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			25 Aprile 
			Magnifici manifesti. 
			Multicolori. Costosissimi. 
			Da questo punto di vista la ricorrenza del 25 Aprile non delude. 
			Le parole? 
			Belle, nella loro risonanza. Un esempio. Sta scritto in un manifesto 
			comunista: «nel 1945 con i partigiani, nel 1970 con i lavoratori». 
			La frase fa un certo effetto, anche se, storicamente, non è esatta. 
			Meglio sarebbe stato scrivere: «nel 1945 con Badoglio e gli 
			Americani alleati dell'URSS, nel 1970 con l'Unione Sovietica». 
			Non c'è che dire: in quanto a carta, parole, musiche, tutto è 
			perfetto. Il 25 Aprile è una data risonante. 
			C'è, perfino, la «velina» ministeriale. Infatti nelle Scuole, di 
			ogni grado, c'è l'ordine del Signor Ministro di scrivere: «oggi è il 
			25 Aprile: è festa». E che è festa lo deve scrivere anche il ragazzo 
			che è restato orfano, perché 'ha perduto il padre dalla «parte 
			sbagliata». 
			Ma lasciamo stare queste melanconie. È festa. Rallegriamocene. 
			Parliamone. 
			* * * 
			È festa? E perché mai? 
			Perché è ritornata la libertà? 
			E in virtù di che cosa? 
			Delle armi americane? 
			Ma se è così il luogo più adatto alla celebrazione è la foresta di 
			Tombolo, è il Campo Darby. Il primo pensiero riconoscente va a loro 
			che, con i carri armati, le fortezze volanti, i dollari, le 
			sigarette, le cioccolate fecero crollare le ultime resistenze. 
			Non è così? Qualcuno dubita? 
			Gli americani non vanno ricordati perché sono schiavisti e 
			assassini? Perché... liberando il Vietnam, massacrano e uccidono? 
			Ma come è possibile essere stati liberati da degli «assassini»? 
			* * * 
			È festa? E perché mai? Perché lo Stato di oggi mi costringe, in nome 
			della libertà, a festeggiare il giorno in cui ho perso il padre, il 
			fratello, gli amici più cari? 
			Perché mi vieta di ricordare, accanto ai sette fratelli Cervi, i 
			sette fratelli Govoni anche essi massacrati nella guerra civile? 
			Può esserci libertà nel momento in cui la libertà più elementare e 
			più umana viene tolta e cioè quella di non far festa quando il cuore 
			e la mente sono in lutto? 
			* * * 
			E le opere? Se quella «data» fu una rivoluzione, e se da quella data 
			sono passati 25 anni, quali sono oggi, negli uomini che ci 
			governano, negli istituti che ci reggono i segni della nuova 
			società, dinanzi ai quali vale la pena di inchinarci, a costo di 
			esultare su una vicenda di sangue che ha visto fratelli contro 
			fratelli? 
			Gli uomini? 
			Il Ministro della Pubblica Istruzione, è pubblicamente accusato di 
			essere un protettore della mafia dell'Aspromonte. 
			I giovani debbono vedere in lui i «valori» del 25 Aprile? 
			C'è un sottosegretario agli Interni nei riguardi del quale pendono 
			alla Camera varie autorizzazioni a procedere e non di natura 
			politica ma per reati comuni. 
			II 25 Aprile rifulge in questa figura di governante? 
			È stato scritto che un ex-sindacalista, ora Ministro della 
			Repubblica Italiana, dalle toppe al sedere che aveva è diventato 
			miliardario, rubando. È il Ministro Viglianesi, detto Miliardesi.
			 
			II 25 Aprile rifulge in questa figura di Ministro della Repubblica? 
			* * * 
			E le opere? Il disordine legislativo, aggravato. Arbitri assoluti, 
			financo della scelta del Presidente della Repubblica, i direttivi 
			dei partiti. La scuola, una sentina. La Magistratura a pezzi. 
			Scandali a catena. La pace religiosa perduta. La gioventù a 
			drogarsi. Il dio denaro sugli altari. La violenza sovrana. I figli 
			dei resistenti e dei partigiani che sputano sul Parlamento con uno 
			schifo mai prima registrato. Tutto quel che toccano insudiciano e 
			corrompono. Dove sono le opere? 
			Ma se è così perché è festa il 25 Aprile? 
			 
			  
			
			Libertà di stampa 
			Le tre sottoriportate 
			interrogazioni, inviate ai principali quotidiani, non hanno avuto 
			ospitalità. 
			I motivi? 
			Non certo perché mancano di interesse. Sono tre interrogazioni di 
			costume; riguardano direttamente due Ministri, uno accusato di 
			essere amico della «delinquenza calabrese»; l'altro di trovarsi 
			«immischiato» in un procedimento penale per truffa. 
			La terza non è da meno perché la Magistratura, facendo faticosamente 
			luce nello scandalo del SIFAR, rinvia a giudizio gli agenti 
			materiali del tentativo di corruzione dei repubblicani di Ravenna i 
			quali, al fine di... essere convinti a votare per le tesi lamalfiane 
			del centro sinistra, venivano... avvicinati da agenti del SIFAR con 
			30 milioni in... mano 
			Sono tre interrogazioni che chiamano in causa personaggi come Moro, 
			Tremelloni, Reale,  
			La Malfa, Giolitti, Misasi. Quattro Ministri in carica, un 
			Segretario di partito, generali, giornalisti, questori, ufficiali. 
			E la stampa? 
			Non registra nulla. Non un rigo. Come si trattasse di acqua fresca. 
			Sappiamo, per diretta esperienza, quanto ci sia voluto, sopratutto 
			di pazienza, perché la Presidenza della Camera passasse, tali note. 
			Si sono dovuti superare ostacoli definiti di procedura e di forma. 
			Ce l'abbiamo fatta. Fatica sprecata. 
			L'opinione pubblica italiana può celebrare il 25 Aprile l'avvento 
			della democrazia e della libertà; però non deve sapere, non deve 
			essere informata. 
			La classe politica che regge le sorti del nostro Paese, è tabù. Non 
			si può toccare. 
			Potrebbe vendicarsi. Potrebbe recar delle noie al gruppo che regge 
			le sorti dei quotidiani... indipendenti. 
			Perciò uomini politici state tranquilli: potete far tutto in pace. 
			Anche rubare. Anche proteggere la delinquenza. Nessuno disturberà i 
			vostri sonni, interromperà le vostre digestioni, turberà i vostri 
			rapporti con la mafia. 
			Riposate tranquilli. La grande stampa veglia su di voi e vi 
			protegge. In nome del 25 Aprile. 
			 
			* * * 
			L'amico della mafia calabrese 
			Al Presidente del Consiglio 
			dei ministri - Per sapere se ha preso visione di quanto pubblicato 
			dall'Agenzia Montecitorio, nel "Notiziario" n. 31 del 20 febbraio 
			1970, in cui si annuncia che nel periodico "Calabria 1970", di 
			imminente pubblicazione, «l'onorevole Frasca pubblicherà un articolo 
			con il quale accusa l'attuale Ministro della Pubblica istruzione 
			onorevole Riccardo Misasi di avere rapporti con la mafia calabrese». 
			 
			* * * 
			Il nipote di Giolitti al centro di un processo per truffa 
			Al Presidente del Consiglio 
			dei ministri - Per sapere se è a conoscenza che nell'estate 1968 un 
			commercialista di Milano, in relazione ad una pratica di 
			finanziamento alla ditta Danilo Zanardi, imputato per truffa presso 
			il tribunale di Verona, ebbe a dichiarare che la sua attività 
			consisteva nel far da tramite tra la ditta che voleva il 
			finanziamento e il Presidente della Commissione industria e 
			commercio, al fine di poter istruire la relativa pratica e che 
			normalmente tra la promessa dell'uomo politico e l'accredito presso 
			la banca della somma stanziata, intercorreva un periodo di sei, 
			sette mesi; 
			per sapere se è a conoscenza che a richiesta del presidente del 
			tribunale il detto commercialista precisava che al partito politico, 
			interessato al finanziamento, su una percentuale a lui spettante di 
			16 milioni e 250.000, aveva versato 14 milioni; 
			per sapere se è a conoscenza che l'onorevole Antonio Giolitti, 
			attuale Ministro del bilancio, è stato citato quale teste, sia dalla 
			pubblica accusa, sia dalla difesa, in quanto nella sua qualità di 
			Presidente della Commissione industria e commercio, al tempo dei 
			fatti cui si è fatto riferimento, doveva istruire la relativa 
			pratica al centro del procedimento per truffa presso il tribunale di 
			Verona; 
			per sapere quale conclusione abbia avuto questa vicenda, compreso il 
			procedimento penale che ne è scaturito. 
			 
			* * * 
			30 milioni del SIFAR ai repubblicani di Ravenna 
			«Il sottoscritto chiede di 
			interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere se 
			è a conoscenza che è stata depositata la sentenza di rinvio a 
			giudizio degli agenti materiali del tentativo di corruzione dei 
			repubblicani di Ravenna, al fine, dietro uno sborso di 30 milioni, 
			di «spostare», come è scritto nella sentenza, «la maggioranza del 
			congresso a favore delle tesi lamalfiane del centro-sinistra»; 
			per sapere se è a conoscenza che detta sentenza di rinvio a giudizio 
			ritiene provato che il denaro (30 milioni) fu distratto dalla cassa 
			del SIFAR per scopi non istituzionali, cioè il tentativo di 
			corruzione ammesso dagli stessi imputati e dai testimoni Ravaioli 
			Guerrino, Ezio Piancastelli, Zannoni Sauro, il questore di Bologna 
			Marrocco, l'onorevole Reale, il generale De Lorenzo, il generale 
			Allavena, i giornalisti Tedeschi, Accame, Mattei, Page, Trionferà; 
			per sapere se è a conoscenza che il maggiore Buono, rinviato a 
			giudizio, è stato interrogato sui «fatti di Ravenna» dalla 
			commissione Beolchini ma che quando il giudice istruttore ha chiesto 
			copia delle dichiarazioni del maggiore Buono il Ministro della 
			difesa di allora (Tremelloni), su conforme richiesta del Presidente 
			del Consiglio di allora (Moro), ha negato alla giustizia questo 
			stralcio dell'inchiesta in quanto, su parere anche del Ministro 
			della giustizia di allora (Reale), si trattava di «segreto di 
			Stato»; 
			per sapere, alla luce di quanto esposto, come debbono essere 
			interpretate le parole del generale Beolchini: «la successione degli 
			elementi che compendiavano il fatto di Ravenna si dimostrava come 
			operazione di alta politica»; in particolare le parole «operazione 
			di alta politica» e se, per caso, tale terminologia vuole riferirsi 
			al fatto che i mandanti di tale operazione, in cui non ci si 
			peritava a mescolarvi dei soldati, erano personaggi politici di 
			rilievo. 
  
			
			  
			
			Salvare la scuola italiana 
			Droga e docenti 
			I docenti pisani, che si 
			sentirono morsi dalla tarantola quando un quotidiano locale riportò 
			le clamorose e stupefacenti dichiarazioni del preside Porcelli, in 
			merito ai trattenimenti notturni di baldracche e vagabondi nelle 
			aule del liceo classico, e che fecero affiggere un manifesto di 
			sdegno compilato, si dice, con la consulenza di un magistrato 
			notoriamente di sinistra, non debbono aver appreso, impegnati come 
			sono a svolgere le loro mansioni di docenti scrupolosissimi, che a 
			Roma centinaia di studenti usavano ritrovarsi sui barconi del Tevere 
			per drogarsi e dedicarsi a pratiche amorose non sempre 
			regolamentari. 
			* * * 
			Se lo avessero appreso forse, i docenti pisani, un altro manifesto 
			lo avrebbero dato alle stampe, magari per testimoniare che i ragazzi 
			drogati di Roma non sono che le avanguardie nazionali della destra 
			fascista, che tenta di contaminare il sano popolo lavoratore, oppure 
			il naturale prodotto del capitalismo che ottiene quel che ha voluto 
			dalla civiltà dei consumi. 
			* * * 
			A noi preme però, al di là degli ipocriti manifesti, sottolineare il 
			preoccupante stato della scuola italiana non solo scaduta in tutti i 
			suoi valori tradizionali di cultura e di educazione ma ridotta ad un 
			permanente bordello ove si impara tutto: omosessualità, marxismo, 
			guerriglia, paradisi artificiali meno che latino, italiano, greco. 
			* * * 
			Duemila drogati a Roma? 
			Non bastano. Anche ieri ne sono stati fermati altri duecento. 
			E se la polizia senza il timore di reprimere cercherà ancora, ne 
			scoprirà altre migliaia. 
			* * * 
			A tutto c'è un rimedio? Certo, ma esso non può venire dalle leggi 
			sulla scuola, demagogiche e massacratici del costume, nel livello 
			culturale bensì dalle famiglie sane cui è affidato un impegno di 
			coraggio se vogliono salvare i loro figlioli. 
			Bisogna controllare i ragazzi, sconfiggere il mito della scuola 
			facile, educarli al rispetto degli insegnanti onesti, che fanno il 
			proprio dovere, ed al dileggio di coloro che dalla scuola fanno una 
			palestra di contestazione e di sciaguratezza. 
			Solo così, nonostante certe leggi, certi docenti, certi presidi e 
			certi ministri si salverà la scuola italiana. 
			 
			  
			 
			
			Clamorosa «beffa» a Brescia a un 
			convegno sulla Resistenza 
			Un giovane missino ha letto all'assemblea 
			levatasi in piedi e che l'applaudiva, 
			l'ultima lettera di un caduto della RSI 
			Un clamoroso episodio si è 
			verificato nel corso del convegno regionale sulla "Resistenza e 
			scuola", che si è svolto alla Camera di commercio di Brescia, 
			organizzato dalle autorità locali e da un apposito comitato 
			comprendente esponenti dei vari partiti politici, alla presenza del 
			sottosegretario agli esteri on. Pedini. Nel corso del convegno uno 
			studente universitario, che si era iscritto come altri suoi coetanei 
			a parlare, è andato al microfono ed ha dichiarato che sentiva il 
			dovere piuttosto che di usare molte e inutili parole, di leggere 
			«l'ultima lettera di un martire della seconda guerra mondiale». 
			Quindi ha invitato l'assemblea ad ascoltare in piedi la lettura del 
			documento; e così tutti si sono alzati in piedi e hanno ascoltato in 
			silenzio. 
			Era l'ultima missiva inviata da un giovane ufficiale condannato a 
			morte alla madre. Alla fine un commosso, scrosciante applauso è 
			partito dagli astanti; ma a questo punto il giovane universitario, 
			che si chiama Ezio Torchiani, ed è segretario del gruppo giovanile 
			del MSI di Brescia, riprendendo la parola ha esclamato: «Quella che 
			avete applaudito, è la lettera del diciottenne Franco Aschieri, 
			volontario della Repubblica sociale, fucilato a Santa Maria Capua a 
			Vetere nel 1944». Sbalordimento sul podio mentre buona parte degli 
			studenti presenti al convegno prolungavano polemicamente i loro 
			applausi. Lo sconcerto fra i rappresentanti ufficiali della 
			«resistenza» lombarda è stato grande. Nessuno infatti si aspettava 
			un colpo a sorpresa del genere, tanto più che sino a quel momento il 
			convegno si era svolto secondo l'ordine prestabilito, con 
			l'intervento di relatori che avevano dato della Resistenza stessa 
			varie interpretazioni in senso storico, sociologico, militare 
			svolgendo temi a senso unico che avevano prodotto -sia detto senza 
			offesa per nessuno- una sorta di stato soporifero nell'assemblea. 
			La commovente lettera di Franco Aschieri alla madre prima di venire 
			fucilato, ha avuto l'effetto di uno choc. Se in quel momento fosse 
			scoppiata nella sala dove si svolgeva il convegno una bomba, la 
			reazione sarebbe stata la medesima. C'è stato un battibecco fra gli 
			studenti ed alcuni esponenti di sinistra, si è avuto qualche isolato 
			tafferuglio. 
			Così si è concluso il convegno "Resistenza e scuola". Le cronache 
			«ufficiali», naturalmente, non hanno dato alcuna notizia 
			dell'episodio, che però, risaputo in città, è stato molto 
			commentato. Franco Aschieri il giovane fucilato, faceva parte del 
			gruppo dei «fazzoletti bianchi», una sezione del Servizio Segreto 
			della Repubblica sociale italiana che agiva al di là delle linee 
			americane in operazioni di sabotaggio. Aveva 18 anni. Catturato in 
			Campania venne processato e condannato a morte e fucilato insieme a 
			molti altri giovani della RSI da un plotone di «MP» americani in una 
			cava di pozzolani presso Santa Maria Capua a Vetere. 
			(pubblicato anche da "il 
			Tempo", 17-4-70)  |