trattato fatto dai vincitori del 1945 possa spuntare l'alba di un risorgimento europeo.

(Applausi a destra — Congratulazioni).

Beppe Niccolai

Ringraziamo il ricercatore Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info - e la Camera dei Deputati

per averci dato la possibilità di pubblicare questo Intervento