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Rubrica curata da Beppe Niccolai sulle pagine del
"Secolo d'Italia" 
e di 
"Pagine libere" 
  
  
  
ROSSO
e 
NERO 
(raccolta intera) 
  
			  
  
  
ROSSO
e 
NERO 
(vol. 1 - "Secolo d'Italia", ) 
  
  
  
  
	
		
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INTRODUZIONE 
			 
			Giorgio Almirante 
  
			Da 
			vecchio giornalista voglio dire, riferendomi a questa raccolta, a 
			questa trasformazione in volume della rubrica "Rosso e Nero" di 
			Beppe Niccolai, che ben difficilmente una rubrica giornalistica, e 
			soprattutto una rubrica di giornale politico quotidiano, regge alla 
			prova del confronto librario e letterario. La rubrica giornalistica, 
			per brillante che sia, per penetrante che sia, per autorevole che 
			sia, è per natura, per logica, legata al quotidiano, al transeunte, 
			alla notizia e al commento di immediata percezione e comprensione. 
			La si legge con gusto, la si dimentica nello spazio di un mattino, 
			si attende la successiva puntata come si potrebbe attendere 
			l'incontro con persona piacevole ma non impegnativa. Lo dico, come 
			vecchio giornalista, per me stesso (quante mai rubriche ho 
			inventato, e neppur ne ricordo le intestazioni, dal vecchio "Tevere" 
			degli anni prebellici al caro "Secolo d'Italia" degli anni di mia 
			condirezione!); lo dico per giornalisti illustri, che non nomino, le 
			cui rubriche leggo volentieri, mai pensando, però, che possano 
			raggelarsi in vanitosi volumi. 
			Ma per te, caro Beppe, il discorso è diverso. Questa raccolta in 
			volume dei tuoi "Rosso e Nero", questa tua antologia, ci voleva. E 
			so di essere in buona e vasta compagnia, una compagnia non soltanto 
			di missini, ma più largamente di amici ed estimatori, anche 
			avversari, quando ti dico che sto già pregustando, mentre vergo 
			queste poche righe di premessa, la rilettura attenta, non 
			frettolosa, non legata alla vicenda del quotidiano che nasce e muore 
			nel giro di poche ore o di pochi minuti; ecco, sto già pregustando, 
			caro Beppe, il più tranquillo incontro con te, con quell'implacabile 
			memorizzatore dei fasti e nefasti di codesta Repubblica che hai 
			saputo essere, costruendo giorno per giorno una rubrica che ha 
			finito per acquisire il sapore d'una indagine storica e di costume. 
			Non si potrebbe ripetere per te, caro Beppe, l'antico «fustigat 
			ridendo mores»; perché tu sei spirito pisano, alla dantesca, e 
			raramente sorridi, frequentemente azzanni l'avversario, e non molli 
			la presa, anzi ci ritorni e ci ritorni ancora, e quando chi non ti 
			conosce può ritenere che tu abbia voltato l'angolo della noncuranza, 
			eccoti di bel nuovo, con quella tua spietata memoria tritacarni, 
			eccoti di bel nuovo all'offensiva. 
			Ho parlato di memoria, e di "memorizzazione", perché questo è il 
			dato che più impressiona, al primo incontro con quello splendido 
			elzeviro a puntate che è la tua rubrica. Ma non vorrei essere 
			frainteso. La memoria, e la conseguente "memorizzazione", è un 
			coefficiente tecnico, è uno strumento. Il dato essenziale, il dato 
			qualificante, della tua impresa giornalistico-politica, è invece il 
			dato di costume. Tu raramente sorridi, frequentemente azzanni, e non 
			molli la presa, perché provi pietà, nel virgiliano senso del 
			termine, per questa sventurata Patria, così come ce l'hanno 
			conciata; e dalla "pietas" nasce lo sdegno, dallo sdegno la 
			capacità, la volontà, la voluttà di frustare, di frustare a sangue, 
			i responsabili dello scempio, quale che sia la poltrona, quale che 
			sia lo sgabello di regime cui la nequizia dei tempi e la viltà degli 
			uomini li ha sollevati. 
			Io ti ringrazio, caro Beppe, e con me ti ringrazia tutta la comunità 
			umana che ho l'onore di rappresentare, perché sei la verifica morale 
			della pulizia della nostra battaglia politica. Voglio dire che il 
			quotidiano del nostro partito non potrebbe ospitare la tua rubrica, 
			senza mai censurarla, senza mai chiedere di conoscerla in anticipo, 
			se non fosse tassativamente vero quel che abbiamo ripetuto, quel che 
			ho potuto ripetere e proclamare nel nostro recente Congresso di 
			Roma: se non fosse vero che per motivi morali ancor prima che 
			politici noi siamo nati contro, siamo contro, saremo contro, nulla 
			chiedendo al regime se non l'onore di considerarci avversari 
			irrecuperabili, avversari con cui non si tratta, avversari nei 
			confronti dei quali la corruzione si spunta, la minaccia si spegne 
			inascoltata, la lusinga crolla nel ridicolo. 
			Se io posso fare un augurio, caro Beppe, al nostro partito, e più 
			vastamente a tutti gli Italiani che anche non votandoci guardano a 
			noi con stima e con rispetto, il mio augurio è che questo volume sia 
			seguito nel tempo da altri volumi di "Rosso e Nero"; e che le 
			giovani generazioni si abbeverino sempre più a questa incorrotta e 
			incorruttibile fonte di moralizzazione politica e nazionale. Possa 
			questo tuo grido, caro Beppe, suonare alto e disteso, come un 
			foscoliano richiamo non solo alla "Storia", ma, quel che più conta e 
			può contare, alla Coscienza degli Italiani. 
			 
			Giorgio Almirante 
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ROSSO
e 
NERO 
(vol. 2 - "Secolo d'Italia") 
  
  
		  
  
	
		
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PREFAZIONE 
L'amico Antonio Carli, che di queste mie note politiche è
l'appassionato Editore, mi chiede due righe di presentazione a questo secondo
volume di "Rosso e Nero". 
Il primo, uscito nel marzo del 1982, vide la prefazione di
Giorgio Almirante; una prefazione di cui lo ringrazio, soprattutto per i
riconoscimenti umani rivolti a questa mia modesta fatica. 
Che dire? Lo confesso: in queste circostanze non riesco a
metter su parole mie. Non ne sono capace, quasi mi vergogno. Ed è per questo
che, avendo trovato fra le mie carte la lettera che segue, mi sono sentito
sollevato, affidando alla stessa lettera, scritta da un alto funzionario del
Senato della Repubblica, già Segretario della Commissione di inchiesta
parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, il compito di presentarmi, e
di presentare questo secondo volume di "Rosso e Nero". 
Sono parole che vengono da un avversario politico, da un
galantuomo integerrimo, da un funzionario che, per la sua professionalità e le
funzioni svolte in organismi delicatissimi, ha avuto modo di saggiare il polso
dell'Italia politica. Lo ringrazio. Questa lettera è una delle poche cose care
che la vita parlamentare mi abbia lasciato. 
Giuseppe Niccolai       
			  
* * * 
SENATO DELLA REPUBBLICA 
Roma, 26.7.1976 
Illustre e caro Onorevole, 
ora che è passato più di un mese dallo svolgimento delle
elezioni, credo di poter esprimere con sufficiente serenità il mio più
profondo rammarico per non aver potuto salutare il suo rientro fra i deputati
della VII Legislatura. 
Il Parlamento ha perduto una libera voce che non ha mai avuto
un attimo di sosta nel fustigare i corrotti e nel confortare gli onesti.
Potranno forse gioire quegli squallidi maneggioni cui il Suo costante, quasi
ossessivo, richiamo ai valori di un'Italia onesta e pulita suonava come una
forma di vieto moralismo. Non lo potrò io, che ho sempre ammirato nelle Sue
battaglie politiche -pur non condividendone, come non Le ho mai nascosto,
l'ideologia- il rigore morale, l'intransigenza addirittura giacobina, la
profonda e tenace preparazione che le hanno sempre ispirate. 
Considero un grande onore l'aver potuto collaborare con Lei e
l'essermi meritato la Sua stima e la Sua amicizia, che è mia ambizione
conservare il più a lungo possibile. 
Cordialmente, Suo 
Carlo Giannuzzi  
  
  
  
"Rosso e Nero" vol. 2 contiene gli articoli apparsi 
sul "Secolo d'Italia" nel 1982 e fino al marzo 1983.  | 
		 
	 
	  
	
  
	  
ROSSO
e 
NERO 
	
(da "Pagine libere") 
	  
	
	  
	
	  
	   
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