CONFERENZE

Intervento di Beppe Niccolai al "Convegno sulla Giustizia", tenuto a Parma il 12 Aprile 1984.
Il testo dell'intervento è ricavato da una "cassetta" inviata da Umberto Croppi e "sbobinata" dal ricercatore Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info

Beppe Niccolai

Dalla scuola al carcere

 

Gentili signore, gentili signori,

la mia relazione, indubbiamente meno elegante e più rozza dal punto di vista giuridico di quella di Andriani -io non sono del mestiere- parte da un dato carcerario per arrivare a riflessioni di carattere politico e morale, prima morale che politico.

Il dato è questo: ci sono oggi in prigione, per ragioni politiche, più persone di quante ve ne fossero in piena guerra alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943. E se verranno applicate le pene e le norme d’emergenza per le associazioni eversive e bande armate, coi criteri già adottati in alcuni processi, i tribunali ordinari della Repubblica democratica, grazie al legislatore, finiranno con l’erogare molte migliaia di anni di galera, più dei tribunali speciali della dittatura mussoliniana. La democrazia o meglio, la partitocrazia, per difendersi, quindi, ha dovuto ricorrere a provvedimenti repressivi di dimensioni più vaste di quelle della dittatura.

Questa partitocrazia si accinge a far invecchiare in galera migliaia di ragazzi sino al duemila ed oltre. Si replica: sono dei giovani. Nel mondo del consumismo e delle piacevolezze della vita, si sono messi a fare i terroristi, impugnando le armi, facendo fra l’altro impazzire, come ha illustrato Andriani, sconvolgendo nei suoi meccanismi, nelle sue strutture, nella sua morale, nella sua mentalità, la giustizia della Repubblica.

I mostri sono così caduti dal cielo? Ce li siamo trovati fra noi per caso, paracadutati da un mondo terribile a noi sconosciuto o sono il prodotto tipico della società che ci siamo dati? Nascono cioè su un terreno abbondantemente annaffiato e concimato da noi stessi, a cominciare dai vertici della vita politica italiana? Perché la giustizia italiana si è inceppata, al punto che, se il terrorismo è stato parzialmente vinto, la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta risultano nettamente vincenti?

Perché milioni di italiani -guardate, dico milioni e lo sottolineo- nel Mezzogiorno d’Italia considerano Raffaele Cutolo “Napoleone” e Pupetta Maresca “Anita Garibaldi”?

Cos’è mai accaduto nella società italiana perché fenomeni di criminalità organizzata come la mafia, la camorra e la 'ndrangheta trovino in antitesi a questa Repubblica consensi popolari, da ridurre al minimo la collaborazione popolare?

Un testimone che coraggiosamente si fa avanti e dice «ecco, signor Presidente del Tribunale, io ho visto e le cose sono andate così», si assassina, si massacra in pieno centro delle grandi città, nelle ore più affollate e nessuno vede, nessuno ascolta, si fugge, timore di vendetta, solidarietà morale con gli assassini, nessuna fiducia nella legge e nei suoi tutori?

Le denigranti crisi di rigetto che questo regime ha provocato in larga parte della generazione giovanile formatasi fra il ’68 e il ’74, da che cosa derivano?

Cioè, voglio dire -fermandomi sulla vicenda sanguinosa del terrorismo- si può scambiare la vittoria dei carabinieri e dei magistrati coraggiosi per un plebiscito a favore della partitocrazia, che ci ha ridotto nelle presenti condizioni? Io dico di no. Io dico che il disprezzo per il sistema che, guardate, porta ai vertici della guardia di finanza il gen. Raffaele Giudice, che si fa contrabbandiere, il capo dei contrabbandieri, onde finanziare la corrente partitica di Aldo Moro, lo statista principe di questa Repubblica, io dico che quel disprezzo che è stata la molla generatrice del terrorismo, non appartiene solo alle giovani generazioni travolte poi dal delitto e dal carcere, ma è pressoché generale. Quel disprezzo è del popolo italiano e la classe politica, dolente o no, con quel disprezzo, pur vinto il terrorismo, deve fare i conti. Anche perché è proprio quel disprezzo a tenere in piedi, vincitrici, la mafia e la camorra. Anche perché con quel disprezzo in piedi, è illusorio pensare e ritenere che una qualunque giustizia possa stare in piedi e funzionare.

Il fondo de “Il Corriere della Sera” del 5 Settembre ’82 -le ceneri del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa erano ancora calde- regala fra l’altro queste considerazioni: «la mafia non è più un fenomeno regionale. Dalla Chiesa muore perché spedito al fronte senza tenere conto che dietro le sue spalle la mafia ha invaso le retrovie, gli stati maggiori, l’intendenza, il territorio nazionale. Che può fare Dalla Chiesa se Milano è mafiosa come Palermo, se Torino ha più cosche di Agrigento, se Roma è una grande Bagheria e se tutto si lega alla mafia di New York attraverso una retta, fitta rete di ricatti, rapimenti, finanziamenti, associazioni per delinquere, commerci internazionali di droga, sistemi finanziari alla Calvi basati sulla malavita. La mafia è stata nazionalizzata. Ha invaso come cancro l’intero corpo della nazione e -state a sentire- così amministra, uccide, finanzia, ricicla, decide, giudica, scrive, lottizza e governa».

Non sono io, uomo di parte, a scrivere che oggi la mafia in Italia «amministra, uccide, finanzia, ricicla, decide, giudica, scrive, lottizza e governa». È “Il Corriere della Sera” che attesta questa situazione.

Il fatturato del crimine, nel '82, secondo un’inchiesta del settimanale economico “Il Mondo”, è stato valutato a 16.250 miliardi di lire di cui 7.500 per spaccio di droga, con migliaia di attivisti a tempo pieno e connessioni radicate negli ambienti politici dell’apparato statale, dentro lo stato.

Potevano non nascere i mostri del terrorismo?

Può funzionare una giustizia, quando ormai il male non assalta più lo stato, perché il male non è fuori dello stato, ma è dentro lo stato?

Prima constatazione: il male è dentro lo stato.

O si rigenera -come ha detto Andriani- lo stato, o la giustizia la detterà in Italia, prima o poi, la vita di già; si può dire, la mafia e la criminalità organizzata. Ma se il male è dentro lo stato, come è accaduto che allo stato gli abbiano tolto il fegato, il cuore, lasciandogli solo il ventre? Sono tempi questi in cui il cuore è spietato e la trippa è sensibile. Non esce buona giustizia da un cuore spietato, e la trippa è sempre ignobile consigliera.

Affido alcune considerazioni alla vostra coscienza e alla vostra sensibilità.

Amici di Parma, siamo davanti a problemi gravi, drammatici. Questa classe politica non se ne rende conto. Diceva Mitterand: «arriva la tempesta». Non solo per chi è passato attraverso il dramma senza pari di ritrovarsi i propri figli distrutti, assassini a diciassette, diciannove anni, ma anche per coloro che, superata questa fase della follia terroristica, rischiano ogni giorno di veder precipitare i propri ragazzi nel pozzo senza fondo della noia, nella fuga da ogni speranza di rifondare la società, di riqualificare la vita e di ritrovarsi i propri figli disperati nel paradiso della droga.

«Signore -hanno scritto trenta ragazzi, studenti liceali, imputati per spaccio di droga al Presidente del Tribunale di Grosseto- in questa Italia la nostra via era obbligata: o il partito armato o i paradisi dell’eroina. Noi abbiamo scelto le vie dell’eroina».

Pensate, in questo paese, in questa Italia, dei ragazzi, adolescenti, scrivono: non c’è altro, o questo o quello. È il dramma dei nostri figli, che non hanno più una identità, non si riconoscono più in nulla, nessun referente li anima, li aggrega, li fa stare insieme, se non in centri storici, li vedete in gruppetti, ma di che cosa parlano? Ma di che cosa chiacchierano? Non la famiglia, non la patria, e che cosa sono mai la famiglia e la patria. Non più le vecchie ideologie: il socialismo, il liberalismo, il comunismo, e che cosa sono mai? Tutto continua e che c’è nella vita? Cosa resta se le idee, le speranze, i sogni ce le rendono fango? Se la vita stessa ce la dequalificano, fino alla degradazione, costringendoci per vivere -noi giovani- alla menzogna, alla frode, all’inganno, tanto va avanti chi meno merita, chi ha studiato partito socialista o votato democrazia cristiana, chi più sa strusciarsi ai potenti, saliti in alto attraverso, spesse volte, la via della criminalità organizzata. Che resta della vita? Che c’è nella vita? Mah, l’auto, la motocicletta, il vestito, la discoteca e il bisogno di stordirsi! Ma di che cosa si parla? Di speranza, di destini, di sogni? E come si fa a sognare in questa Italia che è un deserto di ideali? Il nulla, il dio-nulla, il nichilismo, il deserto del nulla. E in fondo a questa strada, la droga o la disperazione terroristica.

Il dramma e la crisi della giustizia sta tutta qui: si ritrova davanti, in manette, ragazzi ai quali è stato impedito di vivere, ai quali sono state tolte tutte le bandiere. Molti di questi si sono fatti mostri, assassini. Si irrorano anni di galera ai mostri, ma i corruttori, che quei mostri hanno generato, restano ai loro posti, in alto, ben visibili, in tutti i campi, da quello della politica a quello dell’insegnamento, da quello del giornalismo a quello della cultura, a spargere ancora il male, sempre incapaci di dare bandiere ai nostri figlioli. Le bandiere…

Il fascismo, vedete, bene o male, piaccia o no, aveva dato una identità agli italiani, una esaltazione collettiva dell’esistenza della vita grazie ad una bandiera.

«L’identità storica -diceva il fascismo- Roma-Italia».

Ci si riconosceva in quella identità, quella bussola orientava la vita, costruiva un destino di tutti gli italiani, anche di chi nel fascismo non si riconosceva. Aggregava quella formula e contrapponeva, fascisti e antifascisti. Tempi duri, ma di crescita. Tutti migliori, allora, fascisti e antifascisti.

Con la sconfitta, quel modello viene cancellato.

Sotto la guida della democrazia cristiana, ci rivolgiamo verso il nuovo referente, verso la nuova bussola che si chiama «l’Occidente», gli Stati Uniti d’America, le cui matrici storiche e culturali affondano, amici di Parma, in un protestantesimo a noi del tutto sconosciuto.

E si è perduto l’orientamento. I vecchi riferimenti, i vecchi valori cancellati. I nuovi, estranei, senza radici, perché senza nazione non vi è memoria storica; viene liquidato il principio nazionale come principio di legittimità dello stato italiano, dal risorgimento al fascismo. Si tratta di una operazione culturale profonda, perché anche l’annullamento culturale appartiene alla cultura. Anche il nulla della cultura italiana è altamente significativo. Il sentimento di appartenenza nazionale viene cancellato e respinto; al suo posto viene collocata una realtà diversa, indefinibile, vasta, profonda, l’Occidente è l’immagine ultima, il supremo referente dell’Occidente, gli Stati Uniti d’America, al posto della patria risorgimentale, è il nuovo modello, che è il modello di vita americana. È una adozione spirituale, culturale, antropologica, violenta. Di essa è testimone il cinema: Fellini, Antonioni, la fuga nella fantasia, la denuncia dell’incomunicabilità. Non si comunica più tra padri e figli. Alberto Sordi, ecco, i suoi modelli dell’italiano medio, vincono quelli. Cambiano i modelli di umanità. Il modello americano, perché venga fatto proprio, esige una operazione preliminare e indispensabile: l’abbandono delle radici nazionali e delle radici europee.

Il dramma non è solo nostro: è dell’Europa. Date uno sguardo alle nazioni europee dopo la seconda guerra mondiale.

Solženicyn dice: «I popoli dell’Est europeo hanno degli anticorpi che nel dolore funzioneranno».

L’Occidente è sfatto. Quale caratteristica hanno in comune le nazioni d’Europa?

La perdita della memoria storica, della propria dimensione di popolo. Non sappiamo più chi siamo perché ci è stato proibito di guardare nel nostro passato, nella nostra memoria. E se il passato non unifica, perché è cancellato, se non c’è più memoria, che resta? Il presente, l’oggi.

Ma è possibile vivere senza memoria storica, amici di Parma?

La democrazia cristiana, che di questo cambiamento è l’interprete -guardate, profondo-, di questo modello americano si fa portatrice, purifica le proprie radici. Non più Cristo, ma le banche. Non più San Francesco d’Assisi, ma Guido Carli, l’ex-governatore laico della banca d’Italia, un grande corruttore. Non più Dio, non più la trascendenza, ma la società efficiente, la produttività, il benessere. Il benessere davanti a tutto. Scompaiono i criteri di vero e di falso, di bene e di male. L’optimum della felicità? Il massimo soddisfacimento degli appetiti.

Importa non soffrire, non avere limiti. Il primato del corporale. È il nuovo totalitarismo. Dio è ucciso, ma è nata la felicità, amici di Parma? Sono felici i nostri ragazzi, nel profondo? O hanno dentro l’angoscia panica della vita senza senso?

È attraverso questo processo di perdita della memoria storica che si compie il massacro spirituale e morale dei nostri ragazzi. Ed il luogo dove questo massacro avviene è la scuola, gestita da quarant’anni dai democristiani. Democrazia cristiana che ha reso questo paese il meno cristiano d’Europa.

Fateci caso: mai, in nessun periodo della storia d’Italia come questo, si erano visti tanti giovani passare dalle aule della scuola e dell’università alle aule del Tribunale e delle Corti d’Assisi. Mai. L’Italia è diventato un paese privo di educazione, di tradizione educativa. Vivendo solo del presente, avendo cancellato il passato, la scuola non ha più potuto praticare che cosa? L’esercizio dell’autocoscienza, che si interroga a partire dall’identità. Chi sono? Ma chi sono i miei padri? E quindi, inevitabilmente, del passato. Il passato è religioso.

La democrazia cristiana ha voluto sempre per sé il Ministero della Pubblica Istruzione, ma per farne cosa? Nulla. Una scuola senza valore, senza alcun messaggio, se non il dio-quattrino. Non c’è più in Italia nessuna scuola, nessun modo o stile che possa identificarsi come modo italiano di affrontare una questione. L’Italia, culturalmente e civilmente, è un paese irrilevante. La storia per l’Italia? Il luogo del nulla. Ed è dal nulla che sono nati i mostri. Ed è dalla scuola del nulla che l’Italia senza memoria si è trasformata in terra di lotta fra bande rivali, non solo criminali, ma istituzionali. Su un terreno reso arido e dove la predicazione materialistica l’ha fatta da padrona, catturando dal di dentro tutta la società civile: televisione, radio, letteratura, cinema, teatro, scuola, università, caserme, palazzi di giustizia. La follia devastatrice della cultura e dell’edonismo, l’ha fatta da padrona, permeando di sé e in senso totalitario tutta la vita degli italiani, e sono spuntati i mostri.

Non solo il terrorismo, ma nella politica, dappertutto, dovunque, perché la lotta tra bande rivali che arrivano, pur di prevalere, pensate, amici di Parma -pensate a Bologna-, che arrivano, pur di prevalere, anche alla strage, non è solo prerogativa delle forze della politica. La lotta fra bande investe anche la giustizia. La metastasi partitocratrica non si ferma, si diffonde ovunque, macerando istituti, valori, tradizioni e memorie. Perché forse può esistere, nelle presenti condizioni di tirannide partitocratica, il tiranno senza volto, la partitocrazia. Tirannide caratterizzata, oltre che dalla rapina del denaro di tutti, da una selezione alla rovescia che fa sì che ai vertici della vita politica vadano i peggiori.

Ma può esistere un giudice imparziale? Il giudice vero, il migliore, paga con il sangue e i migliori magistrati cadono per questo sistema. Esistono, fra l’altro, i cosiddetti giudici insabbiatori delle inchieste ed i cosiddetti giudici del potere politico-economico o del contropotere delle opposizioni. La scelta di campo gli viene imposta. Imparziale è difficile essere, perché quando si è imparziale si va a morte, nella magistratura. Si è uccisi, si è assassinati. C’è qualcosa di peggio. Al Tribunale di Roma si è arrivato ad affidare ai giovani imputati di destra i giudici di sinistra e ai giovani di sinistra, a sua volta imputati, i giudici di destra. Così, di comune accordo. È cinismo, ma è un cinismo obbligato, perché a renderlo obbligato c’è questo sistema. Per cui le Procure della Repubblica e le aule dei Tribunali sono spesso destinate a degenerare in sedi o di insabbiamento del diritto o di sperimentazioni gruppettare e di faide partitiche. È fatale, allora. Fare il magistrato esige il rischio della vita, un coraggio addirittura impensabile. E allora? E allora, amici di Parma, o la bonifica integrale dello stato o il continuo degradare in una strada senza ritorno. Non ci sono possibilità di salvezza difendendo l’esistente.

La sinistra culturale e politica balbetta, quando dinanzi al dramma, dall’alto della sua prepotenza intellettuale, sentenzia di possedere l’elisir magico per salvare il paese, solo che sia chiamata al potere, mettendosi in contemporanea a guardia di questa Costituzione.

Quando Nando Dalla Chiesa, figlio del generale assassinato, militante ed intellettuale del PCI, sotto un titolo "Pax mafiosa", scrive, «che la mafia, è bene ricordarlo, diventa più potente nel decennio in cui cresce non di poco la sinistra», Nando Dalla Chiesa pone una considerazione di fondo a cui, da parte della sinistra, è gioco forza rispondere, ma la sinistra tace.

«C’è un interrogativo più inquietante -prosegue Nando Dalla Chiesa- quali sono stati i principi che regolano tattiche e strategie, formule e soprattutto alleanze della sinistra in quel periodo? Forse le leggi della politica, che in pratica sono le stesse in cui può navigare il potere mafioso? Il fatto è che è cresciuta la compenetrazione della mafia col potere e per questo si possono colpire le istituzioni. Non ci sono cadaveri eccellenti senza assassini eccellenti. Se ciò è vero -ed è vero, scrive Nando Dalla Chiesa- che il salto qualitativo si realizza nel decennio, c’è a sinistra un approccio al potere e alla politica che va criticato in maniera impietosa, senza di che la denuncia della responsabilità democristiana resta sacrosanta quanto inefficace. Ciò significa, e si deve rispondere, che la compenetrazione della mafia con le istituzioni, dal Brennero alla Sicilia, compresa la giustizia, si è avuta nel decennio '70-'80 (io direi nel ventennio ’60-’80) quando la sinistra culturale e politica è cresciuta imbevendo di sé la società italiana».

Non lo affermo io, lo afferma Nando Dalla Chiesa, intellettuale di formazione marxista, militante del PCI.

Il disastro che ci assedia, questa generale putrefazione di tutto, specie laddove si incontra lo stato, di che natura è?

Il carcere è ben rappresentativo della condizione generale del paese. Dalla scuola al carcere. Il detenuto, proprio perché in trappola, fisicamente fermo, è il soggetto sociale più inerme e più esposto di fronte all’accumulo di vessazioni di cui ciascuno di noi in libertà soffre. Ma se in libertà, dalle vessazioni di questo non-stato, ci si può in qualche modo difendere, attraverso l’umiliante pratica dello strusciarsi ai potenti, in prigione no. L’immorale inefficienza delle strutture cade addosso al carcerato. Il detenuto qualunque, quello medio, quello che non presenta una elevata pericolosità sociale, è in condizioni, meglio di altri, di individuare sulla sua pelle le cause dei mali di cui soffre tutto il paese.

Non mancano le progettazioni, non mancano le parole, e noi purtroppo stiamo facendo parole: ve n’è da ubriacarsi. Ma perchè dalle parole non si riesce a passare ai fatti?

Il diluvio di convegni, di impegni solenni non sposta di una virgola la degradazione in cui tutti siamo destinati e confinati: scuola, carcere, sanità, servizi essenziali scaricano sul cittadino il loro degrado. E il cittadino impotente subisce. È la dequalificazione della vita. Le energie dei migliori del paese si inaridiscono, si esauriscono, vengono uccise.

Cosa c’è? Il decisionismo, ecco. La governabilità. Sono i temi del giorno. Craxi è nell’occhio del ciclone per questo. Decisionismo è la nuova parola chiave del linguaggio politico. Le decisioni perché non vengono prese? E poi, chi deve prendere queste decisioni? La responsabilità individuale di decidere è stata distrutta. Non si sa più chi sia, ai vari livelli, colui che è titolare di un potere di decisione. E guai a colui che tenta di decidere. Siamo precipitati nella deresponsabilizzazione di massa. È il decennio di cui parla Nando Dalla Chiesa. La predicazione in quegli anni sul garantismo, spinto alla follia, è l’effetto opposto, nel nome dei diritti contro i doveri, che si è avuto. Si sono voluti rompere tutti gli argini. Ed ecco quello che raccattiamo: potere acefalo e irragionevole che porta ai limiti di rottura la fatica e le sofferenze quotidiane di ognuno, specie se questi si trova nei luoghi di sofferenza, ospedali, carceri, comunque a contatto con la carta bollata. Siamo arrivati, in quel periodo, a non operare negli ospedali se il collettivo non voleva.

E ci si adatta a tutto. Il sistema è una spugna. È carta assorbente. Succhia tutto, perfino il sangue. E la politica della mediazione, eccola, normalizza in una vergognosa, paurosa immobilità. Decisionismo e mediazione. La filosofia «ma chi me lo fa fare», in cui il sistema ci imprigiona, privo di slanci, di passioni e di decisione, corrode tutti. Corrode la famiglia, gli istituti, i rapporti, corrode perfino le speranze e i sogni. Corrode perfino l’avvenire. Mediazione, decisione. Sembrano dei concetti banali, da nulla. Eppure, guardate, di mediazione, di decisione si rischia di morire. Si muore in questo paese di mafia.

Di mediazione, per esempio, italiani di Parma, muore Aldo Moro. Perché volendo, lui, sul crollo di tutte le fedi, impastare insieme cristianesimo, comunismo, socialismo, laicismo, viene a metter su delle minestre non digeribili. Per cui i folli, i mostri, usciti dalla cultura delle rivoluzioni, lo uccidono come il responsabile della fine dei loro sogni di palingenesi sociale. Ma che orribile formule mi dai, Aldo Moro? Partito comunista insieme alla democrazia cristiana? Ma che è mai questa roba? Tu rendi tutto poltiglia, anche la rivoluzione. E lo uccidono portando il suo corpo, l’8 maggio ’78, in via Caetani a Roma in luogo equidistante pochi metri da piazza del Gesù, sede della democrazia cristiana e da via delle Botteghe Oscure, sede del PCI.

I folli, i mostri fanno questo, hanno questa simbologia. E avrete notato che alla morte di Moro si è verificato un fatto straordinario che io reputo di origine religiosa. Si è ripetuto l’Agnus Dei qui tollis peccata mundi. Dopo la morte di Moro la società italiana è tornata a meditare. I figli sono stati ripresi dai genitori e hanno accettato. Si è avuto il cosiddetto riflusso, la rimeditazione, l’Agnus Dei qui tollis peccata mundi. Sulle coscienze degli italiani è avvenuto un fatto straordinario.

Di decisionismo, invece, in questo sistema, muore Carlo Alberto Dalla Chiesa. Vuole reagire, vuole decidere, vuole fare e chiede mezzi e poteri al vertice politico. Ahimè, il vertice politico è intriso di immobilismo, non di decisione. Non dà a Dalla Chiesa né i mezzi né i poteri, il che farà dire al generale testuali parole, poche ore prima di morire: «non mi hanno dato né i mezzi né i poteri, pazienza, ma mi hanno tolto anche il prestigio. Come fanno a non capire che qui in Sicilia il prestigio e il rispetto sono tutto? Credo di aver capito le nuove regole del gioco: si uccide il potente perché è diventato troppo pericoloso, ma lo si può uccidere perché è rimasto solo ed io sono rimasto solo».

Per questo sistema delle mafie, Carlo Alberto Dalla Chiesa (che incarnava il decisionismo, la volontà di fare, di decidere, la competenza, l’onestà, il coraggio) si presentava in Sicilia come l’eversore, come il destabilizzatore, l’eversore della socialità perché la normalità è la mafia, per questo sistema. E il sistema lo uccide e ristabilizza la situazione. Chi manda al suo posto? Emanuele De Francesco, il questore che aveva diretto le operazioni di polizia durante il sequestro Moro, non trovando nulla, non approdando a nulla. L’inefficienza. E l’inefficienza, dove è la normalità, viene nuovamente insediata a Palermo. Ci si renda conto che a Palermo, di tutti i cadaveri eccellenti che si sono raccattati, nessun responsabile è stato assicurato alla giustizia.

Ma si leggano le solitarie esistenze dei magistrati caduti! Quella del mio amico, anche se comunista -è stato tanti anni in Commissione Antimafia- Cesare Terranova. Ma si leggano le esistenze di questi personaggi. E dall’altra, mentre il magistrato moriva carico di piombo, questo sistema elevava a capo a della Guardia di Finanza, come vi ho detto, il generale Raffaele Giudice, capo dei contrabbandieri che doveva poi finanziare uomini di stato dei partiti politici.

Come potete pensare che in un simile frangente la giustizia possa avere giustizia?

Provate invece a fare i conti sui costi umani, sui costi sociali, sui costi economici, soprattutto in termini di felicità, che un siffatto modo di vivere determina a carico del cittadino. Enormi, spaventosi, da mettere in terra un’intera società.

Mi direte, ed ho finito, perché la mia comunicazione, disadorna, in tema di giustizia, abbia voluto spaziare su temi che riguardano la comunità nazionale, il suo stato di salute, il suo morale, arrivando a questa collusione.

Si vive un secolo folle, folle di viltà, di dimissioni, di menzogne, di imposture e di brutture: una vera e propria crisi di civiltà, dove regna il rifiuto di ogni altezza.

Il mio modesto parere è questo: l’ingegneria costituzionale può sì darci progetti più perfetti, più sottili, più sofisticati, più lucidi per rendere anche la giustizia più efficiente, ma l’ingegneria costituzionale resterà opera vana se tutti insieme, comunque la si pensi, non riusciremo a dare un’anima, non riusciremo a dare una passione alla comunità nazionale. Le istituzioni si realizzano se diventano passione, se diventano fede, se diventano destino. E la storia assicura un destino solo quando la vita scorre a torrenti nelle vene dei popoli.

La vita scorre a torrenti nelle vene del popolo italiano?

Io direi di no. Anche perché quel che vale non è la vita, ma ciò che si fa della vita.

E che ne facciamo noi della vita in Italia, amici di Parma? Tesi a dimostrare che si può avere tutto, si può trasferire tutto, tutto è possibile. È una filosofia che viene pagata dagli adolescenti, dai nostri ragazzi e viene pagata in termini di felicità. E il predicatore delle infelicità è Marco Pannella.

Cancellata la memoria storica, irriso il passato, ucciso iddio e ogni altra trascendenza, fallite le rivoluzioni, i figli contro i padri, una scuola senza maestri e senza messaggio. È il trionfo della noia e del nulla. La vita senza il significato che è mai la vita? Siamo davanti, amici di Parma, a una grande disfatta umana. Che fare? C’è su tutto un dovere da esercitare, amici di Parma, quello che quando il tempo a venire si stupirà -perché si stupirà- dei nostri disastri, delle nostre catastrofi, i nostri bisnipoti sappiano almeno che alcuni rifiutarono di alzare le braccia, deporre le armi e di arrendersi. Combatterono, per ridare un senso alla vita, alla vita di tutti, comunque essi la pensino.

Grazie.

Beppe Niccolai

Ringraziamo il ricercatore Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info - e Umberto Croppi