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da "Plus Ultra", 14 settembre 2010 
http://www.plusultraweb.it/?blogid=58/ 
  
Uno squarcio su un'altra 
destra: 
esce "Beppe Niccolai, il 
missino, l'eretico" 
  
			
			
			Luca De Netto     
  
Esiste una destra sconosciuta, una destra per cosi dire "minore", che non ha 
avuto la fortuna di essere al posto giusto al momento giusto, ma che ha 
contribuito, in maniera determinante, non solo a gettare le basi dell'attuale 
centrodestra, ma a far maturare l'intero panorama politico italiano.È la destra di Mimmo Mennitti e Beppe Niccolai, di Pino Rauti e Adriano 
Romualdi, di Marco Tarchi e Umberto Croppi: destre molto differenti tra loro, 
espresse nel corso del tempo da personalità eccezionali, a volte molto scomode, 
qualcuna persino inorridita oggi al sol pensiero di essere collocata "a destra", 
o ieri di definirsi tale.
 Eppure la vulgata ufficiale vuole che i grandi della destra italiana siano stati 
Giorgio Almirante e Pinuccio Tatarella, pilastri del Movimento Sociale Italiano 
e della sua modernizzazione democratica, ma anche artefici della nascita e 
crescita politica di Gianfranco Fini…
 La storia che racconta invece Alessandro Amorese nel suo saggio "Beppe Niccolai: 
il missino e l'eretico" è una storia differente, non solo perché dedicata ad una 
personalità che l'ufficialità mediatica ha voluto considerare "di secondo 
piano", ma anche perché apre un varco verso una visione nuova su fatti, eventi e 
personaggi relativi ad una Prima Repubblica che ancora ha tanto da dire ed 
insegnare.
 Giuseppe Niccolai, classe 1920, volontario nella seconda guerra mondiale, 
dirigente toscano del MSI, durissimo nei consigli comunali, si scaglia da 
deputato soprattutto contro il potere democristiano.
 Missino di ferro, vecchio stampo, a volte insopportabile, incarna nella prima 
fase della sua vita quel modo di essere tipico della galassia degli uomini di 
Almirante: fedelissimi del Capo, intolleranti con qualsiasi movimentismo 
autonomo sul territorio, fortemente timorosi di essere superati da qualche 
giovane brillante, capace di esprimersi ed in grado di aggregare.
 Ma la parabola umana e politica di Niccolai lo porta presto a posizioni 
avanguardiste, di rottura, eretiche: sogna di ricucire la frattura con il mondo 
social-comunista che si era avuta con la fuoriuscita di Benito Mussolini da 
"l'Avanti!", critica Almirante e le posizioni nostalgiche del partito.
 Incontra così negli anni '80 Mimmo Mennitti, l'esponente più modernista del MSI, 
con cui da vita a riuscitissimi fermenti culturali. I ragazzi del Fronte, sia 
pur vicini a Rauti, capo della sinistra interna, simpatizzano fortemente per 
questo parlamentare che ricordava tanto Nicolino Bombacci -dirigente di primo 
piano del partito comunista che sceglie di morire accanto al Duce in nome 
dell'Italia e del Socialismo- e che incantava sognando un'inedita alleanza tra 
rossi e neri.
 Niccolai intuisce, insieme a Giano Accame e Mimmo Mennitti, che il craxismo 
rappresentava una novità politica fondamentale per l'Italia, e si sforza perché 
si arrivi ad un dialogo con le componenti socialiste in nome di un nuovo 
socialismo tricolore.
 Ma un partito appiattito sulle posizioni di retroguardia, incapace di aprirsi 
alla cultura -tanto che si era preferito ricorrere all'ex marxista Armando Plebe 
per stabilire le politiche culturali missine degli anni '70, invece di guardare 
con attenzione ai fermenti che, pur tra mille difficoltà, fiorivano nell'area-, 
anziché valorizzare le teste pensanti che dal MSI erano passate, tacciava di 
"tradimento" ogni ipotesi di dialogo.
 Era eretica, infatti, già l'idea stessa di parlare con chiunque non fosse 
missino, figuriamoci il sacrilegio che significava ipotizzare un'alleanza 
elettorale con il partito socialista.
 Eppure era cosi naturale agli occhi di Niccolai quel percorso in un partito che 
avrebbe dovuto rivendicare le proprie radici partendo da una visione del mondo, 
e non dal folklore di retroguardia tipico della grigia nomenklatura missina, 
contro cui si batte, a viso aperto, il deputato toscano che da vita alla storica 
mozione congressuale "segnali di vita".
 Sportivo, tagliente, goliardico, ma anche rude, deciso e testardo, non riesce a 
vedere la svolta di Rimini del 1990, quando un'inedita alleanza tra Rauti e 
Mennitti riesce a battere Fini e portare la sinistra interna alla segreteria, 
regalando il sogno -breve e destinato a prendere altre strade del tempo- della 
costruzione di qualcosa di nuovo in un partito ormai sclerotizzato: muore 
infatti qualche mese prima, lasciando un vuoto politico, ma, come ogni grande, 
anche prospettive sul futuro.
 Tra gli scritti inediti, infatti, lasciati agli amici, si leggono chiavi di 
lettura del presente di una modernità impressionante: la crisi del liberismo 
capitalista, la necessità di un nuovo modello socio-economico, il valore della 
bellezza al centro del rispetto dell'ambiente, la caduta dei valori autentici a 
vantaggio dei falsi bisogni, l'inseminazione artificiale, l'eutanasia, 
l'edonismo, le nuovi fonti di energia rinnovabile.
 Apparentemente scritti nel terzo millennio, risalgono in realtà all'elaborazione 
ideale e politica di un deputato missino negli anni '80. Missino si, ma 
fortemente eretico, tanto che il superamento del "missinismo", quel modo di 
essere, pensare ed agire così limitato e limitante, potrebbe insegnare tanto 
ancora anche ai nostalgici di oggi, molti dei quali quelle vicende non le hanno 
neanche vissute.
 Un lavoro ottimo, edito da Eclettica, quello di Amorese dunque, ben documentato 
e incredibilmente lontano da ogni apologia del personaggio Niccolai.
 Una lettura consigliata non solo a destra, ma anche ad una sinistra che, se 
vuole tornare a rappresentare qualcosa, necessita di riscoprirsi sociale e 
nazionale: solo così la frattura della Patria potrà dirsi ricomposta, e Niccolai 
potrà sorridere al suo Paese e al suo Popolo ritrovatosi unito, proprio cosi 
come lo aveva sempre sognato.
 
Luca De Netto       |